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disciplinare

L’interesse disciplinare per la dimensione informale e spontanea nei processi di trasformazione urbana, determinati dalla lotta per i diritti urbani, è recente-mente tornato al centro del dibattito scientifico (Purcell, 2014) «Negli ultimi dieci anni o giù di lì, il diritto alla città è divenuto uno dei concetti più affrontati negli studi urbani. Nei circoli politici, nell’accademia e tra gli attivisti, è frequentemente invocato e campionato.» (Purcell, 2014: 141). L’approfondimento del tema dei diritti urbani viene quindi legato alla dimensione creativa dell’attivismo all’interno della città, quale carattere indissolubile nelle nuove battaglie per i diritti all’abi-tare urbano. «Il diritto alla città è un elemento vitale di questo movimento verso l’urbano. Quel movimento viene messo in moto quando gli abitanti decidono di alzarsi e reclamare lo spazio della città, quando sostengono il valore d’uso sul va-lore di scambio, l’incontro sul consumo, l’interazione sulla segregazione, la libera attività e il gioco sul lavoro. Man mano che si appropriano dello spazio, mentre sviluppano la capacità di gestire la città in autonomia, danno forma all’urbano.» (Purcell, 2014: 151). Questa rinnovata considerazione per una nuova questione urbana (Merrifield, 2014) con determinanti connotazioni sociali (Secchi, 2013) si configura come ulteriore elemento di approfondimento dei temi sviluppati a partire dalla fine degli anni ’60. Numerose sono le pubblicazioni che riprendono ampiamente quanto descritto nei decenni ‘60 e ’70 sul tema dell’evoluzione archi-tettonica e urbana, da un punto di vista sociale e incrementale (Turner e Fichter, 1972; Friedman, 1972; Harvey, 1973; Turner, 1976), questioni successivamente evolute durante agli anni ‘90 del secolo scorso, a partire dall’analisi delle dinami-che presenti in contesti spontanei e autorganizzati (De Soto, 1989; Portes, Castel-ls e Benton, 1989; Sassen, 1991, 1994, 1996, 1998; Taschner, 1995; Ward, 1998), arrivando infine all’attualità con una rinnovata diffusione di interrogativi in meri-to alla questione urbana1. Gli studi contemporanei sullo spazio urbano, dunque, si interrogano su quale possa o debba essere la considerazione di una simile realtà alternativa nella costruzione della città, così variamente indagata e ancora poco compresa. Le ragioni possibili alla base di questo interesse sono diverse.

1 Tra le altre si possono riportare, a solo titolo esemplificativo: Learning from Favelas, Lotus 2010

n.143; Learning from favelas, Abitare 2012; From the slum to the house: towards a less polarized Mumbai?,

Territorio 2013 n.65. PAGINA PRECEDENTE:

Un manifesto del maggio francese 1968, momento socio-politico in cui viene pubblicato Le Droit à la ville di Henri Lefebvre.

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La prima è legata alla crescente urbanizzazione globale, maggiormente evi-dente in contesti interessati da fragilità urbana e sociale (UN-Habitat, 2009). In particolare, la questione connessa al disegno del territorio si confronta, con sem-pre maggior attenzione, con la dimensione spontanea di questi fenomeni, all’au-mentare della rilevanza che lo spazio urbanizzato ha a livello globale (LSE Cities, 2012). In questo senso gli studi e le ricerche attuali, articolati sulla base delle teorizzazioni in merito alla produzione sociale di spazio urbano, si concentrano sugli orizzonti possibili dell’evoluzione delle città contemporanee.

