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Le nozioni del diritto controverso elaborate dalla dottrina

Nel documento La successione nel diritto controverso (pagine 190-200)

Sezione II: L’individuazione del “diritto controverso” nel prisma dell’ordinamento e della tutela giurisdizionale

54. Le nozioni del diritto controverso elaborate dalla dottrina

Tra i vari interrogativi che si addensano intorno all’interpretazione dell’art. 111 c.p.c., quello che, sicuramente, più a lungo e con maggior fervore dogmatico ha tenuto impegnata la dottrina italiana è di fatto coinciso con il problema relativo alla definizione del significato da attribuire all’espressione “diritto controverso” intorno a cui sembra fare perno l’intera disciplina italiana dell’istituto in esame. Si tratta probabilmente della

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ROTH, Abstraktions- und Konsensprinzip und ihre Auswirkung auf die Rechtstellung der Kaufvertragsparteien, in ZvglRWiss, 1993, 371 ss., 392, nt. 110: “Die Rechte Oesterreichs, Frankreichs und Italiens kennen ausserdem die aus dem roemischen Rechts stammende condictio indebiti, die einen Anspruch auf Rueckuebereignung gewaehrt; das ist eigentlich systemwidrg, da Erwerbs- und Behaltensgrund in diesen Rechten identisch sind. Praktisch ist die condictio indebiti heute eine Art Besitzkondition”. In senso conforme Klang, Kommentar zum ABGB, Bd. VI, 2. Aufl., 1951

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Per l’applicabilità dei §§ 265, 325, 727 ZPO anche alle azioni possessorie (§§ 861 ss. BGB) si vedano BECKER-EBERHARD, § 265, in Muenchener Kommentar, cit., 1595, per il quale “bei einer Klage auf

Besitzerlangung ist die Sache streitbefangen, falls ein Anspruch auf Rueckverschafung […] geltend gemacht wird”; ROTH, sub § 265, cit., 403;

questione più spinosa che – nelle intenzioni degli autori che se ne sono occupati – avrebbe dovuto avere dirette ripercussioni in riferimento alla latitudine applicativa dello stesso istituto.

Più in particolare, l’alternativa di fondo che, in prima battuta, ha da sempre diviso l’opinione degli interpreti risiedeva nella dimensione sostanziale ovvero meramente processuale entro cui collocare il fenomeno successorio nel diritto controverso723. Le

diverse interpretazioni fornite al riguardo si lasciano collocare su una scala di progressiva astrazione dal piano processuale a quello sostanziale.

Ad un estremo della delineata contrapposizione si colloca la riflessione secondo cui, prendendo a paradigma l’ipotesi di una domanda risultata infondata al termine del giudizio, non fosse “una successione nel diritto sostanziale quella che determina la successione processuale” – dato che l’esistenza del primo sarebbe stata, in ultima istanza, disconosciuta – quanto piuttosto in un quid di natura processuale che era visto risiedere nel “trapasso della lite”724.

Sempre ad una dimensione marcatamente processuale era ricondotto il fenomeno del trasferimento del diritto controverso nell’opinione di chi vi intravvedeva una successione nel diritto processuale al provvedimento di merito725.

Secondo altra impostazione, che affondava le proprie radici in una nozione marcatamente concreta del diritto di azione, si affermava che dal trasferimento del diritto conseguisse sempre e contestualmente il trasferimento della relativa azione, la quale “la si vede e la si ritrova soltanto allo stato di pretesa”726.

