Motivi della decisione
7. Le manipolazioni del mercato (capo A)
7.2 Le falsità nelle relazioni delle società di revisione (capi C e D)
Secondo l’ipotesi accusatoria trasfusa nei capi di imputazione C) e D), i prevenuti, in concorso con i revisori ed altri soggetti “anche in relazione ai controlli non esercitati”, con l’intenzione di ingannare i destinatari delle comunicazioni e con la consapevolezza delle falsità in esse contenute, “al fine di far conseguire un ingiusto profitto ai responsabili del Gruppo Parmalat”, nelle relazioni di certificazione e nelle altre comunicazioni emesse dalle società di revisione DT (capo C) e GT (capo D) sui bilanci delle società del Gruppo Parmalat, attestavano il falso ed occultavano informazioni rilevanti sulle effettive condizioni economiche delle società sottoposte a revisione, in modo idoneo ad indurre in errore i destinatari delle comunicazioni e cagionando agli stessi un danno patrimoniale di rilevante entità.
Nel corpo di tale descrizione di sintesi, riportata in termini identici tanto nel capo C) quanto nel capo D), è contenuto il riferimento alle comunicazioni e certificazioni emesse dalle
società di revisione relativamente agli esercizi 1999-2002 e a parte del 2003, utilizzandosi per esplicitare il tempus commissi delicti la formula “fino al dicembre 2003”.
Ebbene, al di là del dato temporale indicato nell’imputazione, deve ritenersi che siano oggetto di sostanziale addebito agli imputati esclusivamente le comunicazioni e le certificazioni rilasciate nel corso del 2002 e del 2003. In tal senso, si evidenzia che le condotte di attestazione del falso e di occultamento di informazioni rilevanti che nella rubrica vengono dettagliate in via esemplificativa attengono, nel caso di DT (capo C), a comunicazioni e certificazioni rilasciate negli anni 2002 e 2003 e, nel caso di GT (capo D), a comunicazioni e certificazioni che vengono individuate, senza specificazione temporale, con riferimento a determinate tematiche (indebitamento effettivo della Parmalat, modalità della circolarizzazione dei saldi delle società revisionate, ruolo della Bonlat, parti correlate) che -seppur già attuali nel 1999- nel corso dell’istruttoria dibattimentale sono state compiutamente esaminate in relazione agli anni 2002 e 2003169. D’altro canto, per quanto concerne sia i “falsi GT” che i “falsi DT”, l’articolazione delle prove orali e documentali si è incentrata essenzialmente sull’operato dei revisori negli anni 2002 e 2003, con la conseguenza che le condotte addebitate nei capi di imputazione in esame devono intendersi limitate a tale periodo temporale.
Fatta questa necessaria premessa, va rimarcato come la formulazione dell’imputazione ricalchi in tutti i suoi elementi costitutivi la fattispecie delittuosa di cui all’art. 2624 comma 2 cod. civ., peraltro espressamente richiamata nei riferimenti normativi indicati in rubrica.
L’attuale versione dell’art. 2624 cod. civ., rubricato “Falsità nelle relazioni o nelle comunicazioni delle società di revisione”, è stato introdotto dalla riforma del diritto penale societario di cui al D.lgs. 11 aprile 2002, n. 61, che ha abrogato la precedente disciplina penale della revisione contabile contenuta nell’art. 175 TUF. Tale ultima disposizione configurava il delitto di falsità nelle relazioni e comunicazioni della società di revisione quale reato proprio, richiedendo la qualifica di amministratore o socio responsabile della società di revisione, e di mera condotta, assumendo rilievo la semplice attestazione di circostanze non veritiere o l’occultamento di informazioni rilevanti sulle condizioni economiche della società assoggettata alla revisione nelle relazioni o altre comunicazioni.
L’art. 2624 cod. civ. ha ristretto l’ambito di punibilità delle falsità nelle relazioni e comunicazioni della società di revisione, avendo introdotto alcuni elementi specializzanti rispetto alla fattispecie contenuta nell’art. 175 TUF, di talché correttamente il PM ha contestato anche con riferimento alle condotte poste in essere prima dell’entrata in vigore del D.lgs. n. 61/2002 (che, sulla base di quanto sopra evidenziato, devono intendersi contestate limitatamente al periodo gennaio-aprile 2002) tutti gli elementi “nuovi”
introdotti dalla riforma.