La seconda questione è strettamente legata ai diritti alla città e alla risposta istituzionale o autorganizzata alle vertenze della popolazione. La questione urba-na e sociale (Castells, 1977; Merrifield, 2014) affronta e amplifica, infatti, uno dei temi fondamentali che durante i precedenti decenni sono stati definiti e che sono di recente tornati prepotentemente al centro dell’attenzione disciplinare: i Diritti degli abitanti della città. Il tema è una diretta evoluzione di quanto sostenuto da Lefebvre a partire dal suo testo del 1968, anche se alcuni autori suggeriscono come una sovra esposizione di queste questioni possa averle spogliate di parte del loro significato originale (de Souza, 2010; Gorgens e Van Donk, 2011) «Mentre questo fiorente interesse per il diritto alla città è stato entusiasmante e produttivo, c’è stata anche una misura di inflazione concettuale, in quanto la frequenza con cui è stata utilizzata questa idea ha avuto la tendenza a rendere il suo significato sempre più indistinto. Ad esempio, la Carta Mondiale per il Diritto alla Città sembra includere tanti diritti – alla memoria culturale, alle telecomunicazioni, alla riqualificazione, all’asilo, alla rimozione delle barriere architettoniche e così via – che il diritto alla città sembra essere allo stesso tempo tutto e niente. Que-sta inflazione è un serio pericolo, ma non dovrebbe spingerci troppo oltre nella direzione opposta, verso una singola interpretazione ortodossa.» (Purcell, 2014: 141). Questa questione rappresenta, nondimeno, uno degli argomenti che mag-giormente ha stimolato studi e approfondimenti, in considerazione della rilevan-te connessione tra diritti alla città e questione urbana, in special modo evidenrilevan-te nei paesi del Global South2.

Una terza ragione per l’interesse contemporaneo ai temi dell’evoluzione alternativa nelle città è connessa alla questione dei cambiamenti climatici e ai loro effetti sulla modifica dell’ambiente socio-spaziale (Bulkeley e Betsill, 2003, 2005; Ruth e Gasper, 2008; Kern e Alber, 2008; Leichenko, 2011; Castán Broto e Bulkeley, 2012). Così come lo sviluppo crescente del tessuto urbano globale, la risposta alle modificazioni climatiche è un tema che si confronta necessariamen-te anche con la dimensione alnecessariamen-ternativa delle pratiche urbane, così come con il rapporto tra tessuto sociale e città. «La necessaria collaborazione tra le discipline e l’approccio sistemico all’infrastruttura urbana offre la possibilità di affrontare più problemi contemporaneamente (ad esempio, lo sviluppo e l’adattamento ai cambiamenti climatici). Le sfide dell’acqua nell’ambiente urbano possono offrire un’opportunità per combinare programmi e stringere collaborazioni tra settori pubblico, privato e non governativo, aprendo la strada a idee nuove e creative con il potenziale per affrontare problemi ambientali, sociali ed economici.» (Ruth e Gasper, 2008:115). In questi termini, dunque, il tema della resilienza urbana si inserisce nel confronto disciplinare in merito allo sviluppo sociale della città «Gli approcci della società civile globale si allontanano dalle spiegazioni istituzionali in

2 Per un riferimento maggiormente puntuale si veda il paragrafo successivo, in merito alle ricer-che sviluppate a partire dalle teorizzazioni di Lefebvre.

merito alla natura e all’efficacia della governance globale del territorio, ampliando la prospettiva di analisi attraverso la considerazione della molteplicità di attori e istituzioni che influenzano le modalità in cui i problemi ambientali globali posso-no essere affrontati.» (Bulkeley e Betsill, 2003:13).

Alla luce dell’interesse disciplinare attuale nell’ambito delle pratiche alterna-tive nello sviluppo urbano, questa ricerca intende proporre un possibile inqua-dramento teorico per i processi attivi condotti dai soggetti non governativi nello spazio urbano. Questo in quanto le azioni e gli interventi osservati durante la ricerca sul campo a Posadas, sembrano rappresentare un’anomalia, in termini di riconoscibilità e inquadramento delle modalità operative e di approccio. Nella convinzione che tali processi urbani non siano un caso isolato, si rende neces-saria una ricognizione nella letteratura disciplinare e nel suo processo evolutivo in merito alla considerazione delle ONG attive spazialmente nella città e più in generale in merito al ruolo della società civile in simili pratiche.

