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Il contesto: sistema politico, società civile e opposizione democratica

Makhzen (letteralmente “magazzino”) e Amīr al-Mu’minīn (“comandante

dei credenti”) sono le due chiavi di volta su cui si regge ancora oggi il siste- ma istituzionale del Marocco post-coloniale. Considerato «il paese meno autocratico del mondo arabo e solitamente classificato come una semi-de- mocrazia o un’autocrazia liberalizzata» (Cavatorta, Durac, 2011, p. 55), il Marocco, pur dotato di istituzioni rappresentative elettive, è ancora oggi un paese dove il vero potere risiede nelle mani del sovrano, la cui legittimità sancita su base religiosa deriva, come affermato anche nella Costituzione, dalla sua presunta discendenza dal profeta Muhammad (e in quanto tale, “comandante dei credenti”, un titolo che racchiude in sé il potere tempo- rale e spirituale, analogamente a quello del califfo)7, e di una ristretta cer-

chia di persone vicine alla corte, il Makhzen, «che rappresenta un’alleanza

informale di governo fra il monarca, i suoi consiglieri, selezionati uomini d’affari, burocrati di grado elevato e capi tribali che operano come decision- makers del paese, non eletti e non responsabili di fronte al popolo al di fuori del controllo del governo eletto» (ivi, p. 57).

Al centro degli interessi coloniali di Francia, Spagna e Portogallo dal- la prima metà del xix secolo, il Marocco cadde sotto l’influenza europea all’alba del secolo successivo, quando la conferenza di Algeciras (1906) e il

8. Ancora oggi, infatti, la Spagna mantiene la sovranità sulle enclave di Ceuta e Melil- la, due città autonome situate sulla costa settentrionale del Marocco, considerate come la “porta dell’Europa” da molti emigranti clandestini africani, che cercano di superare questo confine virtuale dell’Occidente, in alcuni casi rischiando la propria vita (cfr. Haas, 2008).

trattato di Fes (1912) determinarono il riconoscimento internazionale del protettorato franco-spagnolo sul paese, che mantenne formalmente la sua indipendenza politica e la sua dinastia regnante, pur essendo sostanzial- mente sottomesso alle potenze straniere.

Verso la fine della Seconda guerra mondiale, durante la quale circa 12.000 soldati marocchini (i cosiddetti goumiers) avevano prestato servizio nell’e-

sercito francese sul fronte occidentale, le rivendicazioni indipendentiste si fecero più forti, e l’esilio imposto nel 1953 al popolare sovrano Mohammed v, prima in Corsica e poi in Madagascar, contribuì a infiammare la rivolta an- ticoloniale marocchina nella cornice più ampia dei movimenti di liberazione del Maghreb. Le azioni armate del jaysh al-tahrīr (esercito di liberazione)

indussero la Francia a negoziare il rimpatrio del sovrano nel 1955 e, un anno dopo, il 7 aprile 1956, a concedere l’indipendenza al Marocco, anche se il controllo spagnolo su alcune aree sarebbe durato ancora a lungo8.

La valenza simbolica identitaria assunta dal sovrano come leader carisma- tico della lotta anticoloniale del Marocco contro le potenze europee, in un paese all’epoca privo di una cultura politica moderna, pluralistica e demo- cratica, contribuì a porre i presupposti per la caratterizzazione degli assetti statali post-coloniali in termini patrimonialistici e clientelari, specularmente all’organizzazione sociale, basata su un sistema patriarcale e familistico in cui l’influenza personalistica del pater familias e delle sue reti di conoscenze

contavano (e contano ancora oggi) più delle capacità e delle competenze dei singoli individui. La legittimità del governo post-coloniale è stata in parte condivisa anche dal movimento nazionalista e, in seguito, «dai suoi eredi politici, i partiti politici e le organizzazioni nazionali, in particolare i sinda- cati e le associazioni studentesche» (Zartman, 1990, p. 223).

