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Motivi della decisione

9. I segnali di allarme evidenziati dall’accusa

9.1 La questione del Fondo Hermes

Nel dicembre 2002 il Fondo Hermes, investitore istituzionale socio di Parfin inoltrava una lettera critica che affrontava vari punti quali: il modesto rendimento delle azioni 190, la mancanza di dialogo con il management esecutivo, la eccessiva personalizzazione dei vertici e l’eccessivo indebitamento finalizzato a proteggere il controllo di Tanzi e della sua famiglia (in sostanza di Coloniale), con rilievo che non erano stati proposti aumenti di capitale perché Tanzi non era in grado di sottoscriverli e, se ciò nonostante effettuati, lo stesso avrebbe perso il controllo; infine evidenziando la necessità che la maggioranza degli amministratori fosse formata da non esecutivi indipendenti con durata di carica minore.

Manifestava, poi, il Fondo un invito rivolto al consiglio di amministrazione e al collegio sindacale riguardante rapporti economici con parti correlate ed esternava sospetti in merito ad un possibile conflitto di interesse, ovvero la preoccupazione che si realizzassero ipotesi di transfer pricing (si trattava di rapporti negoziali per cui la Parmalat acquistava

190 Da ricordare che dal novembre 2002 al 13 marzo 2003, Parfin perde la metà del valore con andamento nettamente peggiore di quello dell’indice Mibtel, in cui viene inserito nel gennaio 2003

regolarmente in grande quantità il macchinario e l’apparecchiatura prodotta dalla F.lli Strini costruzioni Meccaniche s.r.l., controllata al 51% dalla stessa ma il cui amministratore delegato Stefano Strini - componente la famiglia che deteneva il restante 49% - aveva legami famigliari con Tanzi, e si trattava altresì dell’acquisto dei servizi di viaggio da parte di Parmalat dalla HIT Holding Italiana Turismo, posseduta integralmente da membri della famiglia Tanzi e gestita dalla figlia di Tanzi, Francesca).

Letteralmente in questa missiva il Fondo Hermes affermava: “Crediamo fortemente che il consiglio di amministrazione ed il collegio sindacale di Parmalat dovrebbe indagare sui livelli prezzi così come sulle procedure di Controllo volte ad assicurare raffronti periodici di prezzi e relazionare gli azionisti qualora dovessero riscontrare , con riferimento agli ultimi cinque anni prezzi inappropriati e non concorrenziali.

La questione veniva portata da Tanzi al consiglio di amministrazione del 28.1.03, in cui si era presentato dando contezza di una lettera, preconfezionata dall’ineffabile avvocato Zini, di risposta punto per punto alla missiva. Emergeva tuttavia che il collegio sindacale (cui anche la missiva era stata inoltrata) aveva già attivato il comitato di controllo interno presieduto da Silingardi in quanto ritenute opportune delle verifiche per il controllo della congruità o meno dei prezzi dei servizi attenzionati dal Fondo.

In quel consiglio, su proposta di Barachini, all’unanimità si decideva di aspettare la relazione del comitato e di discuterla in un successivo consiglio convocato per il 28 febbraio, in congruo anticipo sulla riunione consigliare in cui si sarebbe dovuto esaminare il bilancio dell’esercizio 2002.

Nel verbale del consiglio 28.2.03 effettivamente risulta che si riferisce delle verifiche effettuate dal comitato di controllo e viene approvata una risposta al Fondo.

La vicenda del Fondo Hermes è stata valorizzata dall’accusa requirente con riferimento alla più vasta problematica dei rapporti tra Tanzi e il gruppo del “turismo” – in pessime acque – e che è risultato beneficiato da distrazioni consistenti attuate per il tramite della caymanense Bonlat.

Ha inteso argomentare l’accusa il rimprovero ai non esecutivi di non avere attenzionato e di non essersi informati sulla problematica dei rapporti con le correlate (ambito privilegiato di molte delle attuate falsificazioni bilancistiche), in relazione ai quali questa lettera del Fondo Hermes avrebbe dovuto costituire un richiamo ineludibile, che avrebbe dovuto indurre domande di approfondimento o iniziative che portassero a scoperchiare, fin dai primi mesi del 2003, la gravissima situazione economico-finanziaria del gruppo; così riducendosi almeno l’entità del default.