169 L’unica operazione concreta cui si fa riferimento nel capo D) è quella relativa alla cessione dei marchi Santal, risalente al 2003 (sul punto, cfr. paragrafo 4).
In particolare, l’art. 2624 cod. civ. disciplina, al comma 1, una figura contravvenzionale di pericolo concreto e, al comma 2, un figura delittuosa con evento di danno secondo lo schema utilizzato anche per il falso in bilancio, individuando quale unico elemento di discrimine tra le due figure la verificazione di un evento dannoso nei confronti dei destinatari della comunicazione.
Entrambi i reati si configurano come reati propri, richiedendosi in capo al soggetto attivo la qualifica di “responsabile della revisione”.
La condotta di falso è sostanzialmente identica a quella incriminata dall’abrogato 175 TUF, risultando integrata quando i responsabili della revisione “nelle relazioni o in altre comunicazioni .. attestano il falso od occultano informazioni concernenti la situazione economica, patrimoniale o finanziaria della società, ente o soggetto sottoposto alla revisione”, ma -diversamente da quanto prevedeva l’art. 175 cit.- deve essere caratterizzata dall’idoneità ad indurre in errore i destinatari delle comunicazioni, nonché -sotto il profilo soggettivo- posta in essere “al fine di conseguire per sé o per altri un ingiusto profitto”
(dolo specifico) e “con la consapevolezza della falsità e l’intenzione di ingannare i destinatari delle comunicazioni” (dolo intenzionale). Come già rilevato, quando dalla condotta così caratterizzata, che di per sé sola integra l’ipotesi contravvenzionale di cui al comma 1 dell’art. 2624 cod. civ., consegue un danno patrimoniale ai destinatari delle comunicazioni, si configura la fattispecie delittuosa di cui al comma 2 del medesimo articolo, oggetto di contestazione nei capi in esame.
Peraltro, la legge 28 dicembre 2005, n. 262 ha introdotto una nuova incriminazione delle falsità dei revisori nell’ambito del TUF (art. 174bis), che si applica alla revisione “delle società con azioni quotate, delle società da queste controllate e delle società che emettono strumenti finanziari diffusi tra il pubblico in misura rilevante ai sensi dell’art. 116 TUF”, lasciando all’art. 2624 cod. civ. la funzione di tutelare la veridicità delle relazioni e delle comunicazioni relative alle società diverse da quelle testé indicate. In particolare, la fattispecie di cui all’art. 174bis cit. è strutturata come delitto di mera condotta a pericolo concreto (la condotta di attestazione del falso o di occultamento delle informazioni rilevanti deve risultare caratterizzata da idoneità decettiva) e, sotto il profilo soggettivo, richiede l’intenzione di ingannare i destinatari delle comunicazioni e non anche la finalità di conseguire per sé o per altri un ingiusto profitto, elemento soggettivo quest’ultimo invece richiesto dall’art. 2624 cod. civ.. Qualora assuma rilievo la revisione di società quotate e da queste controllate come nel caso di Parfin, pertanto, il fatto di reato introdotto dall’art.
174bis cit. è senz’altro riconducibile all’ambito di applicazione dell’art. 2624 cod. civ. e, risultando più severamente punito dal legislatore170, agli episodi contestati nei capi di
170 Il reato introdotto dall’art. 174bis TUF è sanzionato con la pena della reclusione da uno a cinque anni, mentre l’art. 2624 cit. prevede al comma 1 la pena dell’arresto fino ad un anno e al comma 2 quella della reclusione da uno a quattro anni. Si noti che il secondo comma dell’art. 174bis TUF introduce quali circostanze aggravanti ad effetto speciale la commissione del fatto per denaro o altra
imputazione in esame deve continuare ad essere applicata la disposizione codicistica, trattandosi della norma più favorevole ai sensi dell’art. 2 comma 4 cp.
