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IL RACCONTO DI UN’ESPERIENZA SUL CAMPO: SAN JORGE A POSADAS

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spazi tra popolazione ricca e abitanti senza diritti e possibilità.

L’eco della foto sui media internazionali è anche derivato dal fatto che l’im-magine non proviene da un contesto urbano africano o dalle infinite metropoli asiatiche, a cui abitualmente si associano situazioni umanitarie estreme, ma da una città argentina, un paese che all’inizio del ventesimo secolo aveva uno dei redditi pro capite più alti al mondo e che ancora durante gli anni ’60 aveva un Pil quattro o cinque volte superiore a quello di altri paesi sudamericani3. Pur aven-do subito diverse crisi economiche e politiche, il paese continua ad essere una situazione peculiare nel panorama globale con una diffusa scarsa informazione sullo stato reale del benessere economico della sua popolazione4. Quell’immagine sintetizza la doppia velocità osservata durante l’esperienza svolta a Posadas, una città in cui convivono realtà socio-spaziali ed economiche molto distanti oltre che dimensioni urbane opposte.

La realtà urbana di Posadas è ben definita dalla sua distanza fisica e formale con la dimensione cittadina di Buenos Aires. Se la capitale argentina stupisce con la verticalità dei suoi palazzi, la storia delle sue architetture e la bellezza dei suoi spazi, la provincia di Misiones, nel nord-est argentino disarma con l’orizzonte ampio dei suoi spazi naturali, così scarsamente urbanizzati.

Una simile distanza è ben percepita durante il viaggio di avvicinamento alla destinazione finale di Posadas. I voli interni sono infatti poco utilizzati ed econo-micamente non vantaggiosi e questo determina un largo uso dei bus per i lunghi viaggi di collegamento tra le città argentine. Questo aspetto comporta lunghi viaggi su strada che sono regolarmente fissati durante le ore notturne, per limi-tare i disagi per i passeggeri. Tale espediente partecipa, inoltre, a far percepire la distanza fisica tra le due realtà urbane e sociali: la lontananza e ben misurabile con le ore di viaggio, cosa che difficilmente si percepisce con i viaggi aerei5. I mezzi

3 M. Margiocco su Lettera43.it (2018).

4 In due riprese, nel 2012, il Fondo Monetario Internazionale ha chiesto chiarimenti al governo argentino in merito ai sospetti dati truccati rispetto allo stato economico e sociale del paese. Per un approfondimento, si veda il capitolo I della parte seconda.

5 Il viaggio intercontinentale che da Madrid ci ha portati a Buenos Aires è durato dodici ore, tanto quanto è durato il viaggio in autobus da Buenos Aires a Posadas.

La foto scattata il 13 dicembre 2017 a Posadas © Misiones Online.

che partono da Buenos Aires sono relativamente moderni e adatti a passarvi sva-riate ore, con pasti serviti e sedili che diventano all’occorrenza piccole cuccette.

La lunga notte di viaggio si interrompe con la visione della vastità dei dintorni di Posadas. Il territorio metropolitano di Buenos Aires lascia il posto alle selve di Misiones, il reticolo viario viene sostituito da una stretta via di asfalto scolorito e dimesso che si snoda quasi in linea retta, tra due ali di terreno rosso per ossidi di ferro. La conformazione della Ruta 12, che dalla capitale porta entro il territorio del nord-est argentino, sembra riproporre la forma della provincia, che come una lunga striscia di terra argentina si spinge entro il vasto stato brasiliano, terminan-do, sul confine nord, con le famose cascate dell’Iguazú.

La città si avvicina con una serie di diffuse periferie che non fanno percepire un vero e proprio confine tra il paesaggio rurale e quello urbano. Ai quartieri di nuova espansione istituzionale, così geometricamente organizzati, si alternano gli insediamenti spontanei, che fungono da elemento di ricucitura tra la realtà consolidata e quella informale, in un rapporto duale che poi tornerà molte volte, nell’approfondimento della ricerca sul campo. Il primo approccio con Posadas è quindi di grande stupore per il suo paesaggio e per la sua diversità rispetto alle aspettative. Con l’arrivo inizia anche il nostro primo rapporto con la realtà infor-male della città, che ci appare per la prima volta attraverso i finestrini infangati del furgone nel cui retro siamo trasportati, dalla stazione degli autobus fin dentro

al barrio. Il paesaggio periurbano, quasi rurale che ci scorre di fronte agli occhi ci

fa domandare quando mai si sarebbe finalmente arrivati in città, anche se in città non siamo mai realmente arrivati.