Non può non sottolinearsi fin d’ora – perché il discorso è ricorrente – che siffatta impostazione si giova di informazioni, o, per meglio dire, dei risultati di una compiuta ricostruzione delle modalità operative con cui Tanzi e company hanno pervicacemente falsificato i dati del bilancio consolidato e prima ancora dei sub consolidati e dei vari bilanci delle oltre duecento società controllate.

Una realtà in allora, nei primi mesi del 2003, nota certamente agli ideatori e autori di tale immane falsificazione che sedevano nel consiglio Parfin e che è convincimento dell’accusa fosse altrettanto nota anche agli imputati di cui trattasi.

Tutto è possibile naturalmente, ma in sede processuale, per l’affermazione di responsabilità e relativa condanna penale occorre la prova ragionevolmente certa – o al di là di ogni ragionevole dubbio che dir si voglia – di siffatta consapevolezza e quindi occorre valutare se effettivamente la missiva del Fondo Hermes, all’epoca in cui fu inoltrata, aveva una qualche valenza di anormalità percepibile dai non esecutivi, tale che il loro comportamento – omissivo nel senso che nell’occasione non sono stati colpiti dalla tematica delle correlate e non hanno chiesto se tutte le correlate fossero come tali evidenziate – possa leggersi in termini di volontaria omissione del proprio obbligo di agire informati, collegabile alla conoscenza che attraverso l’occultamento o la manipolazione dei rapporti con le correlate si falsificavano i bilanci .

Intanto è da chiarire che il problema delle correlate attiene, nel caso in particolare, alla sub-holding Parmalat s.pa. e che tale società ha i suoi organi di amministrazione e controllo. E’

vero che i dati dei sub-consolidati di Parmalat s.p.a. e di Dalmata s.r.l. vanno a comporre il consolidato approvato da Parfin s.p.a., ma gli amministratori non esecutivi di Parfin hanno evidenza, in quanto tali, semplicemente di quello che risulta dal sub-consolidato;

certificato e in quanto tale affidabile.

L’accusa ha fondato tale assunto segnale, in realtà, con riferimento precipuo a Silingardi ed in relazione a suoi rapporti con la società Sata. Di ciò si tratterà nella posizione Silingardi;

ma deve subito rilevarsi che proprio la missiva del Fondo Hermes è in sé inidonea a polarizzare l’attenzione sulla tematica proposta dall’accusa, per il tenore e il significato complessivo della medesima e per il fatto che attenziona correlate esistenti e note, sotto un particolare aspetto.

Allora si impone una oggettiva disamina del contenuto della missiva in questione e di come è stata trattata.

Rileva il Tribunale innanzi tutto che la missiva del Fondo Hermes non dice in generale proprio nulla di nuovo rispetto a quanto noto non solo ai non esecutivi, ma anche al mercato, che conosceva benissimo delle iniziative – a latere del gruppo Parmalat – di Tanzi o della famiglia nel settore del Turismo in particolare e della composizione del capitale del gruppo stesso e che conosceva benissimo lo squilibrato rapporto indebitamento/patrimonio, a maggior ragione in presenza di elevata liquidità .

Semmai la sostanza della missiva del Fondo Hermes manifesta la comprensibile insoddisfazione di un socio che registra un andamento deludente del valore del titolo Parfin in quel momento e già da qualche mese e che auspica iniziative per valorizzare la società: mentre essa non ha niente a che vedere né con sospetti sulla liquidità, nè con la strategia aziendale di suo mantenimento – tanto che auspicherebbe il Fondo un aumento

patrimoniale mediante sottoscrizione di altro capitale – e neppure con un possibile indebitamento superiore a quello effettivo.

La preoccupazione esternata dal Fondo è solo quella, in generale ed in particolare del

“conflitto di interessi” (tema di ricorrente evidenza, oggi anche oggetto di attenzione perlomeno da parte di qualche authority): si insinua in poche parole che il cav. Tanzi,

“padrone” di Parfin e che tale vuole rimanere escludendo aumenti di capitale che consentirebbero un miglior equilibrio del rapporto patrimonio/debito della società, se ne serva per privilegiare – quali fornitori in specifico di Parmalat s.p.a. – società notoriamente di interesse di suoi famigliari, acquistando beni o servizi anche a prezzo non concorrenziale.

