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Il contenuto della posizione di garanzia per gli esecutivi non indipendenti nel 2003

Motivi della decisione

10. La tematica del codice Preda: amministratori indipendenti e comitato di controllo interno

10.2 Il contenuto della posizione di garanzia per gli esecutivi non indipendenti nel 2003

Hanno sostenuto i PM che, dalla qualifica di (pretesa) indipendenza, sarebbero comunque derivati speciali obblighi a carico di Barachini, Sciumè e Silingardi. Nel percorso cronologico della valorizzazione della figura degli indipendenti, dal Codice di Autodisciplina alla legislazione di settore - in particolare la Legge 28.12.05 n. 262 che modifica il testo Unico della Finanza del 1998 e ha inserito il concetto e la figura dell’amministratore indipendente con valenza assai rilevante per le società quotate strutturate come la Parfin -, l’accusa ha valorizzato anche la normativa del codice civile intervenuta a seguito della riforma di cui al citato D.Lgs n. 6/03.

203Su questo aspetta si veda oltre.

204 Il P.M. requirente, a proposito dell’intervento di Barachini per fare ottenere a Tanzi un finanziamento personale per consentirgli di adempiere all’obbligazione assunta nei confronti della nipote Paola Visconti, ha alluso ad un possibile ritorno di utilità economica per l’imputato, rilevando che si sarebbe dovuto andare a controllare l’andamento dei flussi economici. Ma prove di fatto sul punto non sono state portate.

Poiché dunque si è sopra concluso che gli imputati in questione erano anche “indipendenti”

a termini della autoregolamentazione adottata, la questione di ampliamento del contenuto della posizione di garanzia, come proposta, va anch’essa esaminata in dettaglio.

La posizione di garanzia per gli amministratori è costituita dal combinato disposto di cui agli artt. 2381 e 2392 cc. e fa riferimento unicamente agli amministratori deleganti, senza alcuna distinzione tra indipendenti e non. Valuta il Tribunale che il codice civile, anche nel testo in vigore (peraltro dal gennaio 2004, data in cui è entrato in vigore il D.Lgs 1.1.03 a termini dell’art. 10 del medesimo), non consideri gli indipendenti quale figura di amministratori aventi – come tali – doveri autonomi diversi ed ulteriori.

Lo schema codicistico, dopo la riforma della disciplina societaria, è rimasto fondamentalmente strutturato, quanto all’organo amministrativo, sulla ripartizione di doveri tra amministratori delegati e deleganti.

Il codice civile all’art. 2387 menziona i requisiti della onorabilità, professionalità e indipendenza anche con riferimento ai requisiti al riguardo previsti da codici di comportamento, limitandosi a stabilire – ove e quando lo statuto sociale subordini l’assunzione della carica di amministratore esecutivo alla qualità di indipendenza – quali siano i requisiti integranti tale qualificazione, sussumendo cioè a livello normativo anche le definizioni variabili dei codici di autodisciplina. Tuttavia, la norma non impone la adesione a quei codici di autoregolamentazione che prevedano la obbligatoria presenza di amministratori indipendenti e la unica conseguenza della mancata applicazione del codice spontaneo è rappresentata dall’obbligo di segnalazione della circostanza secondo il modello comply or explain (art. 124bis TUF)205.

Anche ove gli indipendenti siano previsti come quota essenziale dell’organo di gestione ed indipendentemente dalla autonoma previsione statutaria – come, ad esempio, nel caso del consiglio e del comitato di controllo di gestione per il modello monista, ex articoli 2409 septesdecies e octesdecies c.c. o ai sensi dell’articolo 147ter TUF – ad essi non deriva alcun complesso di poteri/doveri specifici che non siano quelli derivanti dal ruolo ricoperto, rispetto al quale la indipendenza è solo il predicato soggettivo di eleggibilità. Cioè, anche qui non è la indipendenza che fonda un distinto status dell’amministratore.

Non si rinviene, pertanto, alcuna norma cui collegare una posizione di garanzia degli indipendenti, ulteriore rispetto a quelle scaturenti dal binomio esecutivi/non esecutivi; né, tantomeno, la si rinveniva nel 2003, cui sempre bisogna riportarsi dovendo valutare la posizione di Barachini, Silingardi e Sciumè.

