Motivi della decisione
6. La posizione di Calisto Tanzi
Le conclusioni cui si è giunti nel paragrafo precedente -che indicano in Calisto Tanzi il vero regista del sistema di falsificazioni su cui si è retto il Gruppo Parmalat per oltre dieci anni- in nulla vengono scalfite dalle dichiarazioni rese dall’imputato, il quale ha preteso di difendersi descrivendosi quale imprenditore modello sotto il profilo gestionale, ma del tutto sprovveduto quanto agli aspetti finanziari, in relazione ai quali sarebbe stato vittima degli intenti truffaldini perseguiti da numerosi istituti di credito, italiani ed esteri.
Tanzi non si è sottoposto all’esame ed ha reso dichiarazioni spontanee al principio del dibattimento129 ed in sede di discussione130; all’esito dell’istruttoria, inoltre, su richiesta del PM sono stati acquisiti gli interrogatori resi dall’imputato nel corso delle indagini preliminari131.
La versione dei fatti dell’ex patron della Parmalat è la seguente.
Egli era consapevole della falsità dei dati contenuti nei bilanci, nei comunicati stampa e nelle risposte alla Consob ed anche del fatto che -in virtù di tali falsità- i titoli emessi dalle società del Gruppo esprimessero un valore superiore a quello reale, ma egli agiva nella perfetta convinzione della sostenibilità dell’azienda e della possibilità di risanarla, senza percepire che le condotte di occultamento delle reale condizioni della Parmalat potessero condurre a così catastrofiche conseguenze quali quelle verificatesi nel dicembre 2003. Nel
129 Ud. 7.3.2006
130 Ud. 17.11.2008.
131 Cfr. produz. PM ud. 19.09.08.
corso degli anni, peraltro, le condotte di occultamento erano state agevolate dagli istituti di credito che, malgrado i bilanci esprimessero dati incongruenti sotto il profilo della trasparenza e del rapporto tra indebitamento e liquidità, avevano assicurato al Gruppo continue risorse finanziarie nell’ambito di un rapporto drogato, tale per cui erano le banche ad inseguire Parmalat e a proporle le forme più svariate di finanziamento, circostanza che egli aveva sempre interpretato come atto di estrema fiducia nei confronti delle sue capacità imprenditoriali. Attesa la sua scarsa conoscenza e propensione alle alchimie finanziarie -connotazioni riferibili anche ai responsabili della finanza del Gruppo, che il più delle volte accettavano acriticamente le proposte formulate dagli operatori finanziari, in ragione della loro imperscrutabile complessità- egli non era mai stato in grado di comprendere le reali finalità sottese alle operazioni poste in essere dal Gruppo sotto la guida ed il consiglio di istituti di credito e banche d’affari di respiro internazionale. Nella specie, era stato solo in seguito al suo arresto che egli aveva realizzato che tali operazioni erano state preordinate all’arricchimento delle banche in danno della stessa Parmalat e dei risparmiatori che investivano in titoli emessi da società del Gruppo. A quest’ultimo proposito, Tanzi ha rappresentato che il collocamento presso il mercato retail di emissioni obbligazionarie destinate ad investitori istituzionali era avvenuto a sua insaputa, con la conseguenza che la responsabilità dei danni cagionati ai piccoli risparmiatori doveva ritenersi a lui estranea. Più precisamente, pur ammettendo di aver contribuito al crack Parmalat e chiedendo “perdono”
in ragione di ciò ai risparmiatori, Tanzi ha ribadito che la responsabilità principale di quanto accaduto deve essere attribuita ai banchieri e agli operatori finanziari, i quali avrebbero approfittato della sua ingenuità sin dalla quotazione in borsa della Parfin nel 1990, quando Parmalat -in grave tensione finanziaria per gli investimenti effettuati nel settore televisivo- si era salvata grazie ad un’operazione alquanto discutibile e non certo ideata da esponenti del Gruppo132, operazione che aveva consentito di ripagare i debiti verso gli istituti di credito utilizzando quasi integralmente il danaro raccolto sul mercato. A seguito della quotazione, erano state le banche a proporre e a finanziare le acquisizioni delle varie società industriali sparse per il mondo di cui le stesse banche erano creditrici, nonché a sollecitare continue emissioni obbligazionarie ed operazioni di finanza strutturata, situazione che, per un verso, aveva consentito agli istituti di credito di lucrare compensi ed interessi elevatissimi e, per altro verso, aveva obbligato il Gruppo a ricorrere incessantemente al mercato per ripagare i numerosi finanziamenti e gli altri debiti in scadenza. Spesso -in accordo con la banca- venivano comunicati al mercato tassi inferiori rispetto a quelli reali e in ogni caso condizioni migliorative per Parmalat, al fine di non ingenerare sospetti sulla solidità finanziaria del Gruppo, come accaduto in occasione delle emissioni obbligazionarie effettuate nel corso del 2003133.