Il Fondo non pone una questione di dati di bilancio più o meno congrui, ma semmai di prezzi che lascia intendere devono essere convenienti per la società, senza trasferire benefici al venditore, solo perché si tratta di un famigliare; e non nutre il benché minimo dubbio sulla correttezza dei bilanci consolidati che approva, come approverà quello al 31.12.2002 in assemblea, dichiarando di ritirare la propria denuncia, evidentemente soddisfatto delle verifiche effettuate su suo invito.

Giacchè verifiche sulla congruità dei prezzi pagati per i beni e i servizi sono state fatte, acquisendo i dati e la documentazione relativa a tali rapporti nel quinquennio – da parte del collegio sindacale e in correlazione con il comitato di controllo – e interpellando la società Gran Thornton che revisionava la controllata Parmalat 191, con l’assistenza di un consulente per la verifica dei prezzi di mercato.

Davvero non si comprende che domande avrebbero potuto fare in proposito gli imputati, sia Silingardi nella veste propria che gli altri non esecutivi che si sono ritenuti informati; né si comprende come altrimenti avrebbero dovuto agire in allora per evitare l’aggravarsi di un default che non è neppure l’evento illecito di cui devono rispondere in questa sede.

Non si può non sottolineare che oggettivamente le generali recriminazioni che il Fondo legittimamente ha sollevato attengono a realtà di fatto, sotto gli occhi di tutti, non modificabili certamente da un non esecutivo (quali le recriminazioni sulla proprietà maggioritaria di Tanzi e su una certa struttura societaria ) e su cui non aveva neppure senso pratico fare domande o adottare iniziative di sorta .

C’è solo da capire come tre consiglieri non esecutivi cooptati nel consiglio di amministrazione di una Holding controllata da una persona o da una famiglia, senza altro potere che fare domande (ma non con il dovere di farne di inutili) avrebbero potuto modificare l’assetto proprietario e gestionale oggetto di tanto ovvie quanto improduttive valutazioni da parte di un socio.

191 V. verbale Consiglio di Amministrazione 15.5.03 in cui il Presidente informa i presenti che per le verifiche e i controlli e la raccolta di documentazione presso imprese controllate necessarie..per rispondere alla denuncia effettuata nel dicembre dello scorso anno dal socio Hermes la società Gran Thornton ha richiesto un compenso di euro 3500..ritenuto congruo dallo stesso Presidente”

O come avrebbero potuto chiedere spiegazioni a Tonna su quella che era notoriamente una sua connotazione di personalità di cui tutti si lamentavano, mercato compreso. Giacchè il Fondo Hermes si lamenta anche di Tonna che non comunicava in maniera soddisfacente.

I non esecutivi erano più che informati sulle questioni specifiche sollevate dal Fondo Hermes e hanno fatto quello che dovevano e potevano fare: le puntuali verifiche loro richieste.

Il dovere di agire informati nella realtà di amministrazione non è, ad avviso del Tribunale il dovere di sospettare di tutto e di tutti e di prendere ogni spunto di indagine (i non esecutivi non hanno tutt’ora alcun potere di indagine ed è stato abrogato anche il compito di vigilare sull’andamento della gestione)

Come ha detto la Martellini poi ( v. infra), certe problematiche che sono venute in evidenza quando si è scoperto cosa stava dietro, in allora non passavano neanche per la mente.

Quello che è certo, applicando i criteri condivisi della Suprema Corte, è che il segnale

“denuncia del Fondo Hermes” non aveva oggettivamente l’idoneità attribuitagli, e a maggior ragione nessuna valenza può essere riconosciuta, in correlazione con mancate domande da parte dei non esecutivi, a tale asserito segnale, in termini concludenti della conoscenza da parte degli imputati delle falsificazione delle poste di bilancio relative alla liquidità o all’indebitamento, con conseguente anche solo possibile rappresentazione dell’evento illecito costituito da una condotta di aggiotaggio.

Peraltro in questo caso l’esecutivo Tanzi ha informato il consiglio e ha anche tentato di evitare un approfondimento sul punto specifico dei beni e servizi, i cui prezzi il Fondo voleva fossero verificati; ma l’iniziativa dei sindaci aderita da Silingardi e con ulteriore iniziativa di Barachini, condivisa infine collegialmente dal consiglio, ha imposto di fare quello che era stato richiesto di fare. Il tutto passando per la società di revisione; l’unica in grado – essendo anzi suo compito giustificativo di esistenza – di mettere mano, tra l’altro, nella contabilità, non di Parfin ma della sub holding Parmalatat s.pa .