Motivi della decisione
8. Le posizioni di Barachini, Silingardi e Sciumè: premessa
8.1 I principi di diritto di riferimento della decisione
La messa in campo di una responsabilità per omissione, obbliga ad approfondire in modo più dettagliato i termini giuridici della questione.
Nella requisitoria il PM stesso ha richiamato la normativa civilistica di riferimento per la posizione di garanzia degli amministratori privi di delega, nonché la normativa speciale del TUF; si è soffermato sul contenuto della posizione di garanzia a termini della intervenuta riforma delle società di cui al D.Lgs 6/03, rimarcando che si è sostituito l’obbligo di agire informati all’obbligo di vigilanza sul generale andamento della gestione e in sintesi concludendo che, pur modificata la normativa, nel caso di specie vi era stata omissione dell’obbligo di agire informati da parte degli imputati, e che, quanto all’atteggiamento psicologico, esso rimaneva leggibile in termini di dolo eventuale. Forma di dolo che certo non è stato esclusa – ha sottolineato condivisibilmente il P.M. requirente – dalla giurisprudenza di legittimità nell’ambito del quadro tracciato – e del tutto condiviso dal Collegio – dalla Suprema Corte, 4.5.07, n. 665 (cd. sentenza Bipop-Carire), di speciale rilievo e pertinenza nel caso in esame.
Pare opportuno pertanto soffermarsi in via preliminare a dare conto dei passaggi interpretativi della sentenza sopra citata, che riguardano strettamente le ricadute sul piano della responsabilità penale degli amministratori privi di delega e della riconfigurata posizione di garanzia di tali amministratori, esplicitamente conformata a termini della relazione alla legge di riforma cd. Vietti. 188.
In sintesi:
- la riforma ha indubbiamente alleggerito gli oneri e le responsabilità degli amministratori privi di deleghe in quanto è stato rimosso il dovere di vigilanza sul generale andamento della gestione, già contemplato dall’art. 2392 co 2 c.c., e sostituito con l’onere “di agire informato” essendo questo peraltro il principio informatore della novità legislativa del 2003, che ha rimodulato l’intero quadro normativo anche rispetto all’amministratore destinatario di delega (art. 2381 co.5 e co.1 c.c.);
- “l’agire informato” configura un doveroso potere, in capo ai non esecutivi, di richiedere informazioni, senza che ciò assegni anche un’autonoma potestà di indagine.
188 In cui si legge: “la eliminazione del precedente secondo comma dell’art. 2392 dell’obbligo di vigilanza sul generale andamento della gestione, sostituita da specifici obblighi ben individuati ( v.
in particolare gli art. 2381,2391) tende, pur conservando la responsabilità solidale, ad evitare sue indebite estensioni che, soprattutto nella esperienza delle azioni esperite da procedure concorsuali finiva per trasformarla in una responsabilità sostanzialmente oggettiva, allontanando le persone più consapevoli dall’accettare o mantenere incarichi in società o in situazioni in cui il rischio di una procedura concorsuale le esponeva a responsabilità praticamente inevitabili”
- per effetto della riforma risulta altresì riconfigurato – sul piano della responsabilità penale per i reati societari o fallimentari ed anche per fatti commessi anteriormente alla riforma – il nesso causale ex art. 40 co.2 c.p., che si parametra sulle fonti normative (quindi codice civile e leggi speciali anche di “ordinamento settoriale” - come definito dal P.M) nei termini che costituiscono il dovere di intervento;
- il punto essenziale, con riferimento al thema decidendum di questo Collegio, è lo stesso affrontato dalla sentenza in questione: “occorre decisamente segnare il limite operativo dell’art. 40 2co. c.p quando sia correlato ad incriminazioni connotate da volontarietà, onde evitare di sovrapporlo, o peggio di sostituirlo con responsabilità di natura colposa incompatibile con la lettera delle fattispecie incriminatrici, che configurando comportamenti modulati sulla consapevolezza dolosa, non consente di addebitare all’autore di volontaria omissione, con argomentazione propria della colpa (e cioè con rimprovero di imperizia, o di negligenza o di imprudenza) l’evento che egli ha l’obbligo giuridico di impedire”;
- per i reati dolosi è espressamente insistito lo schema della responsabilità omissiva nei due elementi della rappresentazione dell’evento e della volontarietà dell’omesso impedimento (in violazione dell’obbligo giuridico fondato dalla posizione di garanzia) che può configurarsi anche in via eventuale, di tal che chi si sia sottratto nell’esercizio dei suoi doveri ex lege, accettando il rischio del realizzarsi dell’evento illecito presente nella sua rappresentazione, può rispondere ai sensi dell’art. 40 2 co. c.p..; “ ma pur in questa dilatazione consentita dalla forma eventuale del dolo non può esservi equiparazione tra conoscenza e conoscibilità dell’evento che si deve impedire, attenendo la prima all’area della fattispecie volontaria e la seconda , quale violazione ai doveri di diligenza all’area della colpa.
Da quanto affermato sin qui può già trarsi conclusivamente in termini banali che la questione, essenziale per il Tribunale – certamente per gli addebiti di tipo commissivo e, alla luce di quanto detto, anche per la prospettiva omissiva – è quella di verificare se gli elementi di accusa nei termini allegati diano conto o meno che Barachini, Silingardi e Sciumè si sono rappresentati che il consiglio di amministrazione per la loro parte, e i soggetti, per delega e ruolo tenuti, diffondevano al mercato informazioni false, sia per quanto attiene alla liquidità che all’indebitamento.
