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TUTELA E DIFESA DEI DIRITTI ALLA CITTà

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quarant’anni (1948-1990) attraverso l’Apartheid1 ha costretto la popolazione afri-cana ad una segregazione sociale e urbana, ha determinato la nascita di una società e di una dimensione politica e civile che ha posto i diritti della popolazione come cardine per la rinascita del paese. Il caso sudafricano è rilevante anche in quanto il tema dei diritti e della loro assicurazione non si esaurisce con la fine della segrega-zione, ma rimane centrale anche nella situazione post Apartheid. Questo in quan-to la rinascita sociale e politica della nazione africana, pur nella premesse di una profonda ri-democratizzazione del paese (Oldfield e Stokke, 2004) ha prodotto una situazione socio-politica ed economica molto più complessa (Bond, 2000; Desai, 2003). In questo contesto le politiche macro economiche proposte quale soluzione ideale per la condizione del paese e per l’intercettazione di investimenti esteri hanno prodotto un peggioramento della situazione della popolazione con un incremento della disoccupazione, della povertà diffusa e dell’ineguaglianza sociale (Adelzadeh, 1996; Nattrass, 2003). È utile sottolineare, inoltre, come in questo contesto di sviluppo e in questo momento storico si inserisca anche l’ap-porto di soggetti internazionali quali la Banca Mondiale. Il Sudafrica ha, di conse-guenza, anche un ruolo rilevante nella definizione di come soggetti internazionali (Banca Mondiale, Fondo Monetario Internazionale) abbiano partecipato ad una privatizzazione dei beni pubblici del paese (Harvey, 2003). In questa situazione si osserva, dunque, un’applicazione del capitale economico e finanziario alle politi-che di sviluppo urbano, dei servizi e del sistema della proprietà «La Banca Mon-diale ha trattato il Sudafrica post-Apartheid come vetrina per la migliore efficien-za che si potrebbe raggiungere attraverso la privatizefficien-zazione e la liberalizefficien-zazione del mercato. Ha promosso, per esempio, sia la privatizzazione dell’acqua che il

total cost recovery’ da parte della municipalità che possedeva il servizio pubblico.

I consumatori pagavano per l’acqua che utilizzavano, invece che riceverla come bene gratuito. Con maggiori ricavi il servizio avrebbe, secondo la teoria, guada-gnato profitti ed esteso la sua portata. Ma, incapaci di permettersi i pagamenti, sempre più persone furono tagliate fuori dal servizio idrico, e con meno guadagni le compagnie alzarono i costi, rendendo l’acqua ancora meno alla portata della popolazione a basso reddito.» (Harvey, 2003: 145).

La nascita di diversi movimenti e organizzazioni non governative è dunque un diretto risultato del processo di negazione dei diritti all’abitare e al vivere urbano che, diversamente, la costituzione nazionale sanciva (Oldfield e Stokke, 2004). Il caso del Sudafrica è quindi efficace nel descrivere la realtà di quei movimenti che si pongono non solo in opposizione alle dinamiche istituzionali di sviluppo, ma anche in contrasto ad un generale sistema capitalistico di privatizzazione dei diritti (Harvey, 2003). È quindi significativo porre l’accento e l’attenzione sulle organizzazioni collocate quali controparte rispetto alle politiche governative in merito ai diritti al vivere urbano per la popolazione. In questo contesto nazionale l’attenzione ai movimenti sociali e alla galassia delle organizzazioni per i diritti civili non è di secondaria importanza se si considera come «I movimenti sociali hanno indubbiamente avuto un impatto significativo nel panorama politico del Sudafrica nello scorso decennio. (…) offrono canali di rappresentanza per i po-veri e in tal modo allargano le opportunità per la partecipazione nelle elezioni, e

1 Il regime di segregazione operato dalla minoranza bianca al governo nei confronti della mag-gioranza della popolazione di colore è stato dichiarato “crimine internazionale” da una conven-zione delle Nazioni Unite (International Convention on the Suppression and Punishment of the Crime of Apartheid, 1973) entrata in vigore nel 1976.

creano cittadini responsabilizzati che sono maggiormente in grado di richiedere i propri diritti socio-economici e di impegnarsi nella democrazia partecipativa. Dove i movimenti sociali hanno approfondito la democrazia, hanno contribuito alla trasformazione sociale della società sudafricana.» (Anciano, 2012: 160-161).