Tre questioni per un approfondimento disciplinare

Nell’affrontare il tema dell’inquadramento e riconoscibilità teorica delle azioni intraprese dalle organizzazioni non governative ci si è confrontati principalmente con una dimensione di studi sociali, umani, economici e politici che comprende-vano la questione delle ONG e si interrogacomprende-vano sull’apporto che questi soggetti terzi hanno sviluppato all’interno della società e della politica nello sviluppo3. In queste ricerche ed analisi non è però presente un particolare approfondimento specifico in merito agli esiti spaziali e più in generale in merito ai processi creativi che questi soggetti mettono in atto «Sebbene i sociologi abbiano esaminato le cause e gli effetti dell’urbanizzazione del Terzo Mondo, non si sono concentrati sul ruolo delle ONG in questo processo.» (Bradshaw e Schafer, 2000: 98).

L’attenzione per l’azione delle ONG nella produzione di spazio, in una lettura urbanistica, viene qui di seguito analizzata partendo da tre questioni. Scopo di questi temi è proporre una maggiore attenzione disciplinare alle posizioni sol-levate dall’osservazione delle pratiche proprie dei soggetti terzi, in modo che possano entrare a far parte del confronto disciplinare in merito alla città. Questo in quanto lo studio del caso di Posadas ha fatto emergere delle peculiarità nell’ap-proccio sviluppato dalla ONG coinvolta, nell’ambito dell’emergenza urbana con-tingente, che si ritiene debba essere indagato anche dalle discipline proprie della pianificazione e della progettazione urbanistica.

«L’architetto, il pianificatore, il sociologo, l’economista, il filosofo o il politico non possono, dal nulla, creare nuove forme e relazioni. Più precisamente, l’ar-chitetto non è più taumaturgo di un sociologo. Nessuno dei due può creare re-lazioni, sebbene in determinate condizioni favorevoli aiutino il formulare (pren-dere forma) delle tendenze. Solo la vita sociale (prassi) nella sua capacità globale

3 Alcuni tra i testi che hanno posto in evidenza l’apporto delle ONG in processi di sviluppo e gli esiti dei loro interventi sono, tra gli altri: Korten, 1987, 1990a, 1990b; Elliott, 1987; Bratton, 1989, 1990; Cernea, 1988; Postma, 1994; Riddell e Robinson, 1995; Nelson, 1995; Edwards e Hulme, 1996; Ndegwa, 1996; Fisher, 1997; Clarke, 1998; Suzuki, 1998; Edwards, 1998; Esty, 1998; Boli e Thomas, 1997, 1999; Baehr, 1999; Bradshaw e Schafer, 2000; Klugman, 2000; Lewis, 2001; Carpenter, 2001; Eriksson e Sadiwa, 2001; Nelson e Dorsey, 2003; Kilby, 2006; Duffield, 2007; Ulleberg, 2009; Anciano, 2012; Ahmed e Hopper, 2014; Dar, 2014; Banks, Hulme e Edwards, 2015.

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possiede tali poteri – o non li possiede. Le persone sopra menzionate possono individualmente o in gruppo aprire la strada; possono anche proporre, provare e preparare le forme. E anche (e soprattutto), attraverso un nutrimento maieutico dalla scienza, valutare l’esperienza acquisita, fornire una lezione dal fallimento e dare alla luce il possibile. Al punto in cui siamo arrivati, c’è un’urgente necessità di cambiare approcci e strumenti intellettuali. Sarebbe indispensabile assumere idee e approcci da altre parti e che non sono ancora molto familiari.» (Lefebvre, 1996: 150-151).

La prima considerazione proposta in merito al contesto scientifico è relativa, pertanto, alla difficoltà di reperire una letteratura specifica relativamente alla ri-levanza delle conseguenze spaziali dell’azione di questi soggetti e all’importanza delle azioni e degli interventi operati sul territorio. La mancanza di una biblio-grafia approfondita in campo urbanistico, riduce la possibilità di un’analisi critica del fenomeno?