Rappresentazione che necessariamente passa dal valutare se, per dati cognitivi in loro possesso per via di rapporti personali o professionali con la società o con Tanzi, o sedendo nel consiglio di Amministrazione della Parmalat Finanziaria s.p.a, tali soggetti avessero avuto percezione che la realtà economico-finanziaria fosse tutt’affatto diversa da quella che veniva comunicata dagli esecutivi.
Quella realta che ha cominciato a disvelare l’equipe di PWC per Bondi, prima consulente della società ancora - si fa per dire - in bonis e poi Commissario Straordinario della procedura, è che è stata ricostruita nella sua interezza dalla consulente nominata dalla
Procura di Milano, dr.ssa Chiaruttini, a cui è stato dedicata in massima parte anche la annosa verifica dibattimentale.
Altra parte della sentenza con cui si è confrontato e correlato il percorso decisorio del Tribunale è quello in cui la Suprema Corte affronta più in dettaglio il tema sempre molto difficoltoso della prova nel merito delle vicende concrete, ovvero di quali siano e quale valenza debbano esprimere gli elementi attestanti la rappresentazione di cui si è detto.
In quel giudizio infatti la procura ricorrente aveva allegato una situazione di conoscibilità dell’evento illecito in virtù di segnali “forti”, di sintomi di patologia insiti nell’operazione coinvolgente la società bancaria, evincibili dagli atti sottoposti alla attenzione degli amministratori indipendenti, con sottolineatura di appiattimento ed affidamento sulle posizioni degli esecutivi (sull’assunto che l’affidamento ad esse non può ammettere cieca rinuncia delle personali facoltà critiche o di corredo di competenza professionale del non operativo).
Prospettazione certo accoglibile in via astratta – sottolinea la Corte – , ma per la quale occorre la dimostrazione di segnali perspicui e peculiari in relazione all’evento illecito, nonché l’accertamento del grado di anormalità di questi sintomi, non in linea assoluta, ma per l’amministratore non operativo.
Tale precisazione, ad avviso del Tribunale, vale a richiamare l’attenzione, anche attraverso le qualificazioni utilizzate, sul fatto che detti segnali debbano esprimere non una problematica generica bensì specifica valenza rappresentativa dell’evento stesso del reato contestato.
Vale a dire che i segnali in questioni devono essere tali da risultare “anormali” cioè esprimere, in sé considerati, circostanze significative di una realtà tale da far sorgere la rappresentazione dell’evento illecito: e solo in tal caso può anche prospettarsi l’accettazione del rischio di sua realizzazione.
Ovvero segnali tali alla cui presenza anche la condotta omissiva possa leggersi come volontaria adesione consapevole alla realizzazione dell’illecito, nella forma del dolo diretto o anche solo eventuale.
Nella specie, l’evento o comunque la condotta illecita rilevante consta della diffusione di notizie false in ordine al bilancio consolidato Parfin ovvero a dati afferenti il gruppo (questo è il reato contestato, declinato poi nei rapporti con il mercato, con la Consob e con le società di revisione) e i segnali devono essere anormali per gli amministratori che non
“gestiscono”, non hanno poteri di vigilanza o ispettivi di sorta, bensì devono valutare l’operato degli esecutivi delegati sulla scorta delle informazioni ricevute dai medesimi o comunque altrimenti in loro possesso, assolvendo all’obbligo di agire informati: certamente senza cieca rinuncia alle personali facoltà critiche ed alle personali conoscenze derivanti dalle rispettive competenze, ma neppure con presupposte conoscenze pari a quelle degli esecutivi.
Infine non possono essere disattesi in quanto condivisi dal collegio i richiami di attenzionamento provenienti dalla Corte di legittimità in ordine all’utilizzo di logiche meramente assertive o di lata presunzione, a proposito di:
- consapevole approvazione di ogni iniziativa della dirigenza;
- riduzione del Consiglio di amministrazione a “ratificatore” di decisioni prese altrove;
- sostanziose rettifiche intervenute dopo l’approvazione del bilancio;
- reciproca stretta relazione di amicizia tra alcuni protagonisti;
- palese rilevabilità di alcuni aspetti illeciti;
- eclatanza della vicenda.
In altri termini, conclusivamente, ad avviso del collegio, i segnali perspicui e peculiari in relazione all’evento illecito devono avere portata indiziante certa della intervenuta rappresentazione dell’illecito e devono pertanto verificarsi rigorosamente in concreto, nel contesto della situazione ex ante, in termini di gravità e convergente significatività, secondo lo schema, logico-esclusivo, della prova indiziaria (nella quale gli indizi devono essere innanzi tutto certi, gravi e convergenti quanto a significatività).
Non ultima è infine la verifica del nesso causale (la tematica è comune ai reati colposi e dolosi omissivi) tra la condotta imputata – nella specie omesso controllo per inerzia nell’informarsi e attivarsi nell’evitare l’evento – e l’evento illecito stesso – diffusione di informazioni false al mercato –; verifica da attuarsi a termini del cd “giudizio controfattuale”189
Vale a dire: se fosse stata tenuta la condotta richiesta – in tesi omessa da Barachini, Silingardi e Sciumè – e gli stessi si fossero attivati nel porre domande di approfondimento di quanto riferito dagli esecutivi del Consiglio Parfin, o di quanto altrimenti da loro comunque conosciuto, sarebbe stata impedita la diffusione di notizie false al mercato?