La nostra destinazione è il barrio Sesquicentenario, un insediamento informale in cui l’associazione ha una struttura satellite, rispetto alle attività principali svolte nel vicino barrio San Jorge. La struttura dell’associazione è come un’isola formale nel quartiere spontaneo che la abbraccia. Un quartiere con cui l’associazione ha un rapporto diretto e continuo, come abbiamo avuto modo di provare noi stessi. All’interno del complesso si trova un centro educativo in cui i ragazzi del barrio imparano diversi mestieri, con laboratori e aule, un panificio, un centro medico,

un comedor (una mensa per i poveri)6 e l’hogar de madres. Quest’ultima è una casa

6 Come in altri punti dell’esposizione, per i comedor verrà usato il termine di “mense”, anche se

Una strada della provincia di Misiones © Martin Eayrs

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famiglia in cui sono ospitare, per periodi più o meno lunghi, delle giovanissime ragazze madri, tra i 13 e i 15 anni, vittime di violenze o abbandono, spesso con i propri figli al seguito.

L’abitazione in cui siamo ospitati è infatti parte dello stesso hogar de madres, accanto all’orto coltivato dalle ragazze e vicino ad una piccola serra in disuso. Il rapporto quotidiano con le giovani lì ospitate ha rappresentato un’importante contatto con la realtà sociale e culturale dei barrios informali della città. Quasi tutte le ragazze provengono, infatti, da contesti urbani spontanei e con le proprie storie di violenza testimoniano parte dei problemi che tali insediamenti possono determinare e a cui la ONG sta provando a dare risposta. Le storie che abbiamo avuto modo di ascoltare raccontano molte esperienze di vita diverse, tutte acco-munate da percorsi difficili e spesso violenti.

si tratta più che altro di cucine in cui vengono preparati i pasti: non sono, infatti, luoghi in cui gli abitanti si fermano a mangiare. La popolazione indigente del quartiere fa la fila durante l’orario del pasto (ne viene fornito uno al giorno, il pranzo), con recipienti di varia natura, per ricevere le proprie razioni di cibo.

Alcune immagini del Barrio

Sesquicentenario nei pressi di uno dei centri della ONG.

C’è la storia di Romina7 che, mentre ci accompagna lungo la strada verso

il barrio San Jorge, ci racconta di quanto sia felice di poter finalmente andare a

scuola, nel centro educativo della ONG. A soli 14 anni ha denunciato la madre per sfruttamento e violenza contro di lei e dei suoi fratelli più piccoli. Prima era costretta a lavorare vendendo fiori ai cittadini ricchi nel centro di Posadas. Non poteva studiare e doveva cedere tutti i proventi alla madre, sotto la minaccia dell’incolumità dei fratelli. Ora lei è felice, ma l’idea che gli altri figli siano ancora con la loro madre le fa scendere un’ombra sul volto.

C’è Luisa che a 14 anni ha già una bimba di un anno che vive con lei nella struttura dell’associazione e che sembra insofferente di questa situazione. È già scappata più volte, anche se non è fisicamente costretta all’interno del centro di accoglienza. La piccola figlia è una bellissima bambina che quando è in braccio fa sembrare l’esile quattordicenne ancora più piccola della sua età. Dopo essere stata destinataria di violenza ed abbandono, il desiderio di vivere la leggerezza dei suoi anni la porta alla sfortunata decisione di abbandonare a sua volta la piccola Ludmilla (la giovane madre aveva una fascinazione per i nomi russi), scappando per l’ennesima volta dal centro di aiuto pochi giorni dopo la nostra partenza. La sua storia, come molte altre, dimostra come il peso delle violenze abbia conse-guenze molto più a lungo termine e che coinvolgono molte più persone di quan-to si potrebbe immaginare.