Quanto alle “relazioni” e alle “altre comunicazioni” rilevanti ai sensi dell’art. 2624 cod.
civ., va precisato che per “relazioni” devono intendersi gli atti tipici con i quali la società di revisione esprime il proprio parere sul bilancio, sia quello di esercizio sia quello consolidato, mentre nel concetto di “altre comunicazioni” devono ricondursi tutti gli altri atti che la società di revisione redige in particolari momenti della vita sociale o perché obbligata da una particolare disposizione di legge (aumenti di capitale, fusioni, scissione ecc.)171 o perché in tal senso accordatasi con la società assoggettata a revisione, purché in quest’ultimo caso venga rispettato il requisito della pertinenza del mezzo di comunicazione alla situazione economica, patrimoniale o finanziaria della medesima. A tale ultima ipotesi, sono ad esempio riconducibili le confort letters in cui il revisore, al fine di rafforzare il convincimento di un terzo in merito alla solvibilità della società revisionata, attesta la solidità finanziaria del proprio cliente, così inducendo il terzo a concedergli dei finanziamenti o a concludere determinati affari con il medesimo.
Le relazioni e le comunicazioni delle società di revisione sono dirette indistintamente verso l’esterno a diverse categorie di interessati.
Sono soggetti passivi del reato certamente quanti non partecipando alla vita della società sottoposta a controllo fanno affidamento sulle attestazioni di conformità alla legge provenienti dagli organi della società di revisione a ciò deputati. In primo luogo i creditori, non solo quelli presenti ma anche quelli futuri, che sulla base di tali attestazioni potrebbero essere indotti a concedere dei finanziamenti, ed i terzi in genere, che potrebbero convincersi ad acquistare azioni o partecipazioni della società, fondandosi sull’erroneo presupposto della regolarità della sua gestione contabile. Destinatari delle comunicazioni in parola sono ovviamente anche i soci, le cui quote sociali potrebbero subire delle oscillazioni di valore non legate al fisiologico andamento delle leggi di mercato, ed anche la stessa società assoggettata al controllo, i cui interessi devono ugualmente ritenersi tutelati dalla norma in commento, atteso che il protrarsi dell’attività economica in ragione delle false attestazioni potrebbe determinare esposizioni non ripianabili ed anche danni all’immagine.
Alla stregua dei principi appena esaminati, nel caso in esame risulta incontrovertibile che le relazioni e le comunicazioni emesse da DT e GT negli anni 2002 e 2003 con riferimento alle società del Gruppo Parmalat siano caratterizzate -sotto il profilo oggettivo- da falsità e carenze informative rilevanti, atteso che in esse risulta attestata la veridicità di dati di utilità, data o promessa, nonché la commissione del fatto in concorso con gli amministratori, i direttori generali o i sindaci della società revisionata.
171 Non sembrano assumere rilievo nell’ambito dell’art. 2624 cod. civ. le comunicazioni inviate dalle società di revisione alla Consob, atteso che tale disposizione introduce ipotesi di reato poste a tutela degli interessi patrimoniali dei destinatari delle certificazioni e delle comunicazioni ivi previste; correttamente, dunque, le comunicazioni inviate dalla GT e dalla DT alla Consob ex art.
115 TUF sono state contestate nel già esaminato capo B).
bilancio che -come già ampiamente illustrato nel paragrafo 4- erano stati oggetto di massiccia falsificazione sotto diversi profili. Si ricorda, inoltre, che in nessuna delle relazioni emesse da DT e GT sono mai state espresse delle riserve, fatta eccezione per quella emessa da DT sulla semestrale Parfin al 30.06.2003, laddove i rilievi hanno riguardato il valore di iscrizione in bilancio delle quote del Fondo Epicurum la contabilizzazione di un importo incassato a fronte di uno swap valutario. Oltre alle relazioni sui bilanci e sui dati di periodo (semestrale e trimestrali), DT e GT hanno rilasciato “altre comunicazioni” per attestare la solidità finanziaria delle società da loro rispettivamente revisionate e da queste utilizzate nei rapporti con i terzi: in proposito, si considerino le numerose confort letters172 emesse da DT in relazione ad alcune società del Gruppo per consentire loro l’emissione di prestiti obbligazionari, oggetto di specifica contestazione nel capo C) limitatamente agli “anni 2002 e 2003”.
