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Dopo aver approfondito come gli obbiettivi delle ONG ne definiscano le modalità operative e le caratteristiche, è necessario operare un cambio di pro-spettiva. Il processo in-between, infatti, necessita di più livelli di analisi che possa-no scomporre gli elementi coinvolti per meglio gerarchizzarli e contestualizzarli. Una volta perimetrato l’ambito dei soggetti di indagine occorre definire come questi attori si confrontino con gli altri soggetti presenti e con il contesto sociale in cui agiscono.

L’elemento maggiormente rilevante nei diversi processi individuati, infatti, riguarda la componente relativa all’approccio utilizzato dai soggetti terzi nella loro azione di modifica dello spazio sociale e fisico (Burra, D’Cruz e Patel, 2001; Mi-raftab, 2003; Nelson e Dorsey, 2003; Miraftab e Wills, 2005; Ahmed e Hopper, 2014; Scholten et al., 2017). Le pratiche e le modalità di intervento dei ‘soggetti terzi’ rappresentano, quindi, un necessario campo di approfondimento per i pro-fessionisti coinvolti nella pianificazione della nuova questione urbana e sociale della città del futuro (Secchi, 2013; Merrifield, 2014).

Le tematiche relative alla produzione di nuove urbanità1 e nuove economie nel contesto della crescita urbana globale sono spesso state affrontate da ricerche attinenti alla disciplina degli studi urbani con esiti diversi (De Soto, 1989, 2000; Hardt e Negri, 2000; Roy, 2005; Davis, 2006). Studi e analisi circa gli attori e i fenomeni di sviluppo urbano partecipato sono state condotte da discipline quali sociologia, antropologia e geografia urbana, attive nell’analisi della componente socio-culturale nello sviluppo della città2. Allo stesso tempo, le ricerche proprie delle discipline della pianificazione e della progettazione urbana, quali architettu-ra e urbanistica, si sono concentarchitettu-rate nel rilevare come simili componenti sociali

1 Con ‘nuove urbanità’ si intende indicare quei contesti in cui l’azione dei soggetti terzi ha prodotto nuovo spazio urbano, sia diffuso che interstiziale, sia che si tratti di un luogo fisico sia di uno spazio di relazione e confronto.

2 L’analisi sociale dei fenomeni urbani proattivi si sviluppa anche a partire dalle teorie, già descritte, del sociologo francese Henri Lefebvre (1970, 1973, 1976) sviluppate in seguito da autori che con il loro lavoro hanno attraversato un ampio periodo di teorie sulla città, come il geografo urbano David Harvey (1973, 1985, 1989, 2008, 2012) che ne ha in parte proseguito l’approccio etico e politico. Così come, tra gli altri: S. Sassen; A. Merrifield; D. Saunders; J. Perlman; P. Ward; M. Davis; M. Castells, A. Roy.

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l’urbanizzazione di San Jorge (Posadas) tra gli abitanti e la ONG Jardin de los Niños © Ilaria Cappellari.

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ed economiche si connettessero alla definizione di un processo di accrescimento urbano3. Un’auspicabile coerenza al proprio campo di analisi sulla città non deve, infatti, precludere una visione maggiormente complessiva del tema relativo ai sistemi alternativi di produzione di città (Saija, 2016).

Una simile attenzione non è però stata sviluppata altrettanto approfondita-mente in relazione al ruolo urbano delle ONG e più in generale al sistematico ingresso delle pratiche sviluppate dai soggetti terzi nella città (Bradshaw e Scha-fer, 2000). L’approfondimento di simili processi è rilevante anche e soprattutto in considerazione di come tali fenomeni stanno trasformando il tessuto sociale, economico e spaziale della città senza una distinzione netta tra approcci disci-plinari, ma integrando esperienze e pratiche trasversali (Korten, 1987, 1990a, 1990b; Elliott, 1987).

Anche in ragione delle diverse realtà rappresentate dai soggetti terzi, come de-scritto nel precedente paragrafo, è doveroso considerarne la dinamicità e variabi-lità negli approcci attuati. Questi “nuovi” soggetti utilizzano esperienze e risorse di diverse discipline per raggiungere gli obiettivi posti dal contesto di intervento, manifestando i rischi e la parzialità di una ricerca unicamente riferita ad uno degli aspetti della loro azione, ad esempio: una ricerca finalizzata a valutarne l’aspetto di ricaduta economica può non considerare la rilevanza della modifica urbana operata. È necessario quindi continuare ad attivare percorsi di ricerca che provi-no a considerare allo stesso tempo le componenti sociali e spaziali degli interventi descritti quando non la loro peculiarità di approccio multilivello (Ostrom e Jans-sen, 2004). In questo modo, pur nell’evidenza della difficoltà di rappresentare un fenomeno attivo e in costante cambiamento, sarà possibile avvicinarsi alla realtà operativa di quei soggetti e della popolazione che a quelle dinamiche spaziali fa riferimento per la costruzione della propria dimensione di vita (Korten, 1987; Klugman, 2000; Anciano, 2012).

