Motivi della decisione
7. Le manipolazioni del mercato (capo A)
7.1 Le false comunicazioni alle Consob (capo B)
Avendo riguardo al tenore del capo di imputazione in esame, oggetto di contestazione sono le comunicazioni inviate, nel periodo luglio-dicembre 2003, dal Consiglio di Amministrazione e dal Collegio Sindacale Parfin e dalle società di revisione GT e DT alla Consob in risposta alle richieste dalla medesima formulate. Secondo l’accusa, in tali comunicazioni sarebbero stati esposti fatti materiali non rispondenti al vero sulla situazione economica, patrimoniale e finanziaria del Gruppo Parmalat “al fine di ostacolare l’esercizio delle funzioni di vigilanza della Consob”.
La fattispecie in contestazione è, quindi, il delitto di false comunicazioni alle autorità di vigilanza di cui all’art. 2638 comma 1 cod. civ., integrante un reato di pericolo concreto, laddove quello di ostacolo alle funzioni delle predette autorità -previsto dal comma 2 e caratterizzato da identico trattamento sanzionatorio- integra un reato di evento.
L’interesse tutelato è il regolare funzionamento dell’autorità di vigilanza: nella prima delle ipotesi menzionate viene sanzionata la sua messa in pericolo, nell’altra la sua lesione effettiva.
Entrambe le fattispecie integrano reati propri, potendo essere commessi soltanto da soggetti che rivestono la qualifica di amministratore, direttore generale, dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili societari, sindaco e liquidatore di società o enti sottoposti per legge alle autorità pubbliche di vigilanza.
Nell’ipotesi disciplinata dall’art. 2638 comma 1 cod. civ. (reato di pericolo concreto) la condotta tipica può essere integrata alternativamente dall’esposizione di fatti non rispondenti al vero, ancorché oggetto di valutazione, o dall’occultamento totale o parziale, con altri mezzi fraudolenti, di fatti che avrebbero dovuto essere comunicati.
Con riferimento alla prima modalità di esplicazione della condotta, che è quella contestata nel capo di imputazione in esame, la norma incriminatrice stabilisce che l’esposizione di fatti non rispondenti al vero deve avvenire a mezzo di comunicazioni, dirette alle autorità di vigilanza, “previste in base alla legge”, tra cui rientrano senz’alcun dubbio quelle inviate alla Consob, ai sensi dell’art. 115 TUF, dagli emittenti quotati e dalle società di revisione.
La condotta di falsa comunicazione deve risultare idonea, sulla base di un giudizio ex ante e in concreto, ad ostacolare l’esercizio delle funzioni di vigilanza ovvero a fuorviare effettivamente l’attività dell’autorità destinataria.
167 In merito a tale aspetto, cfr. più diffusamente quanto evidenziato nel paragrafo 6.
168 Sul punto, si rimanda a quanto illustrato nel paragrafo 5, laddove è emerso che Tonna, Del Soldato, Bocchi, Pessina, Penca, Bianchi e Ferraris sono stati complici di Tanzi.
Non a caso, l’elemento soggettivo del delitto in esame è integrato dal dolo specifico di ostacolare l’esercizio della vigilanza, che si pone in piena sintonia con l’oggettività giuridica tutelata.
Quanto al delitto di ostacolo disciplinato dal comma 2 dell’art. 2637 cod. civ., trattasi di un reato con evento di danno, integrato dal cagionamento consapevole di un ostacolo alle funzioni di vigilanza a mezzo di qualsiasi condotta, anche non comunicativa.
Sempre in termini generali, va considerato che la legge 18 aprile 2005, n. 62 ha introdotto il reato comune a condotta libera di ostacolo alle funzioni di vigilanza della Consob, disciplinato dall’art. 170bis TUF che punisce “fuori dei casi previsti dall’art. 2638 cod.
civ., chiunque ostacola le funzioni di vigilanza attribuite alla Consob”. Attesa la clausola di riserva contenuta nella norma citata, nel caso in esame non assumono rilievo questioni di successione di leggi nel tempo.