Ebbene, accertatosi che nelle relazioni e comunicazioni emesse da DT e GT negli anni 2002 e 2003 venivano attestati dati falsi e occultate informazioni rilevanti in relazione alle società del Gruppo Parmalat assoggettate a revisione173, va rimarcato come gli atti in questione abbiano esplicato una efficacia decettiva nei confronti dei loro destinatari: invero, avendo riguardo all’entità esorbitante dell’esposizione passiva di tali società al momento di ammissione alla procedura di Amministrazione Straordinaria174, emerge in tutta evidenza come moltissimi soggetti abbiano riposto fiducia nella solvibilità delle medesime, divenendone creditori o addirittura soci, e ciò anche in virtù delle attestazioni dei revisori di conformità alla legge delle comunicazioni sociali, attestazioni che oltretutto integrano un presupposto formale in assenza del quale le società in parola non avrebbero potuto neppure operare ed emettere titoli finanziari. Sotto altro profilo, si è già evidenziato come soggetto passivo della norma in esame possa essere anche la società assoggettata a revisione, possibilità che deve ritenersi concretizzata nel caso in esame, atteso che il protrarsi dell’attività economica in virtù delle false certificazioni di regolarità contabile ha determinato un’amplificarsi dell’esposizione debitoria, rendendo così oltremodo difficile un qualsiasi tipo di risanamento aziendale. Sulla base di quanto evidenziato deve, dunque, ritenersi integrato l’evento di danno di cui all’art. 2624 comma 2 cod. civ. ed anche la contestata aggravante del danno patrimoniale di rilevante gravità. A tale ultimo proposito, si osserva che in caso di reato continuato “valendo, in mancanza di tassative esclusioni, il principio della unitarietà, la valutazione in ordine alla sussistenza o meno dell’aggravante
172 Cfr. all. 13 alla consulenza tecnica del PM, Vol. III.
173 A titolo esemplificativo, si consideri la formula utilizzata nelle relazioni DT in atti: “il bilancio Parfin è conforme alle norme che ne disciplinano i criteri di redazione; esso è pertanto redatto con chiarezza e rappresenta in modo veritiero e corretto la situazione patrimoniale e finanziaria e il risultato economico del gruppo”.
174 Su tali dati cfr. paragrafo 4, nonché la già citata “Relazione del Commissario Straordinario sulle Cause di Insolvenza” (produz. parte civile Parfin cit.).
di cui all’art. 61 n.7 cp va operata con riferimento non al danno cagionato da ogni singola violazione, ma a quello complessivo cagionato dalla somma delle violazioni”175.
Assumendo rilievo una fattispecie concorsuale in un reato proprio, sempre sotto il profilo oggettivo va evidenziato come i revisori -titolari della qualifica richiesta ex lege- abbiano fornito un contributo essenziale alla consumazione del reato, avendo provveduto all’emissione delle relazioni e delle comunicazioni sopra indicate e, dunque, posto in essere la condotta tipica del reato. Occorre ora stabilire se per affermare la responsabilità dell’extraneus (ovvero di Calisto Tanzi, il quale ha provveduto a falsificare i bilanci e a sottoporli ai revisori per la loro certificazione) sia necessario accertare che anche il soggetto qualificato abbia agito colpevolmente. Orbene, gli artt. 111, 112 uc e 119 cp176 sanciscono il principio dell’irrilevanza del non punibilità di uno dei concorrenti per mancanza di colpevolezza o imputabilità, applicabile -attesa la sua portata generale- anche ai reati propri e, quindi, al caso in cui il concorrente non colpevole o non punibile coincida con il soggetto qualificato. Sul punto è intervenuta la Suprema Corte -peraltro con pronunce assai risalenti, attesa la assoluta incontrovertibilità della regola di diritto in esame- statuendo che