Oltre a quanto sottolineato è inoltre molto rilevante notare come il conte-sto in cui i ‘soggetti terzi’ operano nella maggior parte dei casi – la dimensione informale – non possa intendersi come unicamente individuabile nei paesi del

Global South4. Come già descritto, la definizione di “informalità” è complessa e

non riconducibile unicamente ad un territorio con carenza di servizi e infra-strutture, quando non oggetto di fragilità sociale ed economica. In altri termini, il contesto informale in cui questi processi si sviluppano è rappresentato da tutte quelle realtà di partecipazione e coinvolgimento condiviso che possano ospitare una necessaria modifica dello spazio urbano5. La produzione alternativa di città (Lefebvre, 1976a) non è dunque presente solo nei contesti più fragili dell’Africa o dell’America Latina, ma anche nelle realtà più consolidate dei paesi industria-lizzati (Awan, Schneider e Till, 2011; European Cultural Foundation, 2016; Patti e Polyak, 2017). Se negli anni ’70 e ’80 l’attenzione rispetto ai processi analizza-ti era rivolta principalmente a contesanalizza-ti interessaanalizza-ti da massicce migrazioni dalla dimensione rurale a quella urbana nei paesi in via di sviluppo (Sahota, 1968; Caldwell, 1969; Mabogunje, 1970; Harris e Todaro, 1970; Byerlee, 1974; Gilbert

3 Gli autori che si sono occupati di questi aspetti sono numerosi, tra gli altri: B. Secchi; J.F.C. Turner; Y. Friedman; F. Indovina; G. Amendola; G. De Carlo; N. Portas; C. Bianchetti. 4 Esperienze di riuso alternativo del patrimonio edilizio e di modifica spontanea e partecipata dello spazio urbano sono l’oggetto di diversi capitoli all’interno della presente ricerca.

5 In merito a questo si vedano alcuni degli esempi nei progetti raccolti dalla rete di Architecture Sans Frontiéres - International: http://archive.asfint.org/.

e Gugler, 1982; Ledent, 1982; Balbo e Diamantini, 1984; Clementi e Ramìrez, 1985; Balbo, 1989), in anni recenti simili fenomeni demografici hanno interessato in larga parte anche l’Europa e il nord America stimolando un interesse maggior-mente diffuso rispetto a questi fenomeni6. La dinamica migratoria determinata dai mutamenti climatici, socio-politici ed economici dell’ultimo decennio hanno spostato l’attenzione del pubblico globale dalle megalopoli del Global South alle città del vecchio continente, che si sono scoperte più vicine che mai a dinamiche sociali molto complesse «Se oggi c’è una questione urbana, come indubbiamente c’è, dov’è allora che dobbiamo coglierne gli aspetti più drammatici? Nelle dise-guaglianze e nella segregazione che caratterizzano le città più ricche? O nell’ac-catastarsi di enormi quote di popolazione negli slum delle megalopoli asiatiche, sudamericane, africane?» (Becchi, 2015: 33).

Questo contesto di cambiamento sociale ha portato ad un’attenzione mag-giore in merito alla componente spaziale nell’evoluzione della città come inter-connessa alla tematica relativa agli effetti socio-culturali del diritto alla città e a

