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e l’opposizione politica studentesca nel Marocco post-coloniale

3. Sul tema dell’arabizzazione l’unem (cfr. par. 4.3) si espresse in particolare nel corso del suo undicesimo congresso, nel 1966, auspicando un’accelerazione della transizione com- pleta all’insegnamento superiore in lingua araba (e non più in francese), un medium lingui- stico compreso da tutti e percepito come identitario per tutta la società (Rollinde, 2002, pp. 141-4). In realtà tale considerazione non teneva conto dell’identità berbera del Marocco, caratterizzata da una propria lingua, il tamazight, riconosciuta come seconda lingua ufficiale

del paese nel 2011.

4. Tutte le traduzioni dai testi in lingua inglese e francese sono a cura dello scrivente. 5. Nell’anno accademico 1955-56 risultavano iscritti presso i centri di studi superiori del protettorato circa 2.000 studenti, di cui appena 350 marocchini (Zouaoui, 2005, p. 162). Nel 1959-60 gli studenti erano 2.642 e nel 1965-66 6.500 (ivi, p. 167).

L’“unificazione”, che avrebbe dovuto ricompattare il mosaico scolastico lasciato in eredità dal Protettorato; la “generalizzazione” [estensione] dell’insegnamento a tutti i bambini marocchini; la “marocchinizzazione” che aveva come obiettivo la sostituzione degli insegnanti francesi con docenti marocchini; e l’“arabizzazione”3,

che costitutiva, come negli altri due paesi del Maghreb dopo l’indipendenza, «un dogma intangibile, un obiettivo indiscutibile della costruzione nazionale, dello stesso valore dell’indipendenza politica che ne è stata la pietra angolare»4 (Rol-

linde, 2002, p. 91).

Negli auspici dei suoi fondatori, il nuovo sistema educativo avrebbe dovu- to formare una classe dirigente capace di guidare la transizione dall’epoca coloniale verso la realizzazione delle promesse di prosperità e modernità dell’indipendenza, ma per molto tempo l’Università Mohammad v, l’u- nico ateneo pubblico del paese, mantenne una struttura chiusa ed elitaria, limitando di fatto il numero degli studenti a una ridotta cerchia di individui appartenenti alle classi medio-alte5, con un’impostazione disciplinare e di-

dattica non rispondente alle concrete necessità del paese.

Negli anni immediatamente successivi alla creazione del nuovo ateneo, la scarsità di iscritti generò una considerevole competizione fra i diversi di- partimenti per attirare gli studenti attraverso l’erogazione di apposite borse di studio, ma per un lungo periodo di tempo la maggior parte degli studenti continuò a optare per i corsi di studio a carattere umanistico e giuridico (addirittura il 93% nell’anno accademico 1959-60 e ancora il 74% nell’anno 1976-77, un trend diametralmente opposto se si considerano gli studenti marocchini all’estero), determinando un grave deficit di ingegneri e altri tecnici (Zouaoui, 2005, pp. 166-8), figure indispensabili per un paese che a partire dal primo piano quinquennale del 1960-64 intendeva avviare un va- sto programma di modernizzazione e collegare la sua economia con quella del blocco occidentale.

Si dovrà attendere la prima metà degli anni Settanta per assistere alla graduale “massificazione” dell’istruzione universitaria, un trend registrato

anche nell’Europa post-1968, ma pur sempre limitata, nel caso marocchino, e comunque non comparabile a quanto avveniva contemporaneamente in altri paesi del Nord Africa, in particolare in Egitto. Nel 1973 risultavano iscritti alle università marocchine circa 22.000 studenti (Lamrini, 2007, p. 20), nel 1976-77 ben 58.000, un trend di crescita che proseguirà negli anni Ottanta (nel 1980 circa 87.000 iscritti e nel 1985 addirittura 162.000) e No- vanta (nel 1992 255.000 iscritti), ma che rallenterà gradualmente; nel 2002 le università contavano 310.000 iscritti (Zouaoui, 2005, p. 172); nel 2007 circa 300.000 (Kohstall, 2009, p. 179) e nel 2010-11 circa 316.000 (Stati- stiques universitaires, 2012, p. 12), pari ad appena il 10% dei giovani di età compresa fra i 18 e i 24 anni (United Nations Department Of Economic And Social Affairs, 2012).