La seconda questione è legata nuovamente alla possibilità di accedere ad anali-si e ricerche che abbiano come soggetto le pratiche urbane delle ONG e degli at-tori connessi. La considerazione è relativa al fatto che una conoscenza superficia-le di tali soggetti può comportare una difficoltà di interpretazione e governo dei fenomeni urbani attuali, che in alcuni casi stanno modificando lo spazio urbano e sociale delle città (Decandia, 2017)4. Lo studio approfondito di simili fenomeni creativi di “urbanità alternative” può essere utile ad una maggiore comprensione di determinate dinamiche interne alle città contemporanee?

Inoltre, un’ulteriore questione è relativa alla possibilità di riconoscere nelle modalità operative delle ONG delle affinità in termini di approccio spaziale e metodologico all’intervento nella città. Alla luce dei casi che verranno trattati nel prosieguo della ricerca, sviluppati sia in realtà consolidate che in dimensioni urbane in via di sviluppo e in considerazione della diffusione capillare di questi fenomeni, la terza questione è, quindi, relativa al confronto tra esperienze simili, considerando tale similitudine come riconoscibile nelle modalità di relazione tra i soggetti coinvolti nelle pratiche socio-spaziali intervenute. È possibile individua-re delle modalità di azione comuni, nelle esperienze indagate?

Lo sviluppo della ricerca vuole dunque provare a rispondere a tali questioni preliminari, articolate a partire dal confronto tra il contesto disciplinare attuale e lo sviluppo dei fenomeni osservati nel caso di Posadas. Si ritiene rilevante svi-luppare tali suggestioni, in quanto i fenomeni analizzati sono rappresentativi di una “giustizia spaziale” strettamente connessa alla “giustizia sociale” (Soja, 2011). I processi e le pratiche che vedono interessati i soggetti terzi possono essere, quindi, un possibile strumento proattivo nella tensione verso una società e una dimensione urbana più giusta, per tutti i suoi abitanti (Fainstein, 2010; Ischia, 2012).

«(…) se si considera la relazione tra la giustizia spaziale e sociale, la ricerca specifica della giustizia spaziale può aggiungere nuovi e interessanti punti di forza e strategie alle lotte della giustizia di ogni tipo, e specialmente alla costruzione di coalizioni coesive, durature e innovative attraverso linee divisive di classe, razza e genere.» (Soja, 2011: 262).

4 Per un esempio rilevante di creazione di nuovo spazio urbano si fa riferimento alle attività svolte a Posadas dalla ONG Jardin de los Ninos che ha, di fatto, urbanizzato una vasta area nella

periferia della città. Altre esperienze legate al riuso o alla modifica di realtà urbane sono raccolte nei successivi capitoli della ricerca.

La produzione sociale di spazio come ‘questione urbana’: alcune radici

«Le città sono i punti focali nell’occupazione e nell’utilizzazione della terra da parte dell’uomo. Rappresentando sia un prodotto del territorio che un’influenza su di esso, sviluppano schemi definiti in risposta a bisogni economici e sociali.» (Harris e Ullman, 1945: 7)

Per definire uno sfondo disciplinare alle azioni condotte dalle ONG, come parte degli obbiettivi della ricerca, si sono considerati quegli autori che, a partire dall’inizio del XX secolo, hanno raccolto nelle loro opere una narrazione urbana d’insieme5, costruendo le proprie riflessioni sul piano generale e specifico allo stesso tempo. In questi termini la costruzione di un ideale cammino tra i testi individuati, descrive un percorso temporale di confronto con la questione urbana che, nonostante lo sguardo non unicamente urbanistico, ha posto con rilevanza il tema del contributo della popolazione nella costruzione dello spazio della città. In questo senso, se lo studio delle città rappresenta l’analisi del “punto focale” dell’occupazione e dell’utilizzo del pianeta da parte dell’uomo (Harris e Ullman, 1945) l’apporto umano e civile all’interno del suo percorso di sviluppo va con-siderato come tema centrale «(…) l’educazione urbanistica deve essere protetta dal ricadere entro quella disciplina troppo esterna e tecnica che è stata la rovi-na dell’istruzione architettonica. Come può essere assicurato questo? Solo in un modo: accompagnandola anche con un’iniziazione vitale, alla vita e al lavoro della città; in una parola, quindi, attraverso lo studio dell’educazione civica.»6 (Geddes, 1915: 298).