Ad una conclusione apparentemente simile giungeva chi qualificava il diritto controverso, in quanto litigioso, come “qualcosa di meno del diritto soggettivo perfetto”727:

quest’ultimo infatti, una volta che sia contestato, diventa un “preteso diritto”; ed in quanto

723Sul tema, in generale, PICARDI, La successione processuale, cit., 102 ss.; CARNELUTTI, Appunti sulla successione

nella lite, cit., 3 ss.; ID., Recensione a La successione nel diritto controverso di De Marini, in Riv. Dir. Proc., 1954, 70 ss.; SATTA , La successione nel diritto controverso, in Foro it., 1954, IV, 126 ss.; Proto Pisani, La trascrizione, cit., 26 ss.; Id., Dell’esercizio dell’azione, in Commentario del codice di procedura civile, Torino, 1973, 180; De Marini, La successione, cit., 46; Colesanti, Trascrizione della domanda e sequestro del bene pendente lite, in Riv. Dir. Proc., 1963, 240 ss.; MENGONI, Note sulla trascrizione delle impugnative negoziali, in Riv. Dir. Proc., 1969, 360 ss., in part. 394 ss.; LASERRA, Prospettazione ed efettività dell’art. 111 c.p.c., in Riv. Dir. Proc., 1978, 1291 ss; FAZZLARI, “Successione nel

diritto controverso”, in Riv. Dir. Proc., 1979, 521 ss.; LUISO, Successione nel processo, in Enc. Giur., XXX, Roma, 1993, 9; WIDMANN, La successione, cit., 402 ss.

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Tale era l’opinione del CARNELUTTI, Appunti sulla successione nella lite, cit., 3 ss., in part. 5; ID.,Sistema di

diritto processuale civile, I, Padova, 1936, 434 ss.; ID., Recensione a La successione nel diritto controverso di De

Marini, in Riv. Dir. Proc., 1954, 70 ss. Sulla teoria della lite in generale elaborata dal medesimo autore si vedano CARNELUTTI , Lite e funzione processsuali , in Riv. Dir. Proc., 1928, 1 ss., 23 ss.; ID., Lite e processo, in Riv. Dir.

Proc., 1928, 99 ss.; Id., Sistema, cit., I, 341 ss. 725 PICARDI, La successione processuale, cit., 131

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REDENTI, Diritto processuale civile, I, 2a ed., Milano, 1957, 82 s., 182; ID., Sui trasferimenti delle azioni

civili, in Riv. Dir. Proc., 1955, 74 ss., il quale definiva l’azione quale “diritto soggettivo tipico sui generis, che trova il suo posto nel campo e nel quadro delle sanzioni e non dei precetti delle norme giuridiche” (REDENTI,

Diritto processuale civile, cit.,, 47)

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L’opinione, a ben vedere, risaliva già a MORTARA,Commentario del codice e delle leggi di procedura civile,

II, 4a ed., Milano, 1923, 534 ss., ed è stata solo ripresa da DE MARINI, La successione, cit., 46, prima di suscitare le critiche del CARNELUTTI, Recensione a La successione nel diritto controverso di De Marini, in Riv. Dir. Proc.,

il suo titolare ne invochi la tutela giurisdizionale, esso “appare sotto un diverso aspetto… sotto l’aspetto cioè di una pretesa”728.

Del pari, non sembra del tutto discostarsi da una comprensione processuale del diritto controverso anche la ricostruzione di chi lo ravvisa nel diritto “affermato” in giudizio, la cui precisa individuazione sarebbe data nella geometrica coincidenza “con la situazione sostanziale che legittima una delle parti a stare in giudizio” e che costituisca contestualmente “l’oggetto del processo e dell’accertamento giurisdizionale”729.

Si tratta – come ben si vede – di una varietà di definizioni profondamente diversificate nei fondamenti sistematici e dogmatici che ciascuna presuppone, ma legate dal comune imbarazzo di rinvenire l’esatto punto di incidenza della vicenda successoria all’interno della parentesi giurisdizionale entro la quale temporalmente si colloca. Ciò che doveva essere conseguenza della difficoltà istintiva di considerare come oggetto del trasferimento in corso di causa una situazione giuridica sostanziale perfetta, dal momento che la stessa è sub judice e potrà esser del tutto disconosciuta all’esito del processo. Di qui il fiorire delle tendenze che avrebbero collocato su di un piano processuale l’intera fattispecie successoria – invocando ad esempio la figura della successione nella lite o nel diritto alla sentenza di merito – o che avrebbero preferito declassare l’oggetto del trasferimento a quello di una mera pretesa, a metà strada tra l’azione e il diritto soggettivo perfetto.

