168
insieme di processi e fenomeni fortemente dinamici2 che vede come protagonista principale il panorama ampio delle Organizzazioni Non Governative (ONG). Come già descritto nei precedenti capitoli, sono questi i soggetti che fin dagli anni ’80 si occupano attivamente di sviluppo sostenibile in contesti fragili e complessi (Korten, 1987, 1990a, 1990b; Elliott, 1987; Cernea, 1988; Ndegwa, 1996; Boli e Thomas, 1997; Klugman, 2000; Nelson e Dorsey, 2003; Ahmed e Hopper, 2014; Dar, 2014).
In diretto rapporto con le pratiche sviluppate dalle ONG si trovano i sistemi di approccio alla pianificazione urbana disciplinarmente definiti e applicati, oltre che inestricabilmente legati alla sfera politica. L’evoluzione del processo di piani-ficazione, dall’approccio più tecnico degli anni ’60 ai sistemi più aperti e orizzon-tali sviluppati a partire dagli anni ’70, lo connette sempre di più alla componente sociale della progettazione urbana (Pissourios, 2014). Con le teorizzazioni legate all’”approccio comunicativo”3 (Sager, 1994; Healey, 1992, 1997) sviluppate du-rante gli anni ’90, la conoscenza delle pratiche sociali legate alla pianificazione e la diffusione delle informazioni a tutti i soggetti coinvolti nel piano diven-ta centrale nella questione sulla progetdiven-tazione della città4. In questo approccio, dunque, l’oggettività scientifica viene sostituita da un’oggettività costruita sulla concordanza tra gli individui, basata sul dialogo aperto e libero: una “razionalità comunicativa” (Allmendinger e Tewdwr-Jones, 2002) «(…) la teoria dell’azione comunicativa presenta forti potenzialità per rinnovare la Planning theory. Una del-le ragioni di quest’affermazione si trova nel ruolo attribuito alla pianificazione stessa. Essa è chiamata non solo a implementare i progetti fisici e le politiche sociali, ma si riconosce un forte connotato di integrazione tra i diversi aspetti dell’agire sociale, e un ruolo centrale nel dibattito sull’azione collettiva.» (Caudo, 2000: 103). Dunque, le due principali tendenze sviluppate durante i precedenti cinquant’anni vedono da un lato l’aumentata centralità del ruolo tecnico degli esperti e un accentramento delle decisioni in merito alla pianificazione, dall’altro lato la tendenza verso una maggiore apertura alla partecipazione nel processo de-cisionale, con una richiesta di maggiore responsabilità dei decisori e una messa in dubbio della rilevanza del ruolo tecnico esperto (Healey, 1997; Pissourios, 2014). Da questa dualità di approcci ai sistemi di pianificazione urbana si sviluppano le due tendenze definite come top-down e bottom-up (Murray et al., 2009).
All’interno dei singoli macro insiemi le relazioni e i rapporti di potere sono spesso definiti dal ruolo gerarchico che gli attori ricoprono all’interno della città, intesa anche e sempre più spesso come città globale (Sassen, 2004). Sono questi due approcci che differiscono in maniera rilevante nelle loro modalità progettuali e attive sul territorio: una è prerogativa principale dell’approccio istituzionale che dall’alto pianifica scelte e decisioni in merito al futuro del territorio (top-down), l’altra è sviluppata dalle popolazioni interessate a partire da iniziative dal basso
2 La componente fluida della “città cinetica” (Mehrotra, 2003) è uno dei contesti teorici e fisici entro cui simili pratiche si sviluppano.
3 Questo approccio alla pianificazione viene sviluppato negli anni ’80 e ’90 da J. Forester e P. Healey a partire dal lavoro del filosofo tedesco J. Habermas (Taylor, 1998).
4 Un esempio di applicazione di questo approccio è il Planning for Real, un sistema di
partecipa-zione della popolapartecipa-zione nei processi decisionali sviluppato nel 1977 da Tony Gibson (Education for Neighbourhood Change Unit, Università di Nottingham) e che oggi è anche un movimento presente
nel Regno Unito e che favorisce la partecipazione degli abitanti e la sua consapevolezza in merito alle pratiche di pianificazione urbana.