132 Sulle operazioni che hanno portato alla quotazione, cfr. nota n. 33.
133 Sul punto cfr., in particolare, interrogatorio 15.03.04.
Tanzi ha, poi, accennato ai rapporti intercorsi tra il Gruppo Parmalat ed alcuni istituti di credito e, nel corso delle dichiarazioni spontanee rese in sede di discussione, ha focalizzato la sua attenzione su Bank of America, senza peraltro fornire elementi aggiuntivi rispetto a quanto già emerso nel corso dell’istruttoria. L’imputato, inoltre, ha spiegato che, a metà del 2002, la costruzione sino ad allora mantenuta in piedi per celare le reali condizioni del Gruppo stava crollando e che, nel corso di un colloquio estivo con il responsabile della JP Morgan Chase, questi gli aveva chiaramente rappresentato che la comunità finanziaria nutriva molte perplessità sui bilanci della Parfin, in ragione del massiccio ricorso a linee esterne di credito nonostante l’ingente liquidità asseritamene disponibile. E’ così che egli era giunto alla convinzione della necessità di ricorrere ad una ricapitalizzazione della holding, a costo di perdere il controllo della società da parte della famiglia che non aveva liquidità da immettere nel capitale. Peraltro, tale soluzione gli era stata suggerita anche dal responsabile della JP Morgan Chase con il quale aveva, altresì, concordato che la banca avrebbe elaborato un piano di ristrutturazione del debito occupandosi dei rapporti con i vari istituti di credito esteri, mentre Mediobanca avrebbe dovuto trattare i rapporti con quelli italiani. Erano seguiti vari contatti anche con Mediobanca la quale si era dichiarata interessata, ma di fatto aveva chiesto continui rinvii e alla fine non si era pervenuti a nulla di concreto. Si era, così, arrivati al febbraio 2003 che -con l’episodio del bond annunciato e poi ritirato- aveva segnato l’inizio della definitiva crisi finanziaria del Gruppo di cui le banche erano a questo punto a perfetta conoscenza134.
In merito alle falsificazioni, Tanzi ha precisato135 che, pur avendo avuto consapevolezza dei profili di falsità caratterizzanti i bilanci delle società del Gruppo, del ruolo assolto dalla Bonlat e dell’inesistenza del conto Bank of America, egli ignorava i tecnicismi con cui venivano fatte risultare le attività fittizie, attribuendo a Tonna e a Zini spiccate abilità di falsari a lui assolutamente estranee. Addirittura, in alcune occasioni egli si era visto costretto ad approvare le soluzioni che i medesimi di volta in volta ideavano, come nel caso dell’esposto per aggiotaggio presentato dalla Parfin alla Consob il 20 marzo 2003, che egli aveva sottoscritto in qualità di Presidente della società136: “sono stato un pochino costretto a firmare sta lettera che era un po’ contro la mia volontà perché (Zini) mi diceva che andava fatta in quanto praticamente era andato su e giù il titolo..perché senta, il primo danneggiato di tutta questa cosa sono io, perché io ho avuto il 51% e non ho mai speculato
134 In particolare, nell’interrogatorio del 26.01.04 Tanzi ha dichiarato che “il discorso del sistema bancario si fondava su queste questioni principali: erano a conoscenza del nostro indebitamento consolidato, con ciò intendendo non solo il Gruppo Parmalat, ma anche il gruppo del turismo e il giro dei concessionari; in buona sostanza, molti istituti di credito conoscevano trasversalmente la posizione di queste tre entità. Secondo quanto mi ha riferito Gorreri (ex tesoriere del Gruppo Parmalat), praticamente tutte le banche italiane si sono messe in fila per cercare di rientrare dalle esposizioni e ciò soprattutto dopo il collocamento del bond del febbraio 2003”.
135 Cfr., in particolare, interrogatorio del 30.12.03.
136 Sul contenuto di tale cfr. nota n. 14.
sul titolo nostro.. (la lettera) l’ha fatta lui e me l’ha fatta firmare, io non ero molto convinto, ma lui diceva che andava fatta, per tutela nostra; sono robe che lasciano il tempo che trovano..”137.