La dimensione rurale e urbana delle ONG per la tutela dei diritti

Le organizzazioni presenti nel paese e interessati da pratiche di tutela dei di-ritti urbani sono diversi e a vario titolo si occupano di politiche sociali e spaziali (Klugman, 2000). Un esempio di questa tipologia di organizzazioni è rappre-sentato dal Soweto Electricity Crisis Committee (SECC) un soggetto formatosi nel 2000 nella medesima città sudafricana. Il contesto per la creazione di questo movimento si fa risalire all’anno prima quando, nel 1999, la ESCOM2 modifica le tariffe per l’elettricità a Soweto producendo un aumento rilevante dei prezzi – quasi del 47% in un singolo anno – e rendendo dunque il servizio elettrico non più accessibile per la popolazione a basso reddito (Fiil-Flynn, 2001). In questo contesto di frizione sociale dovuto alle recenti modificazioni economiche in città alcuni attivisti che guidavano la “Campagna contro il Neoliberismo in Sudafrica” comprendono che per collegare la propria campagna alle problematiche urbane della città di Soweto era necessario collaborare con i movimenti che già in città si contrapponevano a questo approccio economico alla pianificazione dei servizi. Queste motivazioni portano alla formazione del SECC3 a Soweto durante la metà del 2000 (Alexander, 2006). Nella sua componente politica (OKM) l’organizza-zione ha efficacemente ottenuto un seggio nel Consiglio cittadino di Johanne-sburg nel 2006, come anche nelle successive elezioni del 2011 (Anciano, 2012) dimostrandosi molto attiva sul piano istituzionale e di governo.

Un altro rilevante movimento presente nel paese è rappresentato dal Sikhula

Sonke4, una organizzazione formata nel 2002 in un contesto rurale a Città del

Capo e composta da donne «(…) che hanno a che fare con le sfide per la sussi-stenza affrontate dalle donne contadine.» (Anciano, 2012: 146). L’associazione è anche connessa alla ONG Women on Farms Project (WFP), un’organizzazione nata in Sudafrica nel 1996 e che si batte per i diritti all’abitare e alla partecipazione nel mercato economico con eguaglianza e dignità per la popolazione di donne impiegate nell’agricoltura. La Sikhula Sonke si oppone al trattamento di disparità riservato alle donne impiegate nel settore agricolo in particolare riferimento ai bi-sogni di sviluppo economico e sociale di tale popolazione. Le necessità ricercate sono per un migliore accesso ai servizi di base quali una sistemazione abitativa adeguata e l’accesso continuativo e agevole ad acqua ed elettricità. Le attività del movimento sono anche legate al contrasto alle espulsioni e alla difesa dei diritti all’abitare della popolazione. Come per la SECC, anche questo attore utilizza la pressione politica quale strumento di azione, soprattutto in riferimento

all’assicu-2 La Electricity Supply Commission (ESCOM) è l’azienda pubblica di fornitura di energia elettrica

per il Sudafrica, fondata nel 1923.

3 L’attività dell’organizzazione è fortemente politica: per un contrasto più efficace alle politiche statali di governo l’organizzazione forma, nel 2005, il Operation Khanyisa Movement (OKM) quale

movimento politico connesso alla stessa SECC.

4 Il nome del movimento è in lingua xhosa e si traduce come “Noi cresciamo insieme” (Anciano,

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razione di un salario minimo per i lavoratori agricoli.

Oltre alle organizzazioni citate, quali esempio di due soggetti che operano in contesti paralleli sul tema dei diritti, quello urbano e quello rurale, è utile porre l’accento su una ONG che primariamente si occupa del contrasto alle politiche di negazione del diritto all’abitare urbano per la popolazione: è questo il caso della Western Cape Anti Eviction Campaign (AEC), attiva dal 2001 nel contrasto alle espulsioni istituzionali e per la difesa del Diritto alla Città per gli abitanti.

La western cape anti eviction campaign

Il contesto che determina la nascita di questo movimento è quello della fine dell’Apartheid. A seguito del termine della segregazione sudafricana, nel 1990, e delle prime libere elezioni (1994) la spinta rinnovatrice aveva portato, tra le altre cose, ad inserire nella nuova costituzione del paese (1996) due articoli legati ai diritti fondamentali per la popolazione (Miraftab e Wills, 2005). Questi articoli riguardavano l’assicurazione di un adeguato accesso alla casa e alle risorse fon-damentali per vivere. Il contesto politico e sociale aveva, dunque, prodotto un programma statale che si proponeva di assicurare l’uguaglianza tra i cittadini at-traverso un’adeguata distribuzione delle risorse (Reconstruction and Development