L’incremento della domanda d’istruzione superiore sarà alla base della creazione di nuovi atenei nelle diverse regioni del paese, e l’individuazione delle nuove sedi avverrà secondo un criterio di deconcentrazione territoria- le, con l’obiettivo di decongestionare le infrastrutture universitarie di Rabat e rendere l’istruzione più accessibile. Con il decreto reale 16 ottobre 1975, n. 1-75-398, furono create l’Università Hassan ii a Casablanca e l’Università Mohamed Ben Abdellah a Fes; successivamente, con un nuovo decreto del 19 marzo 1979, l’offerta formativa fu ulteriormente ampliata con l’istitu- zione dell’Università Mohamed i a Oujda e dell’Università Cadi Ayyad a Marrakech. Negli anni Ottanta e Novanta il sistema universitario si arricchì progressivamente di nuovi atenei (nel 1993 la storica Università Moham- mad v fu suddivisa in due università indipendenti con sede nei due quartie- ri di Souissi e Agdal) fino a raggiungere oggi il numero di ventuno, di cui sedici pubblici e cinque privati (tab. 4.1), ubicati prevalentemente nelle regioni centrale e settentrionale del paese.

L’incremento nel numero degli atenei, tuttavia, non è stato sufficiente a produrre e diffondere in Marocco competenze spendibili, occupazione e, in definitiva, sviluppo economico. A partire dalla fine degli anni Ottanta, le problematiche e i limiti del sistema sono stati al centro di un vivace di- battito incentrato sull’inadeguatezza delle politiche educative del Marocco post-coloniale, che ha evidenziato l’assenza di una visione di ampio respiro in grado di far fronte alle esigenze di sviluppo globale del paese (Bencheïkh, 2004; Lamrini, 2007; Loubna, 2009; Zammar, Abdelbaki, 2013).

Tre differenti tentativi di riforma del comparto universitario, attuati ri- spettivamente nel 1975, 1986 (entrata in vigore nel 1991) e 2000 (vigente dal 2003-04), hanno inciso solo in minima parte sulle problematiche del si- stema (Gougou, 2011, pp. 47-56). Rigidità nelle procedure amministrative, costante contrazione delle risorse finanziarie per la didattica e la ricerca che

tabella 4.1

Il sistema universitario del Marocco

Anno

di fondazione Nome università Sede principale Proprietà

859 (1975) Università di al-Qarawiyyin Fes Pubblica 1957 (1993) Università Mohammed v (Agdal) Rabat Pubblica 1957 (1993) Università Mohammed v (Sopissi) Rabat Pubblica 1975 Università Hassan ii (Ain Chok) Casablanca Pubblica 1975 Università Sidi Mohamed Ben Abdellah Fes Pubblica 1979 Università Cadi Ayyad Marrakech Pubblica

1979 Università Mohamed i Oujda Pubblica

1984 Università Hassan ii (Mohammedia) Mohammedia Pubblica 1985 Università Chouabib Doukkali El Jadida Pubblica

1989 Università Ibn Zohr Agadir Pubblica

1989 Università internazionale di Agadir Agadir Privata

1989 Università Ibn-Tofail Kenitra Pubblica

1989 Università Moylay-Ismail Meknes Pubblica 1989 Università Abdelmalek Essaadi Tangeri-Tetouan Pubblica

1993 Università Al-Akhawayn Ifrane Pubblica

1997 Università Hassan i Settat Pubblica

2005 Università privata di Marrakech Marrakech Privata 2006 Università Soultan Moulay Sliman Beni-Mellal Pubblica

2009 Mundiapolis Casablanca Privata

2009 Università internazionale di Rabat Rabat Privata 2010 Università internazionale di Casablanca Casablanca Privata

6. Nel 1991 l’Union Nationale des Étudiants Marocains (unem), di cui si parlerà più approfonditamente nei paragrafi seguenti, fondò l’Associazione marocchina dei laureati di- soccupati, un’organizzazione non riconosciuta dalle autorità fino a tempi recenti, ma che ha ricevuto da subito il sostegno di diversi sindacati, che le hanno offerto supporto logistico e sostegno politico (Sater, 2010, p. 95).