La natura autoritaria del regime di Mohammad v, evidenziata da James N. Sater (2007, pp. 50-1), ha frenato a lungo lo sviluppo della società civile marocchina, affetta dalle crescenti disuguaglianze provocate da una poli- tica economica poco lungimirante, mentre «la rapida industrializzazione nel nord del paese e lungo la costa atlantica [...] ha determinato migrazione urbana, degrado ambientale e declino rurale» (White, 2001, p. 142), con la conseguente destabilizzazione e frammentazione delle reti sociali tradi- zionali. Sul piano politico, ogni espressione di dissenso è stata duramente repressa dallo Stato attraverso l’uso sistematico dell’intimidazione, della detenzione e rapimento di militanti, ufficialmente “scomparsi” e mai più

ritrovati – come nell’Argentina di Videla – e di varie forme di tortura, in violazione dei diritti umani fondamentali.

La violenza di Stato proseguì sotto il successore di Mohammad v, il re Hassan ii (al potere dal 1961 al 1999), come testimoniato dal fatto che la prima parte del suo regno viene ricordata come gli “anni di piombo” del Marocco. Intorno alla fine degli anni Ottanta la situazione iniziò gradual- mente a cambiare. Da una parte, il paese si aprì all’economia di mercato, una svolta determinata dalla ricerca di una partnership economica con l’al- lora Comunità economica europea (cee) e dalle reiterate crisi del sistema economico statalista. Dall’altra, la questione dei diritti umani iniziò ad ac- quisire maggiore visibilità e sostegno, sia all’interno del paese che all’estero, determinando un progressivo allentamento delle maglie della repressione politica e lo sviluppo di una società civile attiva e influente, che ha dato vita a una vera e propria galassia di movimenti e organizzazioni capaci di pro- muovere la partecipazione dal basso in relazione a numerose istanze.

Tra gli altri, gruppi come l’Association Marocaine des Droits de l’Hom- me (fondata nel 1979) o l’Organisation Marocaine des Droits de l’Homme (dal 1988) hanno rivendicato una più ampia protezione dei diritti umani e l’introduzione di uno Stato di diritto capace di porre un limite all’esercizio arbitrario del potere da parte delle istituzioni politiche e delle forze di poli- zia, e il loro impegno è stato essenziale per quella che Sater definisce come «un’esplosione della questione dei diritti umani» (2007, p. 55). La rivendi- cazione di democrazia e diritti umani è strettamente legata in Marocco alla lotta contro la corruzione a tutti i livelli della pubblica amministrazione e delle istituzioni locali e di governo, ragione per cui uno degli ex leader della Organisation Marocaine des Droits de l’Homme, Omar Azziman, quan-

do fu nominato ministro della Giustizia, concesse il riconoscimento legale all’associazione Transparency Maroc (fondata nel 1996, ma illegale fino al 1998 a causa delle sue accuse contro la corruzione della compagine stata- le), ispirata alla tedesca Transparency International, il cui scopo principale risiede nell’individuazione e nella denuncia di ogni forma di corruzione e nella promozione di una nuova cultura sociale capace di minare alla base la mentalità patrimonialistica e personalistica che giustifica e legittima il tradizionale atteggiamento di accettazione e connivenza del sistema, che si contrappone a un concetto moderno e democratico di cittadinanza. An- cora oggi, secondo il Corruption Perceptions Index del 2013, elaborato da

Transparency International, la corruzione nel settore pubblico continua a rappresentare un grave problema, non solo in termini assoluti ma anche per la sua percezione, che influenza sensibilmente l’atteggiamento e i compor- tamenti degli individui, costretti, per poter sopravvivere, a “giocare secondo

9. Il rapporto completo di Transparency International è consultabile sul web al link http://www.transparency.org/cpi2013 (consultato il 14 luglio 2014).

10. Gli ultimi dati ufficiali sul secondo trimestre del 2014, riportati nell’Enquête natio- nale sur l’emploi del 5 agosto 2014 realizzata dalla Direction de la Statistique dell’Haut Com-

missariat au Plan, riportano un tasso di disoccupazione nazionale (generale) pari al 9,4% della popolazione attiva, che sale tuttavia al 19,2% nella fascia d’età 15-24 anni e al 13,4% nella fascia 25-34 anni. È inoltre significativo che il tasso di disoccupazione sia sensibilmente più elevato tra coloro che possiedono un titolo di studio (16,9% contro il 4,1% dei sans diplôme). I

dati sono consultabili sul sito web http://www.hcp.ma/La-Situation-du-marche-du-travail- au-deuxieme-trimestre-de-l-annee-2014_a1437.html (consultato il 21 agosto 2014).

le regole” del sistema. L’indice del 2013 assegna al Marocco un punteggio di 37 su 100 (in una scala in cui 0 indica la percezione di un paese come estremamente corrotto e 100 quella di un paese con un settore pubblico di specchiata onestà), che lo pone al novantunesimo posto in una classifica composta da 177 paesi del mondo9.