volte alla modifica del proprio spazio di vita urbana (bottom-up). Le differenze tra i due approcci sono dunque innumerevoli in quanto comportano l’inclusione e l’e-sclusione di determinati attori nel processo decisionale e fattivo: una distanza che è stata lungamente studiata e che continua ad esistere (Alexander, 1997; Harris, 1997; Watson, 2008; March, 2010; Lauria, 2010; Pissourios, 2013). In merito al sistema contemporaneo degli approcci alla modifica della città si devono dunque verificare le rilevanze di questi due sistemi così distanti. Alla luce del fatto che le iniziative bottom-up spesso non prendono in considerazione le questioni relative agli standard della progettazione degli interventi, la pratica di pianificazione è generalmente dominata dagli approcci top-down (Pissourios, 2014). Tale sistema è però interessato da un numero rilevante di problematiche tra cui: la tendenza a negare la presenza di altri attori nell’accentrare le decisioni in merito alla piani-ficazione; l’oggettiva difficoltà ad utilizzare un approccio top-down in contesti in cui è assente un sistema di politiche dominante e in cui è presente una galassia di direttive e attori, nessuno dei quali prominente; la tendenza dell’approccio dall’al-to di sotdall’al-tostimare le strategie utilizzate al livello base di utilizzare le politiche per i propri scopi e obbiettivi (Sabatier, 1986). «In questo contesto di teoria della pianificazione, in cui gli approcci top-down, nonostante le loro debolezze, domina-no la pratica di pianificazione e gli approcci bottom-up sono incapaci di costruire una metodologia alternativa di intervento urbano, l’obbiettivo (…) è di discutere le vie in cui questi due approcci opposti possono essere combinati nella pratica della pianificazione (…)» (Pissourios, 2014: 85).
In considerazione di come le teorie fin qui descritte pongano il sistema ge-nerale di approcci su due sponde vicendevolmente opposte, quale potrebbe o dovrebbe, dunque, essere la definizione disciplinare di un intervento come quelli definiti dai nuovi attori (ONG) nel loro agire spaziale all’interno della città? Si tratta di un sistema di sviluppo urbano alternativo?
La necessaria descrizione e inquadramento di questo fenomeno urbano può beneficiare delle osservazioni e approfondimenti attuati nella descrizione del caso studio principale della ricerca qui presentata. Si intende, pertanto, utilizzare l’esperienza sviluppata durante il periodo di indagine sul campo come traccia per un raffronto critico con i due approcci proposti. Nel tentativo di formulare una definizione disciplinare delle pratiche proprie dei soggetti altri è utile confrontarsi con un’esperienza diretta di osservazione e approfondimento delle dinamiche interne alla ONG durante il suo processo di modificazione dello spazio urbano. Nell’affrontare il caso studio di barrio San Jorge a Posadas, infatti, sono emerse alcune lacune e discrepanze nel tentativo di applicare una distinzione netta tra gli approcci. Lo sviluppo urbano e sociale del quartiere è emerso essere più com-plesso e meno semplicemente ascrivibile ad una delle due categorie individuate dalla letteratura disciplinare (Murray et al., 2009).
L’osservazione dei processi spaziali e delle pratiche sociali messe in campo dalla ONG nel caso di San Jorge rende evidente come tale approccio si identifichi come un sistema di intervento originale e alternativo. Un fenomeno urbano che comprende, nel suo sviluppo, sia la questione dei diritti alla città, sia l’applicazio-ne spaziale di tali vertenze ed esigenze della popolaziol’applicazio-ne. Il sistema trasversale osservato ha certamente una rilevante connotazione contestuale, ma presenta caratteri e modalità di approccio ben definite e acontestuali. In particolare le ca-ratteristiche che individuano questa tipologia alternativa di sviluppo comunitario e urbano si fondano sull’articolazione dei rapporti con la popolazione e con le
170
istituzioni da parte di un ‘soggetto terzo’. A partire dalle dinamiche relazionali definite da tale attore lo sviluppo spaziale dell’intervento si costruisce sulla base delle necessità contingenti e delle possibilità e limiti contestuali. L’orizzonte pro-gettuale dell’approccio in-between rimane, in ogni caso, quello dell’assicurazione del diritto alla città, attraverso un’azione creativa nello spazio urbano e un con-tatto funzionale con i soggetti che soprintendono alla gestione delle politiche per il territorio. La rilevanza di tale fenomeno è, infatti, anche relativa alla sua potenzialità come sistema (diretto o indiretto) di modifica delle politiche urbane: nel momento in cui vengono attivati autonomamente dei percorsi progettuali collettivi che mirano a creare un nuovo sistema urbano, la sfera istituzionale è costretta a confrontarsi con tale realtà e facendola uscire dall’ombra dell’indiffe-renza. Il cambio di considerazione istituzionale nei confronti di barrio San Jorge, a seguito del processo urbanizzativo condotto dalla ONG Jardin, dimostra come tale cambiamento sia possibile.