La rilevanza dell’approfondimento di come la componente sociale, intesa come la popolazione che vive con diverse intensità la città, definisca lo sviluppo urbano è, pertanto, stata trattata da molti degli studi che durante il ‘900 si sono proposti di raccogliere ed analizzare la storia evolutiva delle città (Geddes, 1915; Mumford, 1940, 1961; Hall, 1988, 1998; Soja, 1989, 1996, 2000). Geddes nel suo Cities in Evolution (1915) consiglia una maggiore attenzione alla componente civi-ca e sociale delle città, nelle ricerche e negli studi che ne analizzano e pianificivi-cano il futuro. Valuta come necessario l’interazione con le comunità, definendo come il lavoro del sociologo sia uno dei più rilevanti nel comprendere e ordinare le for-ze e le risorse dell’urbano. In seguito anche Mumford, come il suo maestro, nel

suo The Culture of Cities (1940) e nel successivo The City in History (1961) rimarca

la centralità degli abitanti sia per l’evoluzione della città, sia per immaginarne gli sviluppi futuri, rappresentando una città basata sulle comunità più che sulla guida dall’alto (Ibid, 1961). La prospettiva, nella visione descritta da Mumford, è di strutturare una pianificazione non su basi economiche quanto su basi sociali, per uno sviluppo più sostenibile e avendo chiara la “funzione sociale della città” (Mumford, 1940). La rilevanza delle comunità è dunque al centro del sistema di sviluppo abitativo «Da qui l’importanza per la comunità urbana di un movimento sindacale e cooperativo attivo: in primo luogo per richiedere salari più alti, riven-dicare una quota maggiore del prodotto totale e creare una domanda politica

5 I riferimenti che si sono individuati per descrivere un ideale percorso temporale di sviluppo disciplinare, rappresentano tutti esempi di testi che hanno, nelle intenzioni e negli esiti, consi-derato lo sviluppo socio-spaziale delle città in termini di raffronto generale e comprensivo delle questioni ad essa connesse.

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effettiva per l’edilizia assistita dal governo: in secondo luogo per organizzare e amministrare le unità abitative costruite, focalizzando e interpretando la doman-da del consumatore, fungendo doman-da mediatore tra le agenzie ufficiali, i servizi pro-fessionali e gli eventuali occupanti: in alcuni casi (…) amministrando l’abitazione stessa.» (Mumford, 1940: 471).

In questi termini anche Hall nel suo Cities in civilizations (1998), ideale prose-cuzione del lavoro iniziato con il precedente Cities of Tomorrow (1988), sottolinea i pericoli del riciclo del capitale all’interno della pianificazione urbana, eviden-ziando come la struttura sociale sia determinante per la definizione della città e di come sia auspicabile un modello di città “aperto” sia nella struttura fisica che rispetto alle idee innovative.

Più di recente, il lavoro di Soja con Postmetropolis (2000), oltre a chiudere ideal-mente la trilogia iniziata con Postmodern Geographies (1989) e proseguita con Third-space (1996), continua la sua evoluzione del pensiero di Lefebvre, in particolare riferimento alla produzione sociale dello spazio urbano. Nel suggerire nuovi at-teggiamenti disciplinari e progettuali Soja sottolinea i pericoli di una pianifica-zione costruita unicamente su basi di interesse politico ed economico, ponendo la rilevanza dello studio di pratiche alternative di produzione di città, in quanto risulta necessario «(…) fondare la ricerca della giustizia spaziale in contesti di produzione sociale piuttosto che lasciarla fluttuare in astrazioni idealizzate e facili deviazioni su diritti umani universali o rivoluzioni radicali.» (Soja, 2000: 31).