Valuta conseguentemente il Tribunale, in prima conclusione, che l’obbligo di garanzia delineante l’ambito di responsabilità in capo agli imputati, resti configurato – a prescindere dalla qualifica di indipendenti – dalla loro natura di “deleganti”, a tenore del disposto nell’art. 2381 c.c..

205 Una recente ricerca di ASSONIME riporta il bassissimo tasso di adesione a codici di autodisciplina da parte delle imprese bancarie.

All’epoca dei fatti e con riguardo alle posizioni degli imputati il nuovo TUF era di là da venire e l’ “indipendenza” degli stessi è stata menzionata o valorizzata dalla società solo in quanto qualifica corrispondente a quello che la normativa – anche spontanea – prevedeva al tempo per il ruolo.

Tanto basterebbe per eliminare le suggestioni legate al sopravvalutato tema della indipendenza; tema che è stato affrontato dalla accusa alla luce di una sensibilità normativa e culturale che è maturata in epoca ben successiva alla vicenda Parmalat ed anche (anzi, proprio) in conseguenza di quel totale fallimento del sistema dei controlli che si era verificato in quella occasione.

Nondimeno, si vuole anche considerare il peculiare contenuto aggiuntivo integrante la posizione di garanzia – in prospettazione accusatoria – dei non esecutivi indipendenti Barachini, Silingardi e Sciumè, che si dovrebbe ritenere costituita dal controllo, in ogni caso, della comunicazione societaria price sensitive, (profilo tanto insistito in particolare nel corso degli esami degli imputati).

Valuta il Tribunale che tale conclusione – che, come detto, appare priva di base normativa – si fondi comunque su due piani logici entrambi errati. Per un verso vi è una suggestione ex post, indotta dalle ricostruite modalità con cui sono stati realizzati i falsi bilancistici del consolidato Parfin (di cui l’omessa comunicazione di operazioni price sensitive è stato necessitato e funzionale tramite ) attuati dalle controllate della sub-holding Parmalat s.p.a e Dalmata s.r.l. .

Per altro verso vi è una sovrapposizione di piani: vale a dire, sulla premessa che debba passare per il Consiglio tutta la attività societaria o perlomeno quella delle più rilevanti operazioni price sensitive, si vuole dire che sarebbe stato obbligo degli amministratori deleganti di controllare la corretta e tempestiva comunicazione effettuata, quanto meno ove successivamente (per esempio è il caso di riacquisto di bonds propri o il programma di emissione di prestiti obbligazionari per importo complessivo rilevante) venuti a conoscenza di tale operatività.

In proposito va detto che senza dubbio a tenore dell’art. 2381 comma quinto c.c a carico dei delegati esecutivi incombe l’obbligo di informare il consiglio sulle operazioni di maggior rilievo per le loro dimensioni o caratteristiche , effettuate dalla società e dalle sue controllate; informazione che in un corretto operare serve alle valutazioni da parte dei non esecutivi in merito all’andamento della gestione della società o del gruppo, come nel caso.

Ma tale norma non afferma che la comunicazione societaria relativa alle operazioni price sensitive non può essere oggetto di delega e quindi che incomba sempre e comunque anche sulla componente non esecutiva del consiglio, magari neppure tempestivamente informata dell’operazione singola.

Peraltro la comunicazione societaria non è altro dalla comunicazione di informazioni price sensitive su cui si è soffermata l’accusa negli interrogatori degli imputati:

comunicazione continua delle informazioni privilegiate all’atto della realizzazione di

operazioni che incidono sull’ammontare dell’attivo o del passivo, che converge poi comunque nella informazione periodica cadenzata nelle trimestrali, semestrali e nel bilancio annuale.

Come rilevato nelle argomentazioni difensive, condivisibilmente, il Testo Unico della Finanza attualmente vigente, all’art. 114, stabilisce che gli obblighi di comunicazione societaria attengono (a termini dell’art. 181 TUF) alle informazioni privilegiate, di carattere preciso, che non sono state rese pubbliche, concernenti gli emittenti o gli strumenti finanziari e che, se rese pubbliche, potrebbero influire in modo sensibile sui prezzi di tali strumenti finanziari.

All’epoca dei fatti gli stessi principi erano espressi dal combinato disposto del testo allora vigente dell’art. 114 TUF, del regolamento Consob 11971 del 1999 e della guida all’informazione di mercato della Banca d’Italia; le informazioni privilegiate di natura price sensitive dovevano essere comunicate nelle 24 ore mediante inserimento nel sistema NIS istituito da Borsa Italiana e da Consob.