Per facilitare l’analisi e la definizione del fenomeno in-between in quanto meto-dologia di intervento ed esito spaziale dell’azione, si ritiene utile utilizzare sinte-ticamente l’esperienza svolta a Posadas come campo di applicazione e confronto critico tra le teorie consolidate5 in merito all’approccio in contesti di urbanità al-ternative. Di seguito si evidenzieranno, pertanto, gli aspetti caratterizzanti il pro-cesso analizzato, utilizzando questo aspetto del caso studio come strumento di definizione teorica.
San Jorge come strumento di confronto disciplinare
Nella strutturazione del confronto con le tipologie di approccio consolidate e il caso di San Jorge e nello specifico in un confronto con la tipologia di azione bottom-up appare subito evidente come questa categoria non sia applicabile al caso studio in oggetto. I punti di contatto, sicuramente presenti, sono individuabili unicamente nello sviluppo pratico dell’urbanizzazione del quartiere, che ha visto e vede ancora oggi gli abitanti stessi compartecipare alla costruzione delle abita-zioni, dei sottoservizi e delle infrastrutture del barrio.
Possiamo quindi definire questo tipo di azione come partecipata e orizzonta-le? A ben guardare, no.
Questo in quanto, seppur il processo realizzativo veda inequivocabilmente il coinvolgimento diretto degli abitanti, la sfera decisionale rimane saldamente nelle mani della ONG che coordina e pianifica il processo di produzione di città. Abbiamo quindi uno sviluppo che non prende origine dalla larga base dei citta-dini che comunemente valuta le azioni volte alla costruzione del proprio spazio urbano. In questo caso si osserva, infatti, un soggetto singolo che, una volta valutate le migliori soluzioni per la costruzione del nuovo quartiere, fa opera di convincimento presso il consesso degli abitanti in modo da ottenerne il supporto e la partecipazione attiva.
Un esempio più coerente di adesione ai principi dell’approccio “dal basso” è, diversamente, efficacemente rappresentato dal progetto Torre David/Gran Ho-rizonte a Caracas (U-TT, 2012). Nell’esperienza di Caracas la popolazione locale ha scelto autonomamente di occupare un particolare edificio che rispondeva alle
5 La dimensione disciplinare dell’approccio con l’informale si sviluppa lungo diversi decenni, per un approfondimento si veda il relativo paragrafo precedente sull’argomento.
proprie esigenze economiche e sociali di prossimità: in quel caso possiamo quindi individuare un’azione prettamente bottom-up, in cui il professionista (Urban-Think Tank)6 si pone unicamente come supporto tecnico esterno per la concretizza-zione di un obbiettivo prefissato dagli utenti stessi. È questa, dunque, un’espe-rienza distante da quanto rilevabile nel caso di San Jorge e molto più aderente alle modalità di approccio descritte da John Habraken7 (1972) e declinate anche nel contesto della scorsa Biennale di Architettura di Venezia (2016) dallo studio BeL Architekten8 come risposta alla crescente rilevanza della questione dei flussi migratori. Questi esempi ben rappresentano un lavoro professionale tecnico a supporto di un progetto di vita e insediamento informale e alternativo già conso-lidato, nelle intenzioni e nelle manifestazioni formali di tale intervento.
Un confronto più aderente a quanto osservato nel caso studio di Posadas è forse quello rappresentato dalle esperienze in Cile condotte dallo studio Ele-mental9 quale sistemi costruttivi incrementali sviluppati con il successivo apporto degli abitanti. Anche nel barrio San Jorge, infatti, le abitazioni concepite dall’or-ganizzazione hanno la possibilità di essere successivamente modificate, amplia-te e miglioraamplia-te, adattandosi alle esigenze che un quartiere semi informale può determinare. La modifica delle necessità della popolazione residente è parte del programma sviluppato nel barrio e comprende, ad esempio: la costituzione di attività lavorative direttamente nell’abitazione, l’aggiunta di vani all’aumentare del numero degli occupanti e il cambio delle necessità abitative; tutte eventualità pro-babili in contesti di questo tipo. Stante questa partecipazione trasversale, però, le decisioni sull’impianto pianificatorio non derivano da una vertenza dal basso, tutt’altro. Basti far riferimento a quanto successo in merito al maggiore dispen-dio di energie e alla determinante necessità di eliminare un numero superiore di baracche informali per poter tracciare una rete viaria ortogonale.