Egli, inoltre, non trattava direttamente con i revisori e nel corso degli anni aveva solo immaginato una loro complicità o benevolenza in merito a Bonlat, fino a quando “gli fu detto”138 (dal tenore complessivo delle dichiarazioni sembrerebbe da Tonna) dell’opportunità di mantenere il rapporto con GT per riconoscenza e per continuare ad occultare le distrazioni sino ad allora commesse.
Tanzi ha, poi, negato di aver celato le reali condizioni del Gruppo a Ferraris quando questi aveva assunto la carica di Direttore Finanziario e di avere impartito l’ordine di distruzione delle carte Bonlat139.
In merito al settore del turismo, infine, l’imputato ha raccontato che si era rivelato ben presto un cattivo investimento foriero di numerose perdite ed ha giustificato le distrazioni commesse in favore delle società del gruppo HIT, evidenziando come le stesse servissero a coprire i debiti di un ramo d’azienda nella sostanza riconducibile alla Parmalat.
Si noti che Tanzi ha terminato il suo primo intervento in dibattimento140 preannunziando che, attesa la rappresentazione di estrema sintesi effettuata in tale occasione, avrebbe fornito altri contributi tesi a ricostruire i singoli episodi oggetto di imputazione, in quanto desideroso di collaborare con l’autorità giudiziaria con tutte le sue forze. Avendo in seguito preso la parola in sede di discussione, Tanzi ha giustificato tale silenzio, protrattosi per oltre due anni e mezzo, adducendo motivi di salute (che comunque non gli hanno impedito di presenziare al dibattimento per rendere dichiarazioni spontanee) ed in ogni caso respingendo l’accusa di reticenza rivoltagli dai PM nel corso della requisitoria. A tale ultimo riguardo, Tanzi ha spiegato di avere in realtà fornito agli inquirenti la più ampia collaborazione possibile, avendo ammesso le sue responsabilità in relazione ai fatti per cui si procede (altri particolari in merito a determinate operazioni finanziarie non avrebbe potuto fornirli, giacché erano Tonna e Zini che se ne occupavano nei dettagli, limitandosi egli ad approvare le loro proposte) ed avendo anche compiutamente illustrato gli appoggi politici su cui poteva contare il Gruppo Parmalat, a fronte di elargizioni in denaro ad esponenti di partito.
Altra precisazione effettuata in sede di discussione che merita di essere riportata è quella relativa al viaggio a Quito che Tanzi ha effettuato in compagnia della moglie a ridosso del suo arresto. La coppia partì il 18 dicembre 2003 -ovvero non appena era pervenuta la risposta ufficiale di Bofa in merito all’inesistenza del conto Bonlat- con volo Aliparma Parma/Lisbona e prosecuzione con voli di linea, facendo rientro in Italia il giorno di Santo
137 Cfr. interrogatorio del 3.01.04.
138 Cfr., in particolare, interrogatorio del 30.12.03.
139 Cfr. interrogatorio 3.01.04.
140 Ud. 7.03.06.
Stefano. Ebbene, mentre nel corso delle indagini Tanzi aveva dichiarato che si era trattato di un normale viaggio di piacere con tanto di escursione in un lago di montagna141, nelle ultime battute del processo ha affermato che l’Ecuador non è certamente un paradiso fiscale o una piazza finanziaria da cui si muovono capitali, come invece l’Uruguay o le Cayman Islands, ma tutt’al più un paese indicatogli come nazione dove l’estradizione verso l’Italia è particolarmente complessa e dalla quale egli era in ogni caso tornato volontariamente per affrontare le sue responsabilità. In tal modo, Calisto Tanzi ha voluto ribadire di non essersi recato in Ecuador per movimentare o occultare capitali e di aver messo a disposizione della Procedura tutto quanto era nelle sue disponibilità.