E’ evidente che tale comunicazione continua per i ristretti tempi non può passare dal Consiglio di Amministrazione, che dovrebbe altrimenti sedere pressocchè in permanenza in gruppi delle dimensioni e della struttura della Parfin, ma è ragionevolmente e realisticamente da attribuire alla cura degli esecutivi che operano in concreto. Non pare, dunque, che abbia senso esigere che i non esecutivi venuti a conoscenza di una certa operazione,chiedano conferma dell’avvenuto esercizio della delega. (v. anche il teste Martellini infra).

Ed in ogni modo, per stare con i piedi per terra, se anche gli imputati, in consiglio, avessero chiesto a Tanzi – delegato alla comunicazione – o a Petrucci – che curava la Segreteria – se avevano espletato il loro mandato in proposito, qualcuno può pensare che si sarebbe potuto impedire o ridurre l’entità del default ?

O dovevano gli imputati andare, non avendo all’epoca nessun motivo di evidenza di una situazione diversa da quella attestata effettiva e positiva da molti indici (si pagavano le tasse, si distribuivano ampi utili anche straordinari !..) sotto il controllo del collegio sindacale, delle società di revisione e di rating, personalmente nel sito di Borsa Italiana, a verificare a ritroso che le comunicazioni del riacquisto di bond o del programma di emissione di prestiti fossero stato eseguite ?

E questo avrebbe impedito la appostazione di manipolati valori di redditività industriale della intrapresa brasiliana, o l’operatività fasulla di Bonlat, o avrebbe evitato il ricorso a prestiti privati quali gli USPP?

L’organismo di vigilanza Consob quando ha concluso la sua attività ispettiva e si è resa conto che in precedenza non era stata data comunicazione dettagliata al mercato, è andata a controllare i saldi risultanti dalla comunicazione periodica ed ha fatto le valutazioni di cui si è già riferito.

Per siffatta incompletezza della disclosure, solo ex post verificata in termini di artificio e raggiro perpetrato da ben identificati soggetti e ben identificati ruoli effettivi di gestione e controllo, non è dato rinvenire un elemento costitutivo di responsabilità a carico di amministratori privi di ogni potere di controllo diretto su quanto loro riferivano i delegati.

Amministratori –si ribadisce ancora – a cui carico nessuna norma, neanche settoriale, poneva il dovere di controllare il tempestivo esercizio della delega di comunicazione conferita nel caso al Presidente Amministratore Delegato Tanzi, coadiuvato dal segretario Petrucci206.

Al Consiglio compete la comunicazione di informazioni privilegiate che passano da una propria delibera di adozione di operazioni di rilevanza price sensitive, nonché la comunicazione periodica trimestrale, semestrale e contenuta nei bilanci annuali che tale organo adotta e rispetto alla quale deve, nel suo insieme “non esecutivi” compresi, vigilare che sia data corretta e tempestiva informazione al mercato.

Questo è l’ambito di vigilanza informativa che può essere giuridicamente accollato ai non esecutivi deleganti e questa informazione è in realtà intervenuta, tant’è che sono oggetto di imputazione anche i comunicati stampa pertinenti il bilancio 2002 approvato nel 2003, le trimestrali e la semestrale 2003: tutt’altro piano da quella della comunicazione societaria è quello delle falsità sostanziali che hanno caratterizzato anche tale comunicazione societaria che è ad avviso del Collegio la comunicazione “per eccellenza”

Ed è anche a tale comunicazione che può realisticamente affidarsi il mercato, inteso come operatori finanziari, investitori e risparmiatori – e non ultimo l’organismo di Vigilanza – inimmaginabili in veste di inquirenti in perpetua indagine su gruppi multinazionali delle dimensioni del gruppo Parmalat e sulle comunicazioni di operazioni price sensitive poste in essere non dall’emittente quotato (non c’è stata alcuna comunicazione omessa di operazioni siffatte, deliberate dal Consiglio Parfin in cui erano collocati gli imputati), ma dalle società controllate sparse nel mondo e sottoposte a svariate discipline bilancistiche e informative; disciplina peraltro nulle nei cd. “paradisi fiscali”, come a tutti noto e da tutti accettato.