si riverbera anche sulla mancanza di attrezzature moderne (in particolare nelle facoltà scientifiche), un progressivo decadimento della qualità genera- le dell’insegnamento (Zouaoui, 2005, pp. 176-81) e soprattutto il fatto che «l’università marocchina è ancora isolata dal suo ambiente socioeconomi- co» (Gouogu, 2011, p. 40) rappresentano ancora oggi nodi irrisolti. Infatti, mentre negli anni Novanta nasceva e si diffondeva l’“economia della cono- scenza”, che avrebbe trasformato profondamente i sistemi di produzione, le abitudini di consumo e il mercato del lavoro, l’università marocchina rima- neva cristallizzata nel passato, con un’offerta formativa che tendeva all’ob- solescenza, riducendo di fatto ulteriormente le opportunità occupazionali dei laureati in un mercato del lavoro di per sé caratterizzato da un tasso di disoccupazione strutturale.

Secondo lo scrittore marocchino Rida Lamrini, tuttavia, le peculiarità macroeconomiche del paese non «sollevano il nostro sistema educativo dal dover rispondere alle esigenze del mondo economico, assicurare la mobilità sociale, assumendo il ruolo di ascensore sociale» (Lamrini, 2007, p. 22). Un’opinione condivisibile, in particolare perché, come vedremo meglio più avanti, la discontinuità fra gli studi universitari e il mercato del lavoro contribuisce alla creazione di diffuse sacche di malcontento tra i giovani, alimentando da una parte i movimenti di protesta, tra cui il “Movimento del 20 febbraio”, una delle cui principali basi sociali risulta composta pro- prio dai laureati disoccupati6, dall’altra la fuga di capitale umano qualificato

all’estero. Come evidenziato anche all’interno del rapporto 50 Years of Hu- man Development in Morocco and Perspectives for 2025 del programma per lo

sviluppo delle Nazioni Unite,

paradossalmente, anche se i giovani costituiscono la componente più ampia della popolazione, i politici del Marocco indipendente, nonostante un concreto impe- gno nella pianificazione di settore, non hanno mai integrato con successo i giovani nell’equazione dello sviluppo generale. La mancanza di prospettive, la difficoltà di autorealizzarsi, scarsa formazione professionale, disoccupazione e le diverse forme di precarietà ispirano spesso reazioni disincantate. Le espressioni forti e talvolta drammatiche di questo disincanto sono i fenomeni dell’emigrazione clandestina e la mancanza di speranza dei laureati disoccupati che testimoniano l’esistenza di seri malfunzionamenti nella valorizzazione delle risorse umane nazionali. Questo potenziale umano è sottoposto ad una duplice forma di erosione: il crescente espa-

7. Come scrive Lamchichi (1989), «l’analisi della problematica del potere in Marocco rinvia necessariamente alla questione della sua legittimazione religiosa. [...] Il regime ma- rocchino dispiega tutta una gamma di simboli storico-religiosi: bey’a rituale, baraka reale,

consenso comunitario (ijmā’a) per identificare la dinastia alauita sceriffiana, la storia del

Marocco e la storia dell’Islam a partire dal Profeta. [...] La monarchia rivendica l’egemonia nel campo politico-religioso e, al di là dei testi giuridici, il potere marocchino ha realizza- to un vero processo di istituzionalizzazione dell’Islam [...] [che] va dall’addomesticamento del corpo degli ‘Uléma [...] all’incoraggiamento dell’insegnamento religioso, senza parlare

dell’arsenale giuridico che consacra la centralità dell’Islam nella vita privata e collettiva» (pp. 169-71). L’affermazione dei movimenti legati all’Islam politico ha rappresentato una sfida impegnativa all’apparato ideologico su cui si fonda la legittimità della monarchia, con- testandone il monopolio religioso e attingendo allo stesso linguaggio e al medesimo univer- so semantico.

trio di competenze essenziali (“la fuga dei cervelli”) e le masse di giovani [anche non laureati] disposti a rischiare la propria vita per un ipotetico futuro a nord dello Stretto di Gibilterra (Meziane Belfkih, 2005, p. 11).

4.2

Il contesto: sistema politico, società civile