Questa imposizione di un piano viario e di infrastruttura così rigidamente articolato su principi geometrici si distanzia anche da quanto portato avanti, nell’attualità, dai programmi governativi di miglioramento urbano10. In merito alla viabilità interna dei quartieri spontanei oggetto del programma statale, in-fatti, tali piani di riassetto si limitano a potenziare una rete viaria informalmente costituita, mantenendo ove possibile il suo disegno irregolare per contenere l’im-patto del cambiamento sulla comunità residente e sui legami sociali consolidati. Ecco che quindi in questo caso l’approccio attuato dal soggetto terzo a Posadas si accosta maggiormente ad una metodologia assimilabile alle pratiche top-down.
6 Il progetto di U-TT risulta vincitore del Leone d’oro per il miglior padiglione non nazionale alla 13. Biennale di Architettura di Venezia (2012), successivamente (2014) il governo procede allo sfollamento dei 3 mila abitanti informali della torre incompiuta.
7 Ci si riferisce, in questo caso, alle teorie espresse nel testo Supports: An Alternative to Mass Hou-sing (1972) quali esemplificative di un più ampio lavoro di ricerca e azione da parte dell’autore.
8 Riferimento al progetto di ricerca NEUBAU, lavoro esposto alla 15. Biennale di Architettura
di Venezia (2016), padiglione dell’Arsenale.
9 Si fa riferimento ai progetti sviluppati da Elemental a Villa Verde (Cile) nel 2010, quale risposta alle esigenze abitative dei dipendenti della Celulosa Arauco y Constitución (ARAUCO), e al
precedente intervento a Quinta Monroy (Cile) del 2003.
10 I Programa de Mejoramento de Barrios (PROMEBA) sono sviluppati dal Ministero dell’Interno
e delle Opere Pubbliche argentino a partire dal 1997 quale sistema di interventi per migliorare l’integrazione socio-spaziale e la qualità di vita dei segmenti più poveri della popolazione urbana. Il programma più recente (PROMEBA III) ha avuto inizio nel 2012.
172
La scelta programmatica di quali politiche mettere in atto, di quale dovrebbe essere il nuovo disegno di strade ed edifici nel quartiere, non è il risultato di una decisione democratica, quanto di un ragionamento tecnico e pragmaticamente “calato”, con tutte le differenze del caso, sulla situazione contingente di un quar-tiere completamente privo dei più basilari servizi. Naturalmente va considerato come le scelte della ONG siano state verosimilmente le migliori per la struttura del quartiere, ma indubbiamente non le uniche possibili. È questa, infatti, una strategia che si allontana sostanzialmente dalla classica concezione trasversale di approccio bottom-up.
Questa riflessione ci porta a definire come le azioni dei soggetti terzi possano, quindi, risultare molto distanti dal concetto della freedom to build di J.F.C. Turner (1972) o dallo scenario in cui l’intervento nella gestione del potere, decisionale o fattivo, è equamente distribuito tra tutti (De Carlo, 1973). Nel caso di San Jorge gli abitanti sono stati ‘indirizzati’ alla partecipazione – scelta che ha collaborato alla costruzione un sentimento comunitario – ma in ogni caso lontana dall’ap-proccio libertario di costruzione a seguito di una necessità. Possiamo quindi defi-nire come questi processi non siano facilmente identificabili con una definizione disciplinare unitaria, in quanto si articolano spesso con tempistiche dilatate e con modalità che possono variare nel tempo. Tutto questo tenendo presente come sia, in ogni caso, quello della tutela dei diritti umani e urbani della popolazione il motore che determina simili interventi di modifica spaziale (Nelson e Dorsey, 2003).
Nel caso di San Jorge si è quindi di fronte ad una partecipazione molto più diretta (inteso come determinata da una direzione impartita) e strutturata da un soggetto unico, con una sua riconoscibilità e referenzialità, che può dialogare con quegli attori istituzionali necessari al consolidamento della nuova città. Può non essere superfluo riportare come tale approccio sia, ad ogni modo, molto distante da quanto viene classificato come top-down nei processi di pianificazione urbana (Murray et al., 2009). Il contatto con i cittadini e i bisogni della popolazione sono e rimangono la ragione fondamentale che guida l’azione delle ONG impegnate in processi di sviluppo sostenibile (Nelson e Dorsey, 2003). Siamo, infatti, cer-tamente molto lontani dalle pratiche stigmatizzate efficacemente dal geografo David Harvey (2003, 2008, 2012), che descrive come le scelte programmatiche e le politiche per il territorio siano spesso dirette unicamente da soggetti finanziari. Sono questi i casi in cui simili attori scientemente valutano e decidono, insieme alla vuota controparte politico-amministrativa, quali zone della città “rigenera-re”11. La rigenerazione così concepita non è sinonimo di miglioramento sociale e urbano, al contrario, determina un circolo vizioso che unicamente “rimuove” la questione del benessere della popolazione innescando ulteriori meccanismi di accumulo e reinvestimento del capitale nella fabbrica città12. In simili interventi non è più centrale la dimensione umana e sociale di quanti vivono lo spazio urbano, con il risultato di una concentrazione dell’azione di pianificazione sul
valore di scambio e non sul valore d’uso (Ward, 1982)13 dei territori interessati
«L’or-11 Pur nella larga assonanza alle teorie generali del geografo statunitense, già citate, il riferimen-to è ad uno dei testi più recenti, Rebel Cities: From the Right to the City to the Urban Revolution (2012).