Una di queste è Michela, anche lei di 14 anni, che non risponde mai ai miei sa-luti. Non solleva lo sguardo su di me in nessuna occasione, ma unicamente sulle due colleghe che vivono con me. La giovane donna che segue le ragazze ci spiega che, dopo il parto a seguito di violenza da parte di un suo stretto familiare non ha più alcun rapporto sociale con gli uomini. Il suo sguardo è distante, così come sembrano i suoi pensieri. Sua figlia non vive con lei a causa di alcuni episodi di violenza perpetrati dalla giovane madre contro la sua stessa bimba, diventata un ricordo vivente di quanto subito.

Queste sono solo alcune delle storie ricevute e nella loro diversità e comu-nanza descrivono bene la dimensione sommersa di violenza e povertà con cui l’organizzazione si confronta fin dalla sua creazione.

La quotidianità della vita all’interno del barrio determina un insieme di aspetti positivi e negativi. Gli aspetti negativi sono legati all’adattamento alle condizioni difficili a cui gli abitanti sono da tempo abituati. Spesso manca la corrente elet-trica, così come sono frequenti le interruzioni nella fornitura di acqua all’interno dell’abitazione, che in ogni caso non è possibile avere che a temperatura ambien-te, non essendo presenti sistemi di riscaldamento del flusso. A causa della nostra estraneità non ci è consigliato consumare l’acqua proveniente dalla rete idraulica domestica e per evitare spiacevoli conseguenze siamo costretti ad un continuo approvvigionamento di acqua confezionata. La città, con i suoi negozi, dista solo pochi chilometri, ma i mezzi pubblici passano con orari non prestabiliti e spesso dalle aree periferiche giungono ormai pieni alle fermate periurbane in cui ci tro-viamo. Le gambe rimangono il mezzo più affidabile per recarsi in città.

I tempi di percorrenza si dilatano muovendosi lungo le strade di fango che si snodano all’interno del barrio, rendendo difficili gli approvvigionamenti di prov-viste. Non è presente una rete di gas e dunque per cucinare è necessario andare

7 I nomi qui riportati e riferiti alle ragazze che abbiamo conosciuto durante il soggiorno, sono gli unici in tutta la tesi non veritieri (ad esclusione di Ludmilla, che è reale), per rispetto alle confi-denze ricevute e alle loro situazioni delicate.

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a prendere una bombola da un rivenditore informale all’interno del quartiere, accompagnati dalle ragazze della casa. Il clima, da sub tropicale, negli ultimi anni è divenuto praticamente tropicale, anche a causa del rilevante cambiamento cau-sato dall’innalzamento del livello del fiume, a seguito della costruzione della diga idroelettrica di Yacyretá. Le precipitazioni monsoniche possono durare anche una decina di giorni scendendo con violenza e rendendo le strade di terra un uni-co peruni-corso fangoso, in cui tutti gli spostamenti sono resi anuni-cora più uni-complessi. Nei periodi secchi e caldi, invece, la terra rossa di Misiones, fine e leggera, viene costantemente alzata dal vento. Le attività quotidiane coinvolgono necessaria-mente la pulizia della casa, dovendo spazzare fuori l’enorme quantità di terra e polvere che entra dalle finestre e dalle porte, senza qualsiasi tipo di guarnizioni a tenuta. I vestiti e le attrezzature ne sono invase e i lavaggi con acqua, obbligato-riamente fredda e senza supporto tecnologico (non sono ovviamente presenti né lavatrice né lavastoviglie), non sono risolutivi.

In tutto questo la pulizia e l’ordine devono essere militari in quanto gli scara-faggi sono un problema quotidiano. Con la più piccola quantità di cibo lasciata al di fuori del piccolo frigo o nel caso non si ripuliscano i piatti subito dopo i pasti, la visita in gran numero di questi sgraditi ospiti, resistenti e insistenti, è assicurata. Insieme a topi, rane e altri animali che naturalmente vivono nei dintorni natura-lizzati del barrio e che spesso si presentano anche in casa.