Altra questione preliminare attiene ai rapporti tra il delitto di false comunicazioni alle autorità di vigilanza e l’art. 384 cp. In particolare, la difesa Tanzi ha dedotto l’illegittimità costituzionale di tale ultima disposizione, per violazione degli artt. 3, 24 e 111 della Costituzione, nella parte in cui non include il delitto di cui all’art. 2638 cod. civ. né tra quelli a cui è applicabile la speciale esimente dell’avere agito per esservi stato costretto dalla necessità di salvare sé medesimo o un prossimo congiunto da un grave ed inevitabile nocumento nella libertà e nell’onore (art. 384 comma 1), né tra quelli in relazione ai quali la punibilità è esclusa “se il fatto è commesso da chi per legge non avrebbe dovuto essere richiesto di fornire informazioni ai fini delle indagini o assunto come testimone, perito, consulente tecnico o interprete ovvero non avrebbe potuto essere obbligato a deporre o comunque a rispondere o avrebbe dovuto essere avvertito della facoltà di astenersi dal rendere informazioni, testimonianza, perizia, consulenza o interpretazione” (art. 384 comma 2). In proposito, basti osservare che l’esimente riconosciuta nell’art. 384 cp in relazione a determinati delitti contro l’attività giudiziaria trova la sua ragion d’essere nel riconoscimento della forza incoercibile degli affetti familiari e nel principio giuridico nemo tenetur se accusare e che il bilanciamento tra l’interesse alla repressione dei delitti contro l’amministrazione della giustizia e la tutela dei beni afferenti la sfera personale appartiene primariamente al legislatore, la cui scelta non è suscettibile di censura di legittimità costituzionale se non nei casi di manifesta irragionevolezza. Ebbene, l’eterogeneità della condotta descritta nell’art. 2638 cod. civ. (che sostanzialmente integra una forma di falsità ideologica documentale nei rapporti con l’autorità amministrativa) rispetto ai reati tassativamente elencati nell’art. 384 cp ed anche la diversa oggettività giuridica che assume rilevo nelle ipotesi prese in considerazione (tutela del regolare funzionamento di un organo amministrativo a fronte della tutela del corretto espletamento dell’attività giudiziaria, per quanto le funzioni giurisdizionali e di vigilanza presentino punti di interconnessione a livello sistematico) rende non manifestamente irragionevole la scelta del legislatore di non estendere l’esimente di cui all’art. 384 cp, munita del carattere dell’eccezionalità, alla
fattispecie di cui all’art. 2638 cod. civ.. La questione di illegittimità costituzionale dell’art.
384 cp sollevata con riferimento agli artt. 3, 24 e 111 della Costituzione risulta, pertanto, manifestamente infondata, senza contare che per l’orientamento assolutamente prevalente nella giurisprudenza di legittimità la causa di non punibilità di cui al comma 1 non compete al reo quando la situazione di pericolo sia stata da lui volontariamente causata e che il principio nemo tenetur se accusare, posto a fondamento dell’esimente speciale di cui al comma 2, è oggetto di tutela costituzionale solo con riferimento ai procedimenti giurisdizionali (art. 24 Cost.).
Venendo ad una verifica della sussistenza degli elementi costitutivi del delitto in contestazione, si è già evidenziato che, tra le comunicazioni “previste in base alla legge”
rilevanti ai sensi dell’art. 2634 cod. civ. comma 1 parte prima, rientrano senz’alcun dubbio quelle inviate alla Consob ex art. 115 TUF dagli emittenti quotati e dalle società di revisione.
La circostanza che le notizie false indicate in tali comunicazioni coincidano con quelle riportate nei comunicati stampa contestati al capo A) non determina in alcun modo l’assorbimento del reato in esame in quello di aggiotaggio, come invece pretenderebbe la difesa Tanzi.
A tale riguardo, va evidenziato anche in questa sede come l’operatività del principio dell’assorbimento richieda che i diversi fatti da giudicare rappresentino differenti gradi o tipi di offesa ad uno stesso bene giuridico. Ora, è pur vero che il delitto di false comunicazioni alle autorità di vigilanza è riconducibile alla categoria dei reati posti a tutela di beni istituzionali facenti capo ad enti pubblici, la cui integrità è strumentale alla salvaguardia dei c.d. beni finali, ma ciò non toglie che la tutela del bene istituzionale risulti caratterizzata da autonomia propria e non possa, pertanto, ritenersi assorbita nel reato posto a protezione del bene finale. In altri termini, nonostante l’interesse tutelato dal delitto in esame (il regolare funzionamento delle autorità di vigilanza) risulti strumentale al regolare funzionamento del mercato (oggetto di tutela nel reato di aggiotaggio), non possono ritenersi assorbiti nei fatti di manipolazione del mercato gli episodi antecedenti o susseguenti di false comunicazioni alla Consob, atteso che il delitto di cui all’art. 2638 cod.
civ. va a sanzionare in via diretta ed immediata lesioni potenziali o effettive all’integrità soggettiva dell’ente istituzionalmente deputato allo svolgimento delle funzioni pubbliche di vigilanza.
Sotto il profilo soggettivo, va osservato che, a mezzo della comunicazioni contestate al capo B), Calisto Tanzi ha perseguito lo scopo di procrastinare l’emersione dello stato di dissesto del Gruppo Parmalat e, quindi, in sostanza quello di ostacolare l’esercizio della vigilanza da parte della Consob, la quale doveva essere tenuta all’oscuro, al pari del mercato, di quella che era la reale situazione economica, patrimoniale e finanziaria del Gruppo.