Pro-gramme – RDP)5. Un tale processo di democratizzazione della terra e dei diritti ai

servizi urbani non si è però attuato come previsto: nel 2005 solo l’1% della terra da ridistribuire alla popolazione di colore era stato effettivamente concesso. Una cifra molto distante dall’obbiettivo fissato dal RDP nel 1994, pari al 30% (Mi-raftab e Wills, 2005). Successivamente, questo programma che nelle intenzioni si presentava come maggiormente aperto ad una concezione diffusa dei diritti di cittadinanza, viene abbandonato (1996) in favore di un più pragmatico program-ma, condizionato dalla sfera economica, che limita le possibilità di partecipazione per la società civile (Growth, Employment and Redistribution – GEAR)6.

Un segnale evidente di questo cambio di rotta lo si evince dallo stagnare della produzione statale per quanto riguarda la costruzione di case a basso costo. Le cause di questo calo sono determinate anche da una carenza di sufficienti sussidi per la creazione di tali progetti di interesse pubblico e dalla conseguente mancan-za di volontà dei pianificatori di simili progetti e programmi in considerazione degli scarsi fondi, della crescente inflazione e degli elevati costi per la terra e per le edificazioni (Miraftab, 2003). Il drastico calo della percentuale di budget fissato per questi progetti passa da un iniziale e promesso 5% ad un contenuto 1,6% (2000) (Khanya college, 2001). Questa diminuzione dei fondi per la residenza pubblica si accompagna ad un inasprimento della crisi abitativa evidenziata anche da un aumento sostanziale delle espulsioni a causa dei mancati pagamenti che si aggira sulle 2 milioni di persone dal 1994 (McDonald 2002).

In questo contesto, nonostante quanto dichiarato esplicitamente nella costitu-zione in merito ai diritti assicurati ai cittadini, i costi per le nuove urbanizzazioni

5 Il programma assicurava “cittadinanza universale” attraverso la garanzia dell’accesso, per la popolazione alle risorse socio-economiche del paese (Miraftab e Wills, 2005).

6 Lo spostamento del concetto di cittadinanza, in questo secondo programma di interventi, è legato ai canali formali di partecipazione «(…) particolarmente inadeguati in una società con alcune delle differenze socio-economiche e livelli di disparità più grandi al mondo.» (Miraftab e Wills, 2005: 203).

vennero fatti ricadere maggiormente sui segmenti più poveri della popolazione, in quanto abitavano in zone non urbanizzate durante l’Apartheid. L’assurda con-seguenza di questa situazione comporta che per avere gli stessi servizi, i costi maggiori li subiscono i poveri nelle baraccopoli periferiche rispetto alla popo-lazione presente nelle città (Flynn, 2003). In una simile situazione di disparità economica e di diritto il sistema delle espulsioni e della segregazione continua a interessare sempre la popolazione più fragile.

Questo sistema di sviluppo diseguale è utile quale esempio di un paese in cui, per le politiche abitative, non si è valutato di affidarsi ad attori terzi come le ONG quanto a soggetti finanziari privati nella convinzione che questo avrebbe prodotto una più veloce soluzione al problema abitativo diffuso, ma così non è stato (Miraftab, 2003). Il governo ha posto come priorità gli interessi delle ban-che e degli investitori privati, favorendo fenomeni di speculazione edilizia e non ponendo come principali i problemi della popolazione indigente lì residente. Il ri-sultato determina un fallimento delle politiche abitative nel superare le ingiustizie del passato o per assicurare il nuovo costituzionale diritto alla casa di base «(…) il nuovo governo ha scelto di affidarsi a sviluppatori del settore privato come attori principali nella consegna degli alloggi e alle istituzioni finanziarie private come principali creditori dei prestiti a basso costo per integrare i sussidi governativi per l’abitazione dei più poveri. In effetti, il nuovo governo ha continuato essen-zialmente lo stesso regime di sussidi che esisteva sotto il governo dell’Apartheid, sebbene le sue linee guida politiche aspirassero ad un approccio incentrato sulla gente. (…) i principali meccanismi finanziari istituiti dal governo per guidare la politica abitativa agevolarono infatti principalmente gli interessi delle banche e degli sviluppatori privati nel ridurre i rischi della loro partecipazione allo sviluppo dell’edilizia per la popolazione a basso reddito.» (Miraftab, 2003: 234-235).