modificare la città7 (Harvey, 2008). La crisi attuale ha messo in luce molti dei

pro-blemi insiti nell’evoluzione moderna della città contemporanea: la sua scomposi-zione e rottura, sotto il peso delle nuove e urgenti vertenze della popolascomposi-zione, è il risultato di un allontanamento tra la dimensione progettuale e il suo territorio (Decandia, 2017). Se la città premoderna era una rappresentazione viva del suo contesto e organizzata attraverso le relazioni con il territorio, la città moderna ha operato una cesura rispetto a questo rapporto «La cartografia premoderna – precedente al divorzio tra scienza ed arte, se così possiamo dire – fino agli ultimi decenni dell’800, tiene ancora insieme elementi scientifici, simbolici e artistici ed è allusiva della particolarità dei luoghi. Queste cartografie, generalmente a media scala, sono, per i nostri studi di oggi, spesso più utili di una carta assolutamente esatta nelle sue misure e quantità; esse rappresentano preziosi documenti per la ricostruzione delle strutture di lunga durata del territorio, contenendone i se-dimenti, le permanenze, i valori. (…) Se il paradigma della città premoderna è rappresentato dalla sua dimensione conclusa, la città moderna può invece essere letta come la perdita progressiva di quella dimensione: la città rompe i suoi confini, cresce in abitanti ed è investita da trasformazioni profonde che mutano secolari equilibri urbani e territoriali con notevole consumo di suolo.» (Rossi Alexan-der, 2002: 59-60). L’adozione di uno sguardo cartografico configura una distanza oggettiva dalla precedente rappresentazione del territorio. In altre parole viene operata una sostituzione della dimensione urbana con il suo disegno: il segno so-stituisce la realtà complessa della città (Decandia, 2017). Se la città premoderna si costruiva sullo stratificarsi delle esperienze e delle azioni dei suoi abitanti, la città moderna separa la “competenza dell’edificare” dalla “conoscenza dell’abitare”,

6 Il crescente interesse da parte dell’editoria di settore (Learning from Favelas, Lotus 2010 n.143; Learning from favelas, Abitare 2012; From the slum to the house: towards a less polarized Mumbai?,

Territo-rio 2013 n.65) si accompagna ad un parallelo interesse del panorama disciplinare verso professio-nisti che si occupano di contesti spontanei e pratiche alternative (Urban-Think Tank vince il leone d’oro alla 13. Biennale di Architettura di Venezia con l’esposizione del suo progetto Bottom-up Torre David / Gran Horizonte a Caracas; A. Aravena, premio Pritzker 2016, è curatore della 15.

Biennale di Architettura di Venezia dal titolo Reporting from the front).

7 La Questione Urbana (Castells, 1977) politicamente attiva nella valutazione dei pericoli di un

condizionamento capitalistico del disegno urbano diviene sempre più incentrata sugli aspetti sociali e umani che plasmano l’evoluzione delle città contemporanee, in breve una Nuova Questione Urbana (Merrifield, 2014).

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proponendo un territorio governabile unicamente attraverso lo strumento del piano (Decandia, 2017). Alcune assonanze rispetto a questa distanza si ritrovano anche in Bernando Secchi8 quando afferma come «(…) l’idea di urbanistica che propongo è quella di un sapere, più che una scienza, un sapere relativo ai modi di costruzione, continua modificazione e miglioramento dello spazio abitabile della città in particolare. (…) Essa riguarda aspetti limitati e locali del mondo che ci circonda, e contemporaneamente, è curiosa, aspetta suggerimenti e interpreta-zioni che degli stessi aspetti hanno fornito le diverse epoche e i diversi soggetti, individui, gruppi sociali e discipline» (Secchi, 2000: 15).

Un evoluzione urbana che ha allontanato l’esperienza sociale dal progetto di pianificazione del territorio si palesa oggi con i sintomi di un’inefficienza da parte

del piano di governare efficacemente la complessità della città e dei fenomeni che

la attraversano, mutandola inevitabilmente (Decandia, 2017). Un’organizzazione geometrica e pianificata dei processi spaziali non è più sufficiente a descrivere la variabilità e la mobilità dell’evoluzione attuale «Sono convinta (…) che la scienza urbanistica e l’architettura urbana devono diventare, nella vita reale delle città esi-stenti, la scienza e l’arte di catalizzare e alimentare questo fitto tessuto di relazioni attive.»9 (Jacobs, 1961: 12-13).

Questi fenomeni di relazione non sono più solo quelli indagati dalle teorie sviluppate a partire dalle esperienze nel Global South nei decenni passati (Turner, 1972, 1976; Friedman, 1972), ma rappresentano la realtà operativa dei soggetti terzi e delle popolazioni coinvolte (Ahmed e Hopper, 2014). La rinascita di pra-tiche autorganizzative, anche in contesti socio-economici consolidati, è la conse-guenza evidente di questa evoluzione e concezione moderna dello spazio urbano (Decandia, 2017). Possiamo quindi immaginare come quello spazio urbano di-venga oggi il teatro del cambiamento, attraverso le azioni e gli approcci che ne stanno modificando le caratteristiche.