Orbene, venendo ad una valutazione complessiva delle dichiarazioni dell’imputato, emerge con solare evidenza come l’immagine che Tanzi ha cercato di accreditare di sé -ovvero dell’imprenditore che ha a cuore solo il bene dell’azienda, dell’uomo che mai avrebbe voluto danneggiare chicchessia, della persona sprovveduta raggirata dagli istituti bancari- è palesemente sconfessata dalle risultanze processuali già illustrate, che danno conto ictu oculi della complessità degli affari cui il medesimo era avvezzo, dell’elevato numero di società che lo vedeva coinvolto, della spregiudicatezza con cui ha sempre utilizzato gli schermi offerti dalla disciplina della personalità giuridica delle società di capitali in spregio delle ragioni creditorie, nonché più in generale dell’assoluta insensibilità dimostrata verso i terzi (soci, creditori, dipendenti e risparmiatori) in violazione di ogni canone di correttezza prescritto dall’ordinamento.
Ed invero, nel quadro che si è delineato, il dato certo è che Calisto Tanzi, nella sua veste di socio di maggioranza e Presidente della Parfin, non solo ha sempre avuto il diretto controllo delle vicende societarie che riguardavano il patrimonio di tutte le società del Gruppo, ma ha anche deciso in piena autonomia della loro gestione e struttura finanziaria secondo un modello di tipo padronale, al di là della formale istituzione degli organi societari previsti dalla legge.
L’imputato ha riferito di avere avuto una conoscenza solo generica delle falsificazioni, quasi si trattasse di qualcosa deliberato da altri (in particolare, da Tonna e Zini) che egli si è trovato costretto a ratificare ex post, quando invece è emerso come sia a lui riferibile la decisione di sostenere la sua azienda -sin dalla quotazione in borsa della holding- a mezzo di bilanci truccati, nonché quella di ricorrere al mercato per ripianare le perdite derivanti da cattivi investimenti, determinazioni che di certo non poteva prendere il solo Tonna, nonostante il ruolo apicale dal medesimo rivestito, né tanto meno Zini, che era un
“consulente” esterno alla società. In proposito, deve essere chiarito che Tanzi è stato il primo beneficiario del sistema di falsità su cui si è retto il Gruppo Parmalat e ciò non solo in termini economici, atteso il tenore di vita dal medesimo mantenuto (aereo personale, ville, imbarcazioni di lusso e quant’altro) e considerate le ingenti distrazioni a lui
141 Cfr. interrogatorio del 3.01.04.
addebitate, ma anche in termini di prestigio, avendo riguardo all’immagine di imprenditore potente che l’imputato si é costruito nel tempo sia in ambito nazionale, che internazionale.
Di certo, anche Tonna e Zini hanno ricevuto cospicui vantaggi economici dai reati perpetrati sotto la direzione di Calisto Tanzi, ma si tratta pur sempre di beneficiari di secondo grado ed in ogni caso di strumenti fungibili da parte del dominus.
E si badi che Tanzi non si è limitato a ordinare a Tonna e a Zini di falsificare i bilanci delle società del Gruppo e più in generale di porre in esse le manovre fraudolente a ciò necessarie, ma si è egli stesso adoperato nella ideazione dei singoli tecnicismi attraverso cui far apparire attività fittizie. Il riferimento è, in particolare, al business del latte in polvere della Bonlat, che Tonna ha ricordato di aver ideato congiuntamente a Calisto Tanzi, traendo spunto da un commercio effettivo in precedenza intrattenuto da Parmalat in Sud America.
D’altro canto, Tonna ha riferito che era solito consultarsi con Tanzi su tutti gli aspetti rilevanti delle falsificazioni, anche in merito all’utilizzo -prima della Bonlat- di Zilpa e Curcastle quali società discarica, e che aveva immediatamente sottoposto al medesimo la proposta avanzata da Penca e Bianchi sulla necessità di costituire la Bonlat, affinché GT mantenesse la revisione sulle criticità sino ad allora occultate142. Ed infatti, tale proposta non poteva che essere approvata dall’imputato, in ragione della veste di dominus del Gruppo ad egli riferibile. Conseguentemente, l’imputato ha palesemente mentito quando ha affermato di essere venuto a conoscenza solo in un secondo tempo della complicità dei revisori GT. Tale conclusione risulta, altresì, avvalorata dalla deposizione di Bocchi, il quale ha dichiarato che, nonostante fosse Tonna a gestire in prima persona i rapporti con i revisori della GT e della DT, questi teneva costantemente ragguagliato Tanzi su ogni problematica, come era accaduto in relazione all’episodio della certificazione dei proventi fittizi derivanti dallo swap Sumitomo143. Che l’imputato fosse a perfetta conoscenza dei tecnicismi con cui si provvedeva a rattoppare l’instabile impalcatura su cui si sorreggeva il Gruppo emerge anche dalle dichiarazioni di Del Soldato il quale, come già illustrato, ha riferito che, a seguito dalla rimozione di Tonna dall’incarico di CFO, Tanzi lo aveva incaricato di perpetrare il sistema Bonlat “come si era sempre fatto sino ad allora”144. Del Soldato ha pure ricordato che Tanzi aveva redatto, congiuntamente a Zini, i comunicati stampa relativi al Fondo Epicurum, così confermando come l’imputato non si sia limitato ad approvare le falsità ideate da altri, ma le abbia congegnate in prima persona, difendendole strenuamente. A tale ultimo proposito, non può non rimarcarsi che Tanzi, al fine di protrarre il sistema di falsità che gli consentiva di apparire uno dei più importanti imprenditori italiani, ha recitato la propria parte anche allorquando, nel momento del pericolo, ha ricevuto nel suo ufficio Verde, Penca e Bianchi per illustrare loro il significato strategico che assumeva per il Gruppo il commercio del latte in polvere, addirittura facendo