L’occultamento è stato assicurato da un combinato di diverse condotte tra loro contestuali e al contempo presupposto le une delle altre, atteso che per oltre dieci anni nei bilanci della holding e di alcune società controllate sono stati riportati dati non veritieri reiterati nelle comunicazioni al mercato e alla Consob. Prima del luglio 2003, le comunicazioni inviate alla Consob erano quelle “ordinarie” previste dagli artt. 90 ss del Regolamento Emittenti (“informazione periodica”,“informazione su operazioni straordinarie”, “altre informazioni” ecc.), mentre durante il periodo oggetto di contestazione assumono rilievo comunicazioni effettuate in risposta a richieste di precisazioni formulate dall’organo di vigilanza a fronte delle indiscrezioni riportate dalla stampa sulle solidità finanziaria del Gruppo Parmalat. Appare evidente, pertanto, come le comunicazioni da ultimo considerate fossero finalizzate ad occultare le falsità sino ad allora perpetrate e, al contempo, a commetterne di nuove. E’ proprio in relazione a tale aspetto che si coglie come l’aggravante “di aver commesso il fatto al fine di eseguire ed occultare il reato di aggiotaggio di cui al capo A) della rubrica” risulti correttamente contestata sia sotto il profilo dell’esecuzione di ulteriori episodi di aggiotaggio che di occultamento di quelli già posti in essere, poiché con ognuna delle risposte inviate alla Consob nel periodo oggetto di contestazione si volevano celare la falsità sino ad allora propalate al mercato e, altresì, rendere possibili rappresentazioni di dati non genuini nei comunicati successivi e, così, perpetuare il sistema di falsità totalizzante su cui si reggeva il Gruppo.
Deve, inoltre, essere evidenziato che le comunicazioni di cui alla rubrica, avendo riguardo al precipuo momento storico in cui sono intervenute, non si sono limitate a mettere in pericolo il regolare funzionamento dell’ente istituito a tutela del mercato, ma nel loro complesso hanno senz’altro ostacolato l’esplicazione delle funzioni di vigilanza al medesimo attribuito, atteso che -nonostante l’attivazione da parte della Consob di poteri di intervento “straordinario”, esplicitati nelle richieste ex artt. 115 TUF- sono proseguiti per altri cinque mesi i flussi informativi falsi provenienti da Parfin e dalle società di revisione.
Più nel dettaglio, le comunicazioni che assumono rilievo e che vanno ad integrare autonomi episodi del delitto di cui all’art. 2638 comma 1 cod. civ. sono quelle emesse dal Consiglio di Amministrazione e dal Collegio Sindacale Parfin e dalle società di revisione DT e GT già indicate nel paragrafo relativo ai principali accadimenti del 2003. Trattasi, in particolare, delle note inviate: dal Consiglio di Amministrazione Parfin in data 10-21-25-30 luglio, 25 settembre e 7-9 ottobre; dal Collegio Sindacale Parfin in data 23-29 luglio, 3 settembre e 5-17 novembre; dalla DT in data 23 luglio, 21 agosto e 19 settembre; dalla GT in data 20 agosto e 4 dicembre 2003.
Come già rilevato, in tali comunicazioni vengono reiterate le falsità espresse nei bilanci della Parfin e di alcune società controllate, con la conseguenza che in esse risultano rappresentati dati palesemente fasulli con riferimento alla posizione finanziaria netta del Gruppo, alle disponibilità finanziarie di pertinenza della Bonlat e di altre controllate (essenzialmente Contal e Capital Finance), all’ammontare dei bonds riacquistati, alla
esistenza di impegni assunti a fronte delle emissioni obbligazionarie (covenants ecc.), alla consistenza e alla liquidazione del Fondo Epicurum, nonché all’ammontare dell’indebitamento in essere con il sistema bancario.
Ciò detto, Calisto Tanzi deve essere ritenuto responsabile non soltanto delle comunicazioni effettuate dal Consiglio di Amministrazione della Parfin e da lui sottoscritte in qualità di Presidente, ma pure di quelle riferibili al Collegio Sindacale e alle società di revisione, posto che -al di là dell’accertamento della colpevolezza dei sindaci e dei revisori che rivestono la qualifica di intranei- l’imputato ha disposto la falsificazione dei bilanci di varie società del Gruppo ed ha sottoposto i dati in essi contenuti, consapevole della loro falsità, agli organi societari e ai revisori, affinché questi ne confermassero la veridicità anche nei rapporti con la Consob, comportamento integrante un contributo causale indefettibile alla commissione del reato in esame. Al riguardo, deve osservarsi che i sindaci e i revisori hanno comunicato alla Consob dati non veritieri in merito alla situazione economica, patrimoniale e finanziaria del Gruppo Parmalat ed hanno, quindi, posto in essere la condotta tipica del reato, il che è sufficiente per la dichiarazione di responsabilità di Tanzi (che riveste il ruolo di extraneus), non essendo necessario accertare -in virtù del principio dell’irrilevanza della non punibilità di uno dei concorrenti (artt. 111, 112 uc e 119 cp)- la colpevolezza del soggetto qualificato. Tale tematica verrà meglio analizzata nel prossimo paragrafo con riferimento al reato di falsità nelle relazioni delle società di revisione, essendo stata introdotta dalla difesa Tanzi in relazione a tale imputazione.
In merito alle circostanze aggravanti contestate al capo B), si è sopra accertata la sussistenza dell’aggravante del nesso teleologico; devono, altresì, ritenersi integrate le circostanze di cui ai nn. 1 e 2 dell’art. 112 cp sulla base di quanto già illustrato in tema di aggiotaggio.