Il cambio di prospettiva dai soggetti descritti alle pratiche operative che li vedono coinvolti è dunque inevitabile per provare a indagare quale potrebbe essere l’a-spetto e l’organizzazione dinamica della città del futuro. Questo insieme vario di attività e processi è difficilmente inseribile in un’unica definizione lessicale, ma dal confronto con quanto descritto dalla disciplina si può suggerire un inseri-mento di simili pratiche all’interno del dibattito sulla città che finora ha trattato solo parzialmente l’apporto dei soggetti terzi (Bradshaw e Schafer, 2000). Come descritto nel prossimo capitolo, si ritiene necessario ricercare una definizione per il fenomeno di questi processi in-between in modo da renderli maggiormente rico-noscibili e per sostenere ancora una volta la necessità di un confronto disciplinare e istituzionale in merito a queste nuove realtà urbane e sociali10.

8 B. Secchi (2000) Prima lezione di urbanistica, Editori Laterza, Bari.

9 Nel suo testo più citato (Vita e morte delle grandi città, 1961) Jane Jacobs già si spingeva a parlare

di “autogoverno informale” nel momento in cui definiva il controllo puntuale operato dagli abitanti nel loro quartiere.

10 Per le riflessioni riportate in questo capitolo, in merito all’evoluzione urbana e sociale della città moderna nel suo rapporto con il territorio, si è fatto parziale riferimento all’intervento di apertura alla conferenza internazionale Cities and Self-Organization, organizzata da AESOP e Tracce

Urbane presso la Sapienza (Roma, 11-12-13 dicembre 2017), tenuto dalla prof.ssa Lidia Decandia (Università di Sassari) e intitolato “Territorio come somma di luoghi”, da cui poi alla successiva pubblicazione all’interno di Tracce Urbane, no. 4, pp. 18-32.

Dopo aver introdotto la necessità di una nuova centralità della dimensione spaziale delle pratiche dei ‘soggetti terzi’ nella ricerca disciplinare, occorre ana-lizzare più approfonditamente come si possano definire i fenomeni urbani de-terminati dall’azione di questi soggetti. Questo in quanto il loro inserimento del discorso in merito alla questione urbana (Castells, 1977; Merrifield, 2014) è rilevante e necessario, anche alla luce di come simili fenomeni siano interconnessi alle vertenze delle classi sociali più svantaggiate «(…) le diseguaglianze sociali sono uno dei più rilevanti aspetti di ciò che indico come nuova questione urbana e che questa è causa non secondaria della crisi che oggi attraversano le principali eco-nomie del pianeta.» (Secchi, 2013: 10). Se fino ad oggi simili pratiche e soggetti − quali le ONG e le organizzazioni ad esse correlabili − sono stati tenuti ai margini della disciplina ufficiale in merito alla pianificazione urbana (Bradshaw e Schafer, 2000), è ormai chiaro come questa pratiche rappresentino un elemento molto rilevante nell’evoluzione socio-spaziale delle metropoli, sia nel Global South che

nel Global North (Ahmed e Hopper, 2014). Un tema di ricerca contemporanea,

dunque, dovrebbe riferirsi nuovamente a quanto già descritto dalle teorie della fine degli anni ’60 e inizio ‘70 (Lefebvre, 1970, 1973, 1976a, 1976b; Harvey, 1973; De Carlo, 1973), oggi più che mai attuali: la produzione dello spazio come risultato di un processo sociale (Lefebvre, 1976a).

Questa terminologia è certamente adeguata se si considera come le pratiche sviluppate dai soggetti altri hanno definito, in alcuni casi, una vera e propria “ur-banizzazione dell’informale” determinando la creazione di una parte di città di nuova fondazione1. Si tratta, in questo caso, della pianificazione e costruzione di un insieme di luoghi, fisici e sociali, che definiscono senza ombra di dubbio un’attività di “produzione di città”. Anche se più frequentemente localizzate nei paesi in via di sviluppo, simili pratiche sono spesso contestualizzate anche in realtà più consolidate, agendo con modalità diverse, ma con eguale peso nella modifica dello spazio urbano, interstiziale e stratificato (Awan, Schneider e Till, 2011; European Cultural Foundation, 2016; Patti e Polyak, 2017). È questo un

1 Il riferimento puntuale non è unicamente all’insieme di attività attivate dalla ONG Jardin de los Niños a Posadas, ma più in generale alle diverse testimonianze ed esperienze affini riportate nella

presente ricerca.

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