In critica a siffatte ricostruzioni si è giustamente rilevato come esse siano il frutto di una ultronea ipostatizzazione del concetto di diritto soggettivo, pensato come un qualcosa di concreto che materialmente dovesse passare di mano in mano (“come il testimone nelle gare di staffetta”730) dall’antecessore all’avente causa per poter configurare

una successione a titolo particolare731.

A maggior ragione, il medesimo rilievo critico sembra doversi rivolgere anche all’impostazione tesa ad identificare stringentemente il diritto controverso con l’oggetto immediato del giudizio, e che distingue a seconda che il suo trasferimento in corso di causa inveri una successione in un rapporto “oggettivamente identico” a quello facente capo alle parti originarie – nel qual caso troverebbe applicazione l’art. 111 c.p.c. – ovvero in un rapporto “oggettivamente diverso e giuridicamente dipendente”, per il quale l’art. 111 c.p.c. non troverebbe applicazione732.

728

Così DEMARINI,La successione, cit., 46, il quale prosegue: “la pretesa non è il diritto controverso, ma

direi che ne è la proiezione dinamica: essa non ha natura processuale bensì sostanziale. Da quanto detto consegue che il trasferimento del diritto controverso determina sempre anche il trasferimento della pretesa”. In senso sostanzialmente

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E’ la tesi di PROTO PISANI, Lezioni di diritto processuale civile, 5aed., Napoli, 2012, 392 s. Per il rilievo che

anche tale impostazione si muove in una dimensione prettamente processuale si veda PICARDI, La successione

processuale, cit., 290, il quale rileva come come anche nell’ottica di tale autore “il quid che si trasferisce è rappresentato non dalla situazione giuridica effettivamente esistente, ma dall’affermazione della situazione sostanziale […] Tale affermazione costituirebbe un atto indiscutibilmente processuale, in quanto posto in essere nell’ambito del procedimento”. Analoga critica è rivolta da MENGONI, Note sulla trascrizione, cit., 396;

nonché da LUISO, Successione nel processo, cit., 4

730

L’immagine del testimone nelle gare di staffetta è evocata da LUISO,Successione nel processo, inEnc.

Giur., XXX, Roma, 1993, 9.

731

Risale al CARNELUTTI,Recensione a La successione, cit., 71, l’osservazione secondo cui il diritto, in quanto controverso, potrebbe risultare alla fine “un niente”, e nel niente – evidentemente – non si succede.

Sotto il primo profilo, infatti – pur volendo sorvolare sulla concettualistica astrazione che vorrebbe fare dell’oggetto del giudizio una realtà fenomenica entizzata suscettibile di essere impiegata a metro di misura dei più vari e diveersi scopi733 – risulta in realtà del tutto pacifico che l’oggetto del giudizio in quanto tale non possa essere di per sé trasferito734.

In riferimento invece al tema del rapporto giuridico, al di là della sua intrinseca vischiosità735, si è visto come sia la stessa legittimità della riferita distinzione – incentrata sul diverso riverbero che l’atto di trasferimento esercita sulla legittimazione ad agire del dante causa – a non trovare riscontro, né nella legge né nel sistema. Si tratta piuttosto di un mero espediente concettuale che sfrutta inconsapevolmente la diversa incidenza che la prescelta nozione di legittimazione ad agire esercita sui caratteri di struttura delle situazioni di vantaggio considerate, in particolare di quelle di natura reale736.