“nell’ipotesi di concorso di persone in un reato proprio sussiste la responsabilità dell’estraneo anche se il soggetto qualificato, autore materiale del fatto, non sia punibile a causa di una condizione personale o per mancanza di dolo”177. In particolare, la Corte ha ritenuto possibile il concorso di un soggetto non qualificato nel reato di bancarotta, anche quando l’imprenditore fallito vada assolto per mancanza di dolo178, ed ha ammesso il concorso del privato nella falsità ideologica realizzata dal pubblico ufficiale, nonostante la non punibilità di quest’ultimo179. Parte minoritaria della dottrina ha sostenuto che il principio illustrato non potrebbe operare con riferimento a quelle ipotesi di reato (tra cui alcuni delitti dei pubblici ufficiali contro la PA) in cui per la integrazione dell’offesa è richiesta la necessaria dolosa partecipazione dell’intraneo, evidenziando come in assenza di tale elemento la condotta posta in essere risulterebbe carente di tipicità. Ora, anche ad accogliere tale impostazione, si evidenzia che, attesa l’oggettività patrimoniale che caratterizza il reato di cui all’art. 2626 comma 2 cod. civ., il bene giuridico protetto da tale norma (ovvero il patrimonio dei soggetti destinatari delle comunicazioni delle società di revisione) può essere leso anche in assenza di dolo dell’intraneus, come nel caso in cui il
175 Cass., Sez. VI, 8 luglio 2005, n. 33951.
176 Nella specie, l’art. 111 stabilisce che in caso di determinazione al reato di persona non imputabile o non punibile risponde del reato il solo determinatore, mentre l’art. 112 uc sancisce l’applicabilità di alcune delle circostanze aggravanti previste dal medesimo articolo anche all’ipotesi in cui uno dei concorrenti non sia imputabile o non sia punibile. Quanto all’art. 119, tale norma attiene alla valutazione delle circostanze di esclusione della pena, limitando l’efficacia di quelle soggettive al concorrente cui si riferiscono ed estendendo a tutti i concorrenti quelle di natura oggettiva.
177 Cass., Sez. V, 12 aprile 1983, n. 4418.
178 Cass. n. 4418/1983 cit..
179 Cass., Sez. V, 22 giugno 1978, n. 8135.
soggetto privo di qualifica abbia approfittato della inconsapevolezza di questi. Sulla base di quanto evidenziato, pertanto, deve ritenersi che, per valutare la posizione di Calisto Tanzi con riferimento al reato di falsità nelle relazioni delle società di revisione, non sia necessario accertare la colpevolezza dei revisori, ormai imputati in altro procedimento180. Avendo, dunque, riguardo alla sola posizione dell’ex patron del Gruppo Parmalat, emerge con solare evidenza la sua responsabilità in relazione alle imputazioni in esame, avendo egli sottoposto ai revisori dei dati di bilancio non veritieri ed avendo fatto sì che i medesimi li certificassero, condotta posta in essere con l’intenzione di ingannare i destinatari delle comunicazioni e di indurli a fare affidamento sulla solvibilità delle società assoggettate a revisione ovvero a contrarre con le stesse, con la consapevolezza delle falsità contenute nelle comunicazioni e nelle relazioni emesse dai revisori, al fine di far conseguire un ingiusto profitto a sé e ad altri interni e/o esterni al Gruppo Parmalat, con conseguente danno dei destinatari delle comunicazioni predette.
Conclusivamente, risultando integrato l’elemento soggettivo richiesto dall’art. 2626 cod.
civ. in capo a Tanzi, poco importa disquisire sul dolo riferibile a questo o a quel revisore come ha invece fatto la difesa dell’imputato, che ha dedotto che in capo ai revisori della DT potrebbe configurarsi un dolo solo eventuale, incompatibile con il dolo intenzionale previsto dall’art. 2626 cit..
Tanzi deve, quindi, essere dichiarato responsabile dei reati di cui ai capi C) e D). Quanto alle aggravanti contestate, si è già accertata la sussistenza del cagionamento di un danno patrimoniale di rilevante entità. In merito alle ulteriori aggravanti di cui alla rubrica, le stesse devono ritenersi integrate sulla base di quanto già illustrato in tema di aggiotaggio e false comunicazioni alla Consob.