Le riflessioni proposte da Soja introducono allo sviluppo del tema relativo alla componente sociale nella crescita e modificazione urbana, articolato a partire dall’ultimo decennio del XX secolo. Attraverso il perfezionamento dei diversi aspetti dell’apporto sociale e civile nello sviluppo della città (economico, cultura-le, spaziale) la definizione di tale rapporto tra uomo e spazio ne esce approfondi-to. «Non si può affermare che la città sia sfuggita alle ricerche di storici, economi-sti, demografi e sociologi. Ognuna di queste specialità contribuisce a una scienza della città. (…) Nell’analisi della realtà urbana intervengono anche il geografo, i climatologi, il botanico. L’ambiente, un concetto globale e confuso, si frammenta secondo queste specialità. (…) A un esame più attento, ci si rende conto che gli specialisti che hanno studiato la realtà urbana hanno quasi sempre (…) introdotto una rappresentazione globale.»7 (Lefevbre, 1996: 94-95).

Lo sviluppo delle ricerche sulla città ha prodotto, infatti, un approfondimento delle caratteristiche del rapporto tra la popolazione e lo spazio costruito, pro-cedendo sempre con maggiore specificità: dall’aspetto di crescita economica (Gleaser et al., 1992; Sassen, 1991, 1994, 1995, 1996, 1998) a quello relativo alla rilevanza delle comunità sociali al suo interno (Putnam, 1995; Florida, 2002). «I sociologi hanno teso a studiare la città osservandone le ecologie della forma urbana e la distribuzione della popolazione e dei centri istituzionali o concen-trandosi sulle persone e sui gruppi sociali, sugli stili di vita e sui problemi ur-bani. Questi approcci non sono più sufficienti. La globalizzazione economica, accompagnata con l’emergere di una cultura globale, ha profondamente alterato la realtà sociale, economica e politica degli stati-nazione, delle regioni transnazio-nali e delle città.»8(Sassen, 2012: xv). Questa diversità di approcci alla questione

7 Estratto dal contributo “Fragmentary Sciences and Urban Reality” contenuto nella raccolta di scritti di H. Lefebvre intitolato Writings on Cities (1996) curato da E. Kofman e E. Lebas.

8 Prefazione alla prima edizione del testo Cities in a World Economy (1994) ripresa qui dalla quarta

urbana (Castells, 1977) e alla sua evoluzione nel tempo e attualizzazione (Secchi, 2013; Merrifield, 2014) rappresenta il contesto disciplinare con cui si confronta la questione proposta e relativa alla definizione delle pratiche sviluppate dai soggetti terzi nella città.

Alla luce dell’evoluzione delle ricerche sulla città è utile, per inquadrare l’atti-vità delle ONG nell’ambito spaziale e sociale urbano, considerare principalmente quegli studi che sulla dimensione sociale e civile dello sviluppo hanno definito il proprio approccio alle questioni dell’evoluzione e della crescita urbana. Attra-verso i testi e le teorie sviluppate dal sociologo francese Henri Lefebvre a partire dalla fine degli anni ’60 del novecento (1970, 1973, 1976a, 1976b) la componente sociale della produzione di spazio urbano si radica anche negli autori a lui con-temporanei e successivi, che ne sviluppano e amplificano il lavoro articolando percorsi di ricerca affini (Harvey, 1973, 2003, 2008, 2012; De Carlo, 1973; Soja, 1989, 1996; Appadurai, 2001; Marcuse, 2009b; Crawford, 2011; Butler, 2012; Purcell, 2014). L’insieme delle aree disciplinari, tra la sociologia e l’urbanistica, che sviluppano le teorie proposte da Lefebvre ben rappresenta la rilevanza di tali assunti. Nel momento in cui una considerazione sociologica sui diritti civili viene posta come strettamente legata alla costruzione di uno spazio urbano, è naturale