55. L’incidenza del trasferimento del diritto controverso sul processo in corso: la teoria delle distinctiones. Critica

Nella letteratura processualista italiana successiva all’entrata in vigore del codice del ‘40 la questione relativa alla esatta definizione della nozione del “diritto controverso” sarebbe diventata centrale e strettamente connessa alla delimitazione dell’ambito applicativo dell’istituto;

La questione, a ben vedere, è la risultante della stessa evoluzione storica dell’istituto, soprattutto in relazione al progressivo affermarsi della Relevanztheorie e sotto

732

Così PROTOPISANI, Opposizione di terzo ordinaria, cit., 130 ss. Di recente una simile impostazione è stata

rievocata da WIDMANN, La successione, cit., 412, secondo la quale dall’indagine storico-funzionale del regime

dell’art. 111 c.p.c. emergerebbe che il presupposto indefettibile dì applicazione dell’istituto sarebbe costituito dal “sopraggiungere di una fattispecie traslativa tale da dar luogo all’estinzione del diritto in ordine al quale l’attore ha chiesto tutela, e così alla sopravvenuta infondatezza della domanda attorea”

733

Mai così tanto attuale si rivela in proposito la critica mossa da EKELOEF, Der Prozessgegenstand – ein

Lieblingskind der Begriffjurisprudenz, ZZP, 1972, 145 ss., in relazione alle elaborazioni dottrinali tedesche in materia di Streitgegenstand. Sul tema, ancora di recente, è tornato Dvoràk, Streitgegenstand und Vollstreckungsgegenklage, in Acta Universitatis Carolinae – Iuridica, 2, 2011, 25: “Ueber das Wesen”

734

In tal senso FAZZALARI, Successione nel diritto controverso, cit., 1390, secondo cui “il diritto controverso,

come ipotesi intorno alla quale lavorano parti e giudice, non può essere trasferito”. In senso analogo, nella dottrina tedesca, in riferimento all’espressione “geltend gemachte Anspruch” che campeggia al § 265 Abs. 1 ZPO, si veda ROTH, § 265 , in STEIN/JONAS , Kommentar, cit., 405, “Der ‘geltend gemachte Anspruch’ wird nicht

im prozessualen Sinne als der prozessuale Streitgegenstand verstanden, der als solcher nicht abgetreten werden kann, sondern meint in erster Linie subjektive materielle Rechte jeder Art”

735

Si veda tra tutti BARBERO, Il diritto soggettivo, in Foro it., 1939, 1 ss., 31: “La dottrina quasi unanime

concepisce il rapporto giuridico, come la sintesi di due posizioni antitetiche – diritto e dovere – in cui stanno fra loro in relazione due soggetti dell’ordine giuridico: posizioni che vengono valutate direttamente ed immediatamente fra i medesimi soggetti e sono chiamate ad esprimere fra loro il rapporto di dominante e dominato, di avente dovere ad avente diritto […] Così costruito e posto al centro della dogmatica giuridica, io credo che il rapporto giuridico, sia lo strumento più imperfetto, attraverso il quale si possa guardare la realtà giuridica, il mezzo da cui essa giunge all’occhio sostanzialmente deformata e travisata ”. Di ciò, del resto, si avvede anche l’autore della distinzione di cui nel testo, tanto che in PROTO PISANI, La trascrizione delle

domande, cit., 117, ammette che “la nozione di rapporto giuridico non è una categoria formale a priori, valida in assoluto, né l’elemento semplice dell’esperienza giuridica, ma una categoria dommatica positivamente e storicamente determinata”.

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Sui profili critici della costruzione riferita – che rappresenta la versione dogmaticamente più elaboratadelle cd. teorie delle distinctiones – si ritornerà a breve, nel paragrafo seguente.

la spinta dell’ormai nota massima della “perdita della Sachlegitimation” impiegata per individuarne i sempre più ridotti limiti di operatività. Tale processo, già avviato in Germania, avrebbe condotto a conseguenze ancora più inappaganti nell’ordinamento italiano, complice – come si è visto – la diversa disciplina sostanziale che lo caratterizza, nonché una non sempre fedele traduzione delle categorie dogmatiche che si andavano contestualmente importando dalla dottrina tedesca.