Il lato positivo di vivere all’interno del barrio è però il contatto diretto con le persone. Quotidianamente le ragazze dell’hogar de madres condividono con noi il cibo recuperato presso il comedor locale, la mensa per i poveri che rifornisce di pasti quella parte di quartiere. Il piatto è unico, spesso a base di legumi e cereali, con patate, verdura e a volte alcune tipologie di carne. La verdura cruda e le uova arrivano dai programmi di coltivazione che l’organizzazione ha nelle campagne intorno a Posadas e nella struttura un piccolo panificio fornisce il resto.

Questa vicinanza fisica con gli abitanti ci rende depositari di confidenze e storie personali che, senza la distanza portata da un’intervista formale o da un’in-dagine ufficiale, vengono condivise con noi. Dopo qualche settimana non siamo più degli stranieri arrivati da lontano, ma siamo parte della famiglia allargata che vive e lavora all’interno del quartiere. Nell’entrare nelle vite e nelle storie di quanti abitano il barrio San Jorge e in particolare le sue aree informali sono state, poi, di fondamentale importanze le ragazze e le donne del luogo, che da quelle zone provengono e che lavorano e collaborano con la ONG all’interno dell’area so-ciale. I settori informali non possono infatti essere esplorati senza la “scorta” di una delle giovani donne e solo due-tre persone alla volta. Gli abitanti non devono sentirsi all’interno di un documentario o studiati come fenomeni da baraccone, bisogna entrare in punta di piedi all’interno di dimensioni urbane e sociali così complesse e fragili.

Le ragazze ci accompagnano all’interno delle vie strette e curve, che come un reticolo sconnesso si addentrano nella baraccopoli. Possiamo fare poche foto e solo quando riceviamo il via libera da parte delle nostre accompagnatrici. Ci sono anche dei momenti di tensione con alcuni abitanti che non gradiscono ingerenze esterne, ma che si rasserenano quando riconoscono i visi delle proprie vicine o quando sentono che abitiamo lì accanto, nel barrio vicino, che non veniamo dalla “città”. L’ingresso nei settori informali ribalta alcune delle certezze con cui eravamo partiti. La struttura dell’insediamento non si presenta come potevamo immaginare un insediamento spontaneo urbano o periurbano. Si tratta piuttosto

Diverse prospettive di uso e riuso dello spazio all’interno del settore informale di San Jorge

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di un insediamento rurale. Ci sono cavalli e capre che si muovono tra le case e carretti tirati da asini che scendono lungo le strette vie fangose. Molti coltivano piccoli orti tra le palizzate realizzate con materiali di risulta, vari assemblaggi di legno e metallo, reti e assi definiscono le proprietà e le divisioni. I tracciati non sono predefiniti e dunque capita che alcuni percorsi non siano più percorribili a causa del modificato reticolo tra le proprietà. Numerosi torrentini scendono verso il fiume che costeggia le zone informali e spesso si intrecciano con le strette vie fangose che percorriamo. La natura è al suo massimo, l’insediamento è ricco di alberi e arbusti dalle specie per noi irriconoscibili, ogni spazio che non sia oc-cupato da case o dalle sinuose vie di passaggio è ricoperto di verde. Il territorio è un insieme di spazi occupati da macerie e materiali di risulta, alternati a luoghi di forte naturalità.

Le attività si fondono con le residenze senza soluzione di continuità. Si vende ogni cosa, gelati e bibite, frutta e verdura, carni e cibi in scatola, vestiti e attrezzi. Quasi ogni casa ha cartelli scritti a mano che propongono prezzi o semplice-mente indicano i generi che si possono trovare al suo interno. L’intero quartiere è in continuo cambiamento, molte sono la baracche che si stanno ampliando o spostando il proprio sedime; si costruiscono nuovi volumi, si consolida quanto fatto tempo prima, si creano spazi aperti, luoghi comuni e vie di accesso. Le case sono affastellate una dietro l’altra dando al quartiere una profondità prospettica straniante.