Pare ovvio che solo il bilancio consolidato e i dati relativi alle altre comunicazioni intermedie e le relazioni di accompagnamento siano gli effettivi strumenti su cui può basarsi il mercato per valutare la reale situazione dell’impresa economica, la gestione e la situazione patrimoniale, economica –finanziaria.

Se poi i dati relativi sono a monte falsificati, che senso ha prospettare una responsabilità per omesso controllo della informativa delle operazioni price-sensitive a carico di amministratori che possono solo “chiedere” spiegazioni agli esecutivi (che risponderanno

206Pacifico altresì che gli indipendenti non esecutivi non avevano accesso a quelle fonti dirette di informazione sulle controllate dalle sub-holding che avevano invece in qualche misura i sindaci e, per funzione propria, le società di revisione.

sempre in coerenza con i dati che presentano) e che non hanno normativamente alcun potere di verifica e di controllo delle risposte ricevute ?

E se la controllata è off shore e la legislazione a cui è sotto posta non prevede –come di norma – alcun obbligo comunicativo, i non esecutivi si trasferiscono alla Isole Cayman e vanno di persona a controllare bilanci che non ci sono per verificare che gli esecutivi li abbiano informati delle operazioni price-sensitive che hanno svolto utilizzando Bonlat ? In tal senso, pare tutt’altro che peregrina (ed illuminante) la problematica dottrinaria che investe la molto seria questione che la esatta determinazione di una posizione di garanzia deve realizzarsi attraverso il criterio fondamentale della corrispondenza fra doveri e poteri;

nel senso che i poteri realmente impeditivi degli illeciti in corso di perpetrazione da parte dei delegati circoscrivono e delimitano la garanzia esigibile dai deleganti.

In realtà il rimprovero è sempre quello, più o meno dialetticamente argomentato: gli amministratori Barachini, Silingardi e Sciumè sapevano tutto e poiché la loro responsabilità è declinabile in termini omissivi, hanno omesso, oltre che di fare domande, di verificare l’omessa comunicazione continua delle operazioni price-sensitive.

Quando sono stati comunicati valori non effettivi, o sono state del tutto occultate le operazioni, si è sempre trattato di falsi attinenti – a monte – ad operazioni delle controllate società finanziarie, con al massimo la garanzia della sub-holding Parmalat s.p.a; operazioni, cioè, di cui gli imputati non avevano alcuna cognizione diretta circa modi e termini. Pare che la sensazione iniziale che i non esecutivi, in quanto componenti del consiglio di amministrazione di Parfin fossero necessariamente complici di Tanzi & company, abbia giocato un ruolo determinante anche nel non distinguere tra comunicazione societaria a carico del consiglio Parfin – perché approvata dal medesimo la relativa operazione price sensitive – e obbligo informativo a carico degli esecutivi, operativi anche nella sub-holding, che dovevano curare il generale andamento della gestione e che erano delegati anche alla comunicazione societaria delle operazioni price sensitive di cui si componeva la gestione di tale gruppo.

Peraltro l’accertamento delle modalità truffaldine della gestione comporta il dover considerare che, proprio per ciò, è altamente verosimile che gli operativi esecutivi delegati nel consiglio Parfin informassero il consiglio di amministrazione delle operazioni e delle modalità ostensibili senza danno ed omettessero le informazioni, al consiglio Parfin come al mercato, della realtà delle operazioni stesse.

Le cose, tornando al caso di specie, andavano esattamente così: l’ha detto molto chiaramente Tonna, sia pure calcando la mano sul coimputato Tanzi, che la gestione del consiglio di amministrazione di Parfin era di Calisto Tanzi che portava in consiglio ciò che riteneva di portare in Consiglio e che era stato così da sempre e che mai si era neppure posta, neanche su iniziativa del Collegio sindacale, l’esigenza che almeno le emissioni di

prestiti obbligazionari o il collocamento di bonds dovessero passare per il vaglio del Consiglio di Amministrazione . 207

Che sia andata così è fuor di questione: anzi che non siano stati comunicati strumenti di debito finalizzati a sopperire alla mancanza effettiva di liquidità e a procurarsi risorse non altrimenti disponibili per l’operatività del gruppo in disastrata situazione economica finanziaria è la sostanza del comportamento truffaldino; ma qui si tratta di valutare la penale responsabilità per il reato doloso contestato ai non esecutivi , indipendenti a termini del Codice di Autodisciplina nella versione dell’epoca, da ancorarsi secondo la Suprema Corte a segnali certi di conoscenza dell’illecito in atto ed in itinere.