In Italia, infatti, la progressiva erosione dell’istituto – secondo la nota teoria restrittiva delle distinctiones – si sarebbe espressa nella massima per cui solo solo un’azione reale avrebbe potuto rendere “controversa” la proprietà, perché solo in tal caso il trasferimento di quest’ultima in corso di lite avrebbe fatto perdere la legitimatio ad causam alla parte alenante. Di qui, in progresso di tempo, l’asseverazione per cui solo nel caso in cui il “diritto controverso” trasferito in corso di lite fosse coinciso con l’oggetto immediato del giudizio e con la situazione ad esso legittimante si sarebbe potuto dar luogo all’applicazione dell’art. 111 c.p.c.737. Ancora, in altri termini, si sarebbe detto che il pregiudizio che l’istituto in esame avrebbe dovuto neutralizzare – e che pertanto ne avrebbe giustificato l’operatività – sarebbe stato quello di prevenire un rigetto della domanda per la sopraggiunta alienazione della res controversa738.

Di qui, la conclusione che l’art. 111 c.p.c. non avrebbe trovato applicazione non solo nelle fattispecie integranti una successione costitutiva, ma anche in tutte la azioni nascenti da un contratto ad effetti reali in cui fosse in discussione in qualunque modo la sua efficacia, allorché in corso di giudizio venisse alienata la proprietà del bene trasferito con il con contratto medesimo739.

In tali ipotesi, si diceva, il diritto di proprietà del bene trasferito non costituisce l’oggetto immediato del processo, questo semmai essendo costituito dal diritto potestativo fatto valere nelle azioni costitutive tendenti alla demolizione o alla produzione dell’effetto reale avuto di mira dal contratto. Inoltre, si sosteneva, il trasferimento del diritto di proprietà in corso del giudizio non avrebbe fatto venir meno la legittimazione ad agire della parte alienante, potendo il processo proseguire tra le parti originarie senza possibilità di invocare la tutela apprestata dall’art. 111 c.p.c. In ultimo, si aggiungeva, l’inapplicabilità dell’istituto in esame sarebbe stata comprovata dall’impossibilità di dar luogo in tali ipotesi alla estromissione della parte originaria prevista dal 3° comma dell’art

737

Così PROTO PISANI, Lezioni di diritto processuale civile, 5aed., Napoli, 2012, 393; di recente la medesima

impostazione è stata fatta propria da WIDMANN, La successione, cit., 418 s., “va affermata non soltanto l’esatta coincidenza fra il diritto alienato in corso di giudizio e il - corrispondente – diritto controverso, bensì, pure, l’identità dell’uno e dell’altro con l’oggetto del giudizio stesso nonché, infine, con la situazione giuridica fondante (rectius: la cui asserita titolarità fonda) la legitimatio ordinaria ad causam dell’alienante.

738

In tal senso ANDRIOLI,Lezioni di diritto processuale civile, cit., 315 ss.; DEMARINI, La successione, cit., 46

ss.; Proto Pisani, La trascrizione delle domande giudiziali, cit. , 45 ss.; Id., Opposizione di terzo, cit., 132 ss.; Id., sub art. 111, in Commentario, cit., 1227; Satta, sub art. 111., cit., 419 ss.; TOMMASEO, L’estromissione di una parte, cit., 257. Più di recente, per la stessa impostazione, si veda WIDMANN, La successione, cit., 412: “presupposto

indefettibile affinché l’istituto della successione nel diritto controverso trovi applicazione è, non tanto, il sopraggiungere in corso di causa di un atto di trasferimento(a titolo derivativo) in qualche misura inerente alla pretesa oggetto del giudizio bensì, più precisamente, il sopraggiungere di una fattispecie traslativa tale da dar luogo all’estinzione del diritto in ordine al quale l’attore ha chiesto tutela, e così alla sopravvenuta infondatezza della domanda attorea”

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Si sarebbe trattato delle azioni di impugnativa negoziale nonché quelle disciplinate dagli artt. 2652 e 2653 c.c. che non avrebbero più trovato il loro necessario coordinamento con l’art. 111 c.p.c.

L’indagine sin qui condotta ha tuttavia dimostrato – si crede – l’infondatezza di molti degli argomenti addotti a sostegno di tale ricostruzione che si cercherà qui brevemente di riassumere.