142 Cfr. dep. Tonna cit..
143 Su tale episodio, cfr. dep. Bocchi cit..
144 Cfr. dep. Del Soldato cit..
delle previsioni -dimostrando una capacità inventiva davvero fuori dall’ordinario- su quelle che erano i piani di vendita che avrebbe adottato da lì a poco la società Fonterra, il presunto produttore del latte commercializzato da Bonlat145.
In conclusione, Calisto Tanzi non ha solo deliberato in termini generali la falsificazione delle scritture contabili e dei bilanci delle società del Gruppo, ma ha coadiuvato attivamente con contribuiti ideativi specifici i propri complici (id est egli non solo conosceva i tecnicismi, ma ne era protagonista). Ad ogni modo, anche ad ammettere che Tonna e Zini abbiano dimostrato abilità di falsari superiori a quelle di Tanzi, non per questo la capacità criminosa dell’imputato può ritenersi di minor spessore: anzi, al contrario, l’aver scelto Tonna e Zini quali suoi principali complici, denota una spiccata propensione ad assoldare dei professionisti del falso di caratura eccezionale.
Si aggiunga, inoltre, che anche attraverso la figura di Tonna, il cui carattere “difficile” è già stato messo in evidenza, Tanzi è riuscito a creare un clima di omertà e timore all’interno dell’azienda, inducendo quei dipendenti reclutati per il compimento delle falsità a non affrontare tale tematica apertamente se non con Tonna o Del Soldato ovvero esclusivamente con coloro dai quali ricevevano le direttive illecite146. L’istruttoria, peraltro, ha messo in evidenza come assai probabilmente le pedine di secondo piano come Bocchi e Pessina non abbiano ricevuto dei compensi straordinari per i loro servigi, con la conseguenza che i medesimi avrebbero assunto dei rischi così elevati solo per timore riverenziale e ammirazione verso Calisto Tanzi, il compaesano di Collecchio che dal nulla aveva creato un impero e che era diventato uno dei simboli dell’imprenditoria italiana anche fuori confine147. L’imputato, infatti, esercitava un grande carisma sui propri dipendenti148 e di tale carisma ha approfittato per portare a delinquere delle persone che autonomamente mai avrebbero preso iniziative di tal genere. Talvolta, l’istigazione è avvenuta con l’inganno. Questo è il caso di Ferraris, al quale Tanzi ha occultato lo stato di insolvenza del Gruppo nel momento in cui gli ha proposto la carica di Direttore Finanziario al fine di rinnovare l’immagine della Parfin. Come innanzi rilevato, Tanzi ha negato tale circostanza, ma sul punto è stato smentito, oltre che dallo stesso Ferraris (che per soldi ha comunque accettato di effettuare lusinghiere presentazioni del Gruppo negli Stati Uniti), anche da Del Soldato il quale ha riferito che Tanzi lo aveva addirittura incaricato di falsare il sistema HQR per impedire a Ferraris di scoprire il disastroso andamento di molte partecipate estere e così avere contezza del debito complessivo del Gruppo. D’altro canto, Tanzi risulta aver mentito anche in merito alla distruzione delle carte Bonlat, dichiarandosi
145 Su tale riunione, avvenuta nel corso del 2003, cfr., in particolare, dep. Verde cit., illustrata nel paragrafo 5.
146 Sul punto, cfr. in particolare le deposizioni di Bocchi e Pessina.
146 Sul punto, cfr. in particolare le deposizioni di Bocchi e Pessina.