12 Si vedano, quali esempi significativi, i casi descritti da Harvey (2012) per Mumbai e Seul. 13 Il riferimento al concetto di “valore d’uso”, espresso in modalità diverse da numerosi autori, è qui collegato al testo curato da P. Ward, Self-help housing: A critique (1982).
Il processo in-between a San Jorge, dall’insediamento spontaneo di partenza, attraverso le attività di urbanizzazione e modifica da parte della ONG e degli abitanti, fino al consolidamento della nuova struttura urbana.
174
ganizzazione urbana, con l’affermarsi del capitalismo, diventa (…) un problema politico, cioè questione urbana e determina la necessità e definisce la condizione della politica urbana, cioè di una scelta consapevole e finalizzata dell’organizzazione dello spazio: scelte politiche intorno alla “gestione”, alla distribuzione delle fun-zioni, ai diversi livelli della rendita, alla differenziazione sociale dello spazio, ecc. La determinazione del modo di essere la città, la sua struttura e organizzazione sono sempre più viste come una variabile del processo economico (…) Al di là della micro-visione del singolo capitalista, la politica dell’organizzazione dello spazio dovrà fare i conti con i conflitti, espressi e latenti, con il modificarsi del contesto, con la riproduzione dell’organizzazione sociale, in una visione ampia e dinamica focalizzata al cambiamento. Non può essere nudo segno del capitale.»14 (Indovi-na, 2015: 91-92).
Alla luce delle numerose aderenze descritte e delle altrettanto numerose di-stanze tra le metodologie disciplinarmente classificate (top-down e bottom-up) e quanto rilevabile nei processi guidati da un attore terzo (ONG) è necessario pro-porre una definizione unitaria per quanto evidenziato. Appare chiaro come si possa supporre che nella maggior parte dei casi in cui il soggetto pianificatore e costruttore del nuovo spazio urbano è un soggetto altro il confine tra top-down e bottom-up risulti sfumato. Sono questi gli interventi che stanno modificando in maniera rilevante le città e le società urbane contemporanee in molte realtà nei paesi in via di sviluppo (Ndegwa, 1996; Klugman, 2000; Anciano, 2012; Ahmed e Hopper, 2014) e che attivano processi proattivi anche in realtà più consolida-te15. Pur considerando la difficoltà nel definire unitariamente i fenomeni collettivi diretti da questi soggetti terzi, si può forse parlare di urbanità alternative nel mo-mento in cui queste pratiche si sviluppano spazialmente nella città ampliandone le caratteristiche sociali e umane «(…) una questione che apre interessanti spunti di riflessione parte da alcuni interrogativi sul concetto di “urbanità” che richiama la complessità e le condizioni in cui si rende possibile la combinazione molteplice tra dimensioni spaziali e sociali e che consente l’esplicitarsi della diversità, dell’e-terogeneità, della tolleranza, ma anche dei conflitti e delle contraddizioni. (…) le intersezioni di mondi differenti possono creare urbanità alternative della città, in quanto in esse si produce qualcosa di nuovo, nelle forme e nei contenuti.»16
(Sanna, 2011: 145).
Quelle descritte sono dunque pratiche che si pongono idealmente “nel mez-zo”, in-between appunto, rispetto alle metodologie e agli approcci “dall’alto” e “dal basso”. Questo in quanto un simile attore terzo − che esce dalla suddivisione bipolare classica tra istituzioni e cittadini – si muove su più livelli contemporane-amente, raccogliendo le istanze degli abitanti e allo stesso tempo dialogando con i soggetti istituzionali (Korten, 1987; Oldfield e Stokke, 2004). Si tratta dunque di attori che possono promuovere la partecipazione allo sviluppo urbano costruen-do, allo stesso tempo, una strategia pianificata di indirizzo da applicare al contesto