In primo luogo, la teoria delle distinctiones si colloca a valle di una passiva recezione dei più stringenti – e indiscussi – postulati della Relevanztheorie, soprattutto in riferimento al dogma della “perdita della Sachlegitimation” quale presupposto applicativo dell’istituto in esame. Al contrario, si è invece cercato di dimostrare come la teoria della rilevanza sia fondamentalmente inapplicabile alle fattispecie – come quelle qui in esame – in cui nel fenomeno della successione nel diritto controverso sia coinvolto un diritto autodeterminato740 Ciò che impedisce a monte di poter scorgere nella perdita della

legittimazione ad agire – almeno intesa nell’accezione, in cui la intende la dottrina in esame, di mera affermazione della titolarità del diritto controverso – il pregiudizio specifico che l’art. 111 c.p.c. sarebbe volto a neutralizzare. Ma anche a voler prescindere da tale argomento, è la stessa trasposizione della nozione tedesca di Sachlegitimation con quella italiana di legittimazione ad agire a non poter trovare accoglimento741.

In secondo luogo, sono gli stessi presupposti di diritto sostanziale da cui muove la teoria in esame ad apparire quanto meno discutibili. Essa infatti è costretta a negare ogni incidenza al principio consensualistico e a quello della causalità delle attribuzioni patrimoniali nell’ordinamento italiano, nonché – di fatto – ad equiparare l’azione prevista dall’art. 2033 c.c. alla tedesca Bereicherungsanspruch, prospettiva che in termini comparatistici si rivela insostenibile, oltre ad essere apertamente smentita dagli interpreti tedeschi742

In terzo luogo, è la stessa legittimità della categoria dogmatica del “rapporto avente

elementi soggettivi ed oggettivi diversi da quello dedotto in giudizio” per individuare le

fattispecie escluse dall’ambito di operatività dell’art. 111 c.p.c. a destare perplessità. Secondo la dottrina criticata, “la nozione di rapporto giuridico assolve con riferimento al processo, la funzione importantissima di determinare con estrema linearità e semplicità le parti legittimate, cioè i soggetti cui si riferisce l’effetto giuridico oggetto del processo”743. Di qui la

conseguenza che, in ipotesi di trasferimento costitutivo in corso di causa,

740

Si è visto, infatti, che il dante causa non può per definizione essere il sostituto processuale in senso tecnico del diritto autodeterminato in capo al successore, potendo questo essere allegato solo in virtù del titolo di acquisto (la causa petendi) posto in essere in corso di giudizio.

741

Si è visto infatti come la nozione di Sachlegitimation, all’esito del processo di sviluppo storico- concettuale di cui si è cercato di dar conto nel capitolo precedente, avrebbe inteso meramente rendere la nozione di legittimazione sostanziale intesa quale mera titolarità del diritto. Essa non può dunque essere semplicemente tradotta con il concetto italiano di legittimazione ad agire.

742

Si è visto, infatti, come non sia possibile invocare il dato testuale degli artt. 2037 e 2038 c.c. per escludere la configurabilità di una successione nell’obbligo di restituzione quando questo si collochi a valle dell’esperimento di un’azione di impugnativa o di accertamento della nullità di un contratto ad effetti reali. Ciò, infatti, significherebbe disconoscere le conseguenze che nell’ordinamento italiano conseguono all’adozione del principio consensuale e di causalità delle attribuzioni patrimoniali. In realtà non si tratta di forzare il tenore di quelle disposizioni, quanto di riconoscere l’incidenza che la tutela giurisdizionale dei diritti (di accertamento o costitutiva) – in combinazione con la disciplina dell’art. 111 c.p.c. – è in grado esercitare sulla posizione del terzo subacquirente in corso di causa, e cioè in un momento in cui non si sono ancora inverate quelle fattispecie, previste dagli artt. 1415, 1445, 1452 e 1458 c.c., il cui effetto si è visto consistere nel recidere il vincolo di dipendenza tra l’acquisto del terzo e il venir meno dell’atto di disposizione – destinato ad

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