I percorsi che percorriamo presentano diversi gradi di gerarchia e intensità man mano che si prosegue all’interno dell’insediamento. In alcune sezioni passa-no anche delle vecchie automobili arrugginite, utilizzate più come mezzi da lavo-ro che come sistemi di trasporto personale. Quello che stupisce maggiormente, in diverse parti dei settori informali, sono i giganteschi cartelloni che pubbliciz-zano le prossime elezioni politiche, nazionali e locali (2015). All’interno degli insediamenti ce ne sono quasi in numero maggiore che nella città consolidata. Gigantografie fuori scala si affacciano su piccole vie a bassa percorrenza o fanno capolino dietro la palizzata di una baracca. Il sistema di voto consente anche agli abitanti dei quartieri spontanei di esprimere la propria preferenza e il periodo delle elezioni vede i politici locali molto attivi nel cercare consensi anche in queste zone. I sistemi clientelari che nella città consolidata sono forse più sottili, qui si svolgono con molta più semplicità. Un sacco di cemento, dei materiali edili, degli animali da cortile magari, tanto basta per convincere gli abitanti a mantenere all’interno della propria casa un cartellone pubblicitario per questo o quell’altro politico rampante. Essere in quel contesto durante un periodo così peculiare ci consente di osservare come l’attenzione politica per queste situazioni urbane sia solo finalizzato al mantenimento o all’ottenimento del potere amministrativo ed economico, con scarso interesse per le reali condizioni degli abitanti.

Grazie al credito dovuto alle nostre guide possiamo anche entrare in alcune delle numerose casette. La proprietaria ci osserva felice, è molto orgogliosa di mostrarci come è sistemata ora la sua abitazione “Una volta si che si stava male! Non avevo il pavimento, la casa era costruita solo con questi muri di legno e il tetto di assi. Pioveva dentro e durante i temporali l’acqua scorreva lungo il mento come fossimo su un fiume, si portava via tutto. Ora abbiamo questo pavi-mento di cepavi-mento ed si sta bene. Il tetto è di lamiera e non fa più passare l’acqua! Abbiamo anche il bagno ora, anche se non sempre funziona bene.”. Le situazioni simili si susseguono, riceviamo spesso una grande ed insperata disponibilità ad

La realtà rurale ed economica nell’insediamento spontaneo di Cantera a San Jorge. (2015)

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aprire la propria vita privata a dei perfetti estranei, quali siamo.

I percorsi all’interno dei settori informali di Tablada, Cantera e Villa Cariño ci forniscono un importante punto di vista sul passato di San Jorge. Prima dell’in-tervento della ONG l’intero barrio era costituito da insediamenti di questo tipo. La popolazione viveva dove il terreno consentiva di costruire e di anno in anno aumentava il numero di abitazioni e vie predisposte dagli abitanti. Non esisteva-no sistemi di scarico reflui ne programmi di raccolta dei rifiuti. L’insediamento cresceva dei materiali recuperati dalla vicina discarica e dal contatto con la città di Posadas. L’economia informale sosteneva la villa miseria e la riconnetteva alla città consolidata con la quale confina direttamente. Percorrere queste strade for-nisce una misura precisa e una visione tridimensionale molto efficace di quanto sviluppato dalla ONG durante i decenni di lavoro. Gli insediamenti spontanei, che ancora esistono nel barrio, possono quindi rappresentare anche un momento zero, da cui tutto il progetto per San Jorge è partito.

Le visite giornaliere lungo i percorsi del barrio San Jorge delineano plastica-mente lo sviluppo del suo stesso programma di insediamento. I primi settori ad essere formalizzati durante gli anni ’80 e ’90 sono ora quasi interamente usciti dalla regolarizzazione geometrica che li contraddistingueva all’inizio della loro storia. Le abitazioni accoppiate sono state nei decenni successivi modificate, am-pliate e ridisegnate dall’intervento degli abitanti. Attraverso un uso consapevo-le della struttura urbana, predisposta dall’associazione, i residenti hanno potuto plasmare il proprio luogo di vita e lavoro in un multiforme insieme di versioni sempre diverse.

Percorrendo le strade del barrio nei settori di prima fondazione non si perce-pisce quasi più l’originale e rigida suddivisione tra le proprietà, tranne che per al-cune abitazioni che hanno mantenuto dei caratteri regolari riconoscibili. Comple-tamente diverso appare, invece, il settore che durante la nostra permanenza era appena stato urbanizzato e in cui le abitazioni non erano ancora state assegnate.