Il segnale di fondo che si continua ad agitare è sempre quello, argomentato in vario modo, con interessanti tesi interpretative anticipative di situazioni che potrebbero verificarsi per le modifiche legislative successive alla vicenda che qui occupa . E cioè che gli imputati hanno consapevolmente approvato ogni iniziativa della dirigenza, ovvero hanno ratificato decisioni prese altrove, dagli esecutivi di Parmalat s.pa. coincidenti nella persona degli esecutivi di Parfin.

A tal proposito, valga il commento della stessa Suprema Corte “L’addurre a sostegno della tesi d’accusa la consapevole approvazione di ogni iniziativa della dirigenza è del tutto logicamente inconcludente: se consapevole fu il voto favorevole tanto non dimostra che esso fu correttamente ed esaurientemente informato sulla effettiva sostanza della decisione, si che discenda seria attestazione di una adesione volontaria all’opzione illecita o dannosa per la società …né la riduzione del consiglio di amministrazione a ratificatore di decisioni prese altrove risulta peculiare e congruente rispetto alla esigenza di puntualità dimostrativa di cui si è detto”208.

Va ora affrontato l’ulteriore piano argomentativo d’accusa, che è imperniato sulla inadeguatezza del Comitato di controllo interno costituito in Parfin, sia per i componenti del medesimo, sia perché – per dotazione e mezzi – inadeguato a svolgere un controllo effettivo sui flussi di dati delle controllate e conseguentemente sulla connessa comunicazione societaria; aspetti teorizzati come funzionali, l’uno e l’altro, a impedire frodi in danno dei creditori investitori e risparmiatori. Si è detto che gli imputati, diversamente dal sindaco Martellini – che più volte aveva sollevato la questione –, nulla avrebbero fatto per contrastare una situazione gravemente deficitaria. In altri termini e sotto detto profilo, il rimprovero che muove l’accusa a Barachini, Silingardi e Sciumè prende spunto dalla tematica delle falsificate o omesse comunicazioni price-sensitive – condotta indubbiamente ad opera degli esecutivi –, per addebitare un contributo consistente nella insensibilità alle problematiche argomentate dal sindaco Martellini, lei sì sostanzialmente indipendente.

207 Cfr. verbale trasc. ud. 9.5.06

208 Sempre Cass., 4.5.06 n. 665

Ora, può anticiparsi fin da subito che, proprio una valutazione imparziale della testimonianza Martellini conferma il convincimento del Tribunale circa il fatto che, nella realtà concreta del consiglio Parfin, Tanzi era motivo – per il sindaco Martellini per prima – di tale affidabilità, che anche la questione del controllo interno, da strutturarsi in via autonoma da Parfin, aveva valenza teorica e non pregnanza reale.

Altra cosa che va subito messa in chiaro è la questione della presenza del solo Viotto come internal auditor a disposizione del comitato di controllo. Su questo aspetto si è molto ironizzato da parte della accusa anche privata: come poteva un solo soggetto controllare le procedure interne di una realtà come Parfin ? Peccato che la stessa ironia non è stata messa in campo dalla Martellini, la quale ha osservato come – stante la struttura del gruppo e la funzione di mera holding controllo di Parfin – in realtà poco vi era da controllare al suo interno. Per di più lo stesso Viotto – che da preteso callido concocorrente di un comitato di controllo che si dice palesemente ridicolo, non è mai stato indagato per avere contribuito, nella inevitabile conclusione logica del postulato accusatorio, a controlli dolosamente farlocchi – ha spiegato che egli si avvaleva di un responsabile in ogni filiale estera. Questa affermazione non è mai stata contrastata dalla accusa.

Si vuole anche sottolineare che la procedura adottata da Parfin per la comunicazione societaria, che comportava la delega agli esecutivi e al presidente per le informazioni price-sensitive di operazioni non passate dal Consiglio di amministrazione – in quanto tale non contestata dal costituito comitato di controllo interno e neppure dalla Martellini – era per questo aspetto adeguata in sé alla operatività limitata di Parfin e, a tenore della consulenza Poggiali, adottata da tutte le società similari.