Questo processo di privatizzazione dei programmi abitazionali pubblici pro-voca, dunque, una crescente tensione tra la popolazione povera e i soggetti isti-tuzionali ed economici. Alcuni casi sono emblematici del panorama di pratiche attuate dalle amministrazioni e dalle società private che detenevano i crediti sui prestiti alla popolazione.

Il caso di Mitchell Plain7, ad esempio, rappresenta una delle realtà urbane edi-ficate durante l’Apartheid: ambiti di case popolari in cui erano stati forzatamen-te trasferiti i lavoratori di colore una volta espulsi dalle periferie con lo scopo di controllarli in questi quartieri circoscritti. Questi quartieri, che non avevano subito alcun processo di manutenzione fin dalla loro costruzione (1950-1970), determinavano una situazione di degrado ambientale e sanitario con la conse-guente insorgenza di numerose malattie e la presenza di diversi animali infestanti. Gli abitanti erano spesso invalidi, anziani o disoccupati; in generale si trattava di cittadini che non potevano raggiungere le quote di affitto stabilite dai nuovi pro-prietari dei prestiti forniti alla popolazione in difficoltà. In questo caso, dunque, i soggetti privati a cui lo stato aveva demandato la gestione delle politiche abita-tive operavano attraverso pratiche intimidatorie e speculaabita-tive per il recupero dei crediti e con l’inasprimento delle tariffe e degli interessi sui debiti. La negazione del diritto all’abitare, per una popolazione che viveva da oltre trent’anni in quel contesto urbano ha prodotto un ulteriore inasprimento della crisi abitativa. Gli

7 Mitchell Plain è una periferia, abitata quasi esclusivamente da popolazione di colore a basso

reddito, situata a circa trentadue chilometri da Città del Capo e creata durante l’Apartheid nei primi anni ‘70.

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abitanti scacciati dalle proprie case non avevano nessuna possibilità se non trasfe-rirsi in baracche costruite negli insediamenti informali della città, aggiungendosi alle migliaia di famiglie che in simili situazioni attendevano da anni di vedersi assegnata una casa adeguata dall’amministrazione (Miraftab e Wills, 2005).

Un altro caso simile, in cui gli istituti di credito privati determinano un regime di violazione dei diritti per la popolazione è quello di Mandela Park8. A partire dagli anni ’80, quando il regime dell’Apartheid stava avviandosi allo smantella-mento, il governo nazionale e il sistema delle banche private a cui si appoggiava avevano iniziato a fornire alla popolazione povera di colore la possibilità di acce-dere a case a basso costo per sopperire alla crisi abitativa presente. Le problema-tiche legate a queste assegnazioni si presentano, però, pochi anni dopo l’insedia-mento degli abitanti con diversi crolli dovuti all’assenza totale di manutenzione del patrimonio edilizio da parte degli istituti di credito proprietari. Per far fronte alle necessarie riparazioni i cittadini si attivarono in prima persona, boicottan-do gli affitti in ragione dell’evidente negligenza dei soggetti finanziari privati. A questa situazione si aggiunge quella della quota di popolazione disoccupata che non era in grado di pagare le tariffe imposte. La situazione non migliora dopo la transizione politica e sociale del 1994 in quanto le banche private continuano a non considerare le richieste di manutenzione degli abitanti. Diversamente, in risposta ai mancati pagamenti degli affitti gli istituti si rivolgono alla SERVCON9

per il recupero dei crediti verso i cittadini. Attraverso azioni di forza gli abitanti inadempienti vengono dunque espulsi e le case riguadagnate dalle banche sono rivendute al doppio del loro prezzo iniziale. A seguito di questa speculazione evidente la popolazione più povera è destinata forzatamente in unità più piccole e in condizioni di vita ancora peggiori (Miraftab e Wills, 2005).

Il movimento anti espulsione Western Cape Anti Eviction Campaign (AEC) nasce quindi in risposta anche a casi come questi, con lo scopo di assicurare il diritto costituzionalmente sancito di avere accesso ad un’abitazione adeguata10. Questo soggetto si formalizza nel 2001 durante una riunione di alcune centinaia di per-sone provenienti da diversi quartieri informali di Città del Capo riuniti con lo scopo di stabilire degli interventi volti al contrasto alla espulsioni e al continuo taglio della fornitura elettrica agli insediamenti (Miraftab e Wills, 2005). L’orga-nizzazione si costituisce quindi come agglomerato di diversi movimenti attivi nel contrasto alle espulsioni e per l’assicurazione dei servizi basici alla popolazione. Com’è ovvio, spesso queste azioni sono condotte direttamente da quanti risul-tano vittime in prima persona di queste pratiche istituzionali soppressive. Una simile campagna di azione, oltre alla rilevanza sociale di tali interventi, ricopre un ruolo centrale nella questione della cittadinanza o della sua esclusività in quan-to in Sudafrica quesquan-to tema è strettamente legaquan-to alla questione abitativa e alla possibilità di accesso ad un’adeguata sistemazione e ai servizi offerti dalla città (Maharaj, 1992; Mabin, 1993; Parnell, 1993).