L’ascesa al trono di re Mohammad vi, nel 1999, ha segnato l’inizio di una nuova fase di riforme sociali e liberalizzazione economica, volta (al- meno in teoria) a democratizzare il paese e a guidarlo verso la creazione di una monarchia costituzionale modellata sulla Spagna di re Juan Carlos. Il nuovo sovrano marocchino ha lanciato una serie di programmi finalizzati a migliorare le condizioni dei diritti umani, tra cui la riforma del codice di famiglia marocchino (Moudawana) nel 2003, che ha ampliato i diritti delle

donne nel paese (Cavatorta, Durac, 2011, pp. 60-5), e la costituzione della Commissione per l’equità e la riconciliazione, incaricata di investigare sugli abusi e le atrocità commesse dall’élite al potere durante gli “anni di piombo” ma sostanzialmente inutile, secondo numerose organizzazioni per i diritti umani, a causa dei forti limiti operativi imposti dallo Stato per proteggere la memoria di Hassan ii e dei più influenti autori o mandanti delle violenze.

Dal punto di vista macroeconomico, il rafforzamento delle politiche di privatizzazione avviate nel 1993 ha consentito una considerevole crescita del paese, stimata per il periodo 1998-2007 in media del 5,5% l’anno, facendone la quinta economia più importante del continente africano. Tuttavia, sul piano microeconomico, la persistenza di forti disuguaglianze nella distri- buzione della ricchezza, con una polarizzazione delle risorse tra gli apparte- nenti all’élite di corte del Makhzen, non ha permesso ai marocchini dei ceti

sociali medio-bassi di beneficiare in maniera significativa del potenziale be- nessere derivante dalla crescita del paese, con la persistenza, ancora oggi, di un elevato tasso di disoccupazione10 e una crescente frattura fra lo sviluppo

urbano e quello rurale.

L’attività delle associazioni si riverbera tuttavia anche nell’arena poli- tica, in quanto frequentemente collegate a organizzazioni e partiti politici

islamici o di sinistra, il cui sostegno materiale nelle aree più povere delle grandi città si ritiene possa aver influenzato le scelte elettorali, in particolare a favore dell’Islam politico, in un contesto comunque frammentato:

All’interno del campo islamista, vediamo nette divisioni fra le associazioni colle- gate al pjd (integrate nel sistema politico), quelle legate ad al-Adl (organizzazio-

ne semi-legale tollerata dalle autorità), quelle vicine alla Salafyia Jihadia e quelle

connesse alla Boutchitchia (una fratellanza con forti legami con la monarchia). Nel

campo laico liberale le divisioni riguardano il grado di collaborazione con il regime. Da un lato, alcuni gruppi e individui sono molto vicini al regime perché ritengono di poter contribuire al cambiamento radicale promesso da Mohammad vi. Dall’al- tro, ci sono altri gruppi e individui che non si sentono a proprio agio con tale vici- nanza perché temono di essere cooptati (Cavatorta, Durac, 2011, p. 77).

I partiti politici hanno oggi una scarsa credibilità popolare, in un contesto in cui le tornate elettorali sono divenute relativamente più libere (nel 2007 e soprattutto nel 2011, nel day after delle “primavere arabe”), ma permane

la scarsa incisività del Parlamento nel processo decisionale, mentre il primo ministro, di nomina regia, non deve necessariamente appartenere al par- tito uscito vincitore dalle elezioni e la titolarità dei ministeri più impor- tanti (Interno e Affari esteri) viene decisa, ancora una volta, dal sovrano. Quest’ultimo conserva il suo ruolo di arbitro super partes delle controversie

tra i vari partiti, che si contendono, spesso utilizzando i canali informali del

Makhzen, il favore del re (ivi, pp. 56 e 78).

4.3

L’Union Nationale des Étudiants Marocains (unem)