8 Mandela Park è situato a Khayelitsha, un insediamento a circa ventisei chilometri da Città del

Capo e costruito nel 1983 per l’insediamento della popolazione africana dell’area.

9 Un’istituzione parastatale costituita da governo e banche private per ridurre i rischi di queste ultime nella concessione dei prestiti alla popolazione a basso reddito attraverso la garanzia dei mutui.

10 Sulla piattaforma web www.ismaps.org.za è presente una mappa aggiornata degli insedia-menti informali a Città del Capo, con una descrizione delle condizioni legali e le caratteristiche di forniture e servizi.

Città del Capo

Mitchell Plain Mandela Park

Una manifestazione della AEC presso l’alta corte di Città del Capo © AEC. Un’immagine aerea dell’insediamento di Mitchell Plain © Hansueli Krapf. Il posizionamento dell’insediamento di Mitchell Plain e del Mandela Park nella zona centrale di Città del Capo (Sudafrica).

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Le azioni dei movimenti legati alla rete AEC sono varie e si strutturano nei diversi quartieri e insediamenti in cui è suddivisa Città del Capo agendo con interventi di volta in volta contestualizzati rispetto alla situazione sociale e spa-ziale presente. Tra le diverse organizzazioni del AEC è esemplificativo il caso del Valhalla Park United Civic Front (Civic) in quanto definisce efficacemente come i rapporti tra cittadini e istituzioni siano mediati da questi soggetti terzi e rap-presenta una delle associazioni più di successo all’interno della rete (Oldfield e Stokke, 2004). L’approccio dell’organizzazione esemplifica le modalità operative di questa tipologia di soggetti terzi che si pongono in dialogo con le istituzioni operando, allo stesso tempo, con attività legali e illegali. Il successo di molte bat-taglie civili condotte dal movimento è da ricondurre al lavoro condotto all’inter-no e all’esterall’inter-no delle all’inter-norme, trattando con il Consiglio Cittadiall’inter-no e organizzando proteste in contrasto ad esso. Questa tipologia di approccio concorre a definire le modalità operative generali dei soggetti terzi che si trovano ad intervenire nella dimensione spaziale della città, anche in contesti diversi. Uno dei primi successi

del Civic riguarda la risposta al totale taglio dell’elettricità al quartiere a metà anni

‘90, nonostante i pagamenti che una parte degli abitanti continuavano a versare all’ente gestore. Attraverso la diretta pressione da parte dell’organizzazione sul Consiglio Cittadino e a seguito delle manifestazioni e contatti con l’istituzione, il movimento ottiene la riapertura delle fornitura elettrica per tutto l’insediamento. L’interesse per gli interventi e le azioni di questi soggetti sono rilevanti anche in considerazione degli effetti che possono avere nella modifica delle politiche e del-le norme per il contesto urbano in cui operano. «L’ultima vittoria del United Civic Front è anche la più significativa: l’organizzazione ha vinto un processo all’Alta Corte contro Città del Capo, un processo istruito dall’Alta Corte per fornire servizi e diritti legali sulla terra per un insediamento informale a Valhalla Park. I residenti “senza casa” di Valhalla Park – quelle famiglie nella lista d’attesa per l’assegnazione della casa che abitano in baracche o in appartamenti subaffittati e sovraffollati – occupavano terreni di proprietà statale nel quartiere con lo scopo di convincere il Consiglio Cittadino a costruire nuove abitazioni nell’area. Quan-do il Consiglio Cittadino ha richiesto un’interdizione da parte della Corte per la rimozione di tali famiglie coinvolgendo l’organizzazione in questa cosiddetta oc-cupazione illegale, il United Civic Front ha presentato una contro richiesta all’Alta Corte, per far valere i propri diritti costituzionali all’abitazione per le emergenze. Il giudizio, in favore dei residenti dell’insediamento informale e dell’organizza-zione, ha il potenziale per modificare gli obblighi legali della città nel fornire servizi agli insediamenti informali, non solo a Città del Capo, ma anche a livello