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Il modello della “crescita”

La modernizzazione è un processo sistemico, ossia ogni cambiamento di una parte del sistema sociale provoca cambiamenti nelle altre parti che, a loro volta, retroagiscono rafforzando la direzione del mutamento. Possiamo, tut- tavia, per ragioni analitiche ed espositive, considerare due ambiti di questo cambiamento: un complesso di trasformazioni strutturali nell’organizzazio- ne socio-economica e un parallelo, profondo cambiamento sul terreno so- cio-culturale (in senso antropologico e psicologico). Per quanto riguarda la prima dimensione, il processo vede in primo luogo il passaggio da una socie- tà in grande maggioranza caratterizzata da un’occupazione nell’agricoltura a una società nella quale il lavoro industriale è assolutamente prevalente e poi a un tessuto economico nel quale il settore terziario (o dei servizi) rappresenta la quota più rilevante dell’occupazione. L’industria e poi i servizi portano con sé una forte urbanizzazione, un miglioramento del livello di istruzione della popolazione e, soprattutto, determinano la diffusione generalizzata del rapporto di lavoro salariato, nel quale cioè una persona viene retribuita in moneta per il lavoro che svolge. Come si vede nella fig. 6.1, la monetizza- zione dell’economia porta con sé un aumento dei consumi che stimolano un aumento della produzione e quindi maggiori investimenti nella produzione di beni che, a loro volta, alimentano ulteriormente la crescita dell’occupazio- ne dipendente (salariata). Inoltre, la monetizzazione favorisce un crescente prelievo fiscale (sia nella forma dell’imposizione diretta che indiretta, ossia proprio sui consumi, come l’iva/tva), il quale consente una maggiore spesa pubblica per garantire una quantità crescente di servizi pubblici – dall’istru- zione alla sanità – che, a loro volta, fanno ancor più crescere gli occupati dipendenti. Si tratta di uno straordinario modello di regolazione sociale, che è, a un tempo, un “dover essere”, un’idea normativa di come devono andare le

3. In realtà si tratta di un modello che si è costruito nel tempo, a partire dalla grande crisi del 1929, in parte come aggiustamento spontaneo dei meccanismi di regolazione e in parte deliberatamente in seguito alle scelte dei governi. Il modello è stato studiato e presentato con vari nomi, da “fordismo” a “keynesismo”, da “compromesso socialdemocratico” a “capitali- smo regolato” ecc., con qualche diversa sfumatura concettuale che sottostava ai vari termini. Scegliamo qui di chiamarlo modello della “crescita” poiché è proprio il concetto economico di crescita del pil, appunto, quello attorno al quale ruota il funzionamento virtuoso, in ter- mini di processo di accumulazione e di sviluppo, del modello.

4. Non a caso la definizione di pil considera come tale la somma di tutti i beni e servizi prodotti e scambiati in un determinato periodo di tempo. In sostanza, ciò che viene prodot- to e consumato, come ad esempio l’autoproduzione agricola, ma non entra nel circuito del mercato, ossia non è scambiato con denaro, non viene misurato come ricchezza.

cose e un concreto meccanismo di funzionamento dell’economia e della so- cietà. Il suo successo, indubbiamente, si deve al fatto che esso ha consentito, comunque e dovunque, un notevole miglioramento delle condizioni mate- riali di vita della popolazione. Questo modello della “crescita”3 ha finito per

caratterizzare tutte le economie occidentali dalla fine della Seconda guerra mondiale ed è stato successivamente esportato nei paesi cosiddetti in via di sviluppo. Nel modello un ruolo centrale è svolto dal mercato, considerato il meccanismo attorno al quale tutto ruota, con l’idea implicita che lo scambio monetizzato sia il principio virtuoso per eccellenza, quello che fa crescere la ricchezza4. Altrettanto centrale è il ruolo del consumo, anche come suppor-

to all’accettazione sociale del modello.

figura 6.1

Il modello socio-economico della “crescita”

+ occupazione

sanitaria monetario+ reddito

+ investimenti + produzione

+ servizi

pubblici pubblica+ spesa

+ consumi

+ prelievo fiscale

5. Naturalmente lo scambio, il mercato, non è un’invenzione di questa società, ma in essa diventa “impersonale” ed è una delle forze trainanti del mutamento dei rapporti sociali, che diventano anch’essi “impersonali”. Un esempio, particolarmente significativo, è la com- parazione fra un tradizionale bazar e un moderno supermercato. Nel primo, lo scambio è ca- ratterizzato da un rituale lungo e complesso nel quale fra i due protagonisti si determina una complessa interazione tesa a conoscersi, a entrare in un rapporto non solo economico ma anche sociale, centrato sul valore d’uso dell’oggetto trattato e scambiato. Il fatto stesso che il prezzo non sia fissato conferma l’unicità di ogni transazione. In un moderno supermercato, al contrario, vi è l’enorme standardizzazione delle merci vendute, un prezzo indiscutibile e una transazione che, oggi, può avvenire addirittura senza nessun rapporto interpersonale, quando il consumatore paga direttamente a una macchina parlante.

Per funzionare il modello richiede che rilevanti trasformazioni avvenga- no anche nella sfera sociale, psicologica e culturale. Una profonda rivolu- zione interessa la natura stessa dei rapporti sociali. Le scienze sociali hanno generalmente utilizzato una grande quantità di schemi dicotomici per carat- terizzare questo passaggio: dalla Gemeinschaft alla Gesellschaft (comunità e

società) di Tonnies, dalla solidarietà meccanica alla solidarietà organica di Durkheim, dal rurale all’urbano, dal sottosviluppo allo sviluppo, dalla so- cietà tradizionale alla società moderna. Ciò che avviene nelle prime fasi del processo di modernizzazione è una profonda rottura delle vecchie strutture comunitarie, soprattutto con l’affermazione della proprietà privata, in pri- mo luogo della terra. Mentre nelle società occidentali questo processo è noto come eversione della feudalità, in paesi come Tunisia, Algeria o Marocco l’equivalente è rappresentato dall’esproprio operato dal potere coloniale del- le cosiddette terre tribali. Dai legami di appartenenza e di solidarietà, dai rapporti totalizzanti e dalle certezze di un mondo sempre uguale a se stesso si passa ai rapporti tra “individui”. Le relazioni personali divengono imperso- nali: il focus di questa trasformazione è ben rappresentato dalla concezione atomistica, tipica dell’economia, del mercato, quel luogo metaforico dove due perfetti sconosciuti si incontrano per vendere e per comprare e non hanno altra informazione l’uno dell’altro se non il prezzo della merce che si scambiano5. L’impersonalità dei rapporti si accentua anche in conseguenza

di un’accresciuta mobilità orizzontale (grandi migrazioni rurali-urbane) e verticale, con la costruzione di una più o meno vasta classe media, che ap- pare tipica della modernità. Cambia la struttura e il ruolo della famiglia (il rapporto salariale è per definizione individuale e, in quanto tale, libera dal- la dipendenza economica dalla famiglia o dal clan), si avvia un processo di denatalità e di forte riduzione della mortalità. Da tutto questo insieme di mutamenti emergono nuovi valori, nuovi stili di vita, nuovi comportamen- ti, nuove aspettative, in una vera e propria rivoluzione antropologica. Gino Germani (1971), uno dei tanti studiosi che hanno analizzato e descritto il

6. Il tema della solitudine dell’uomo moderno è stato ampiamente trattato dal cinema e dalla letteratura contemporanea, oltre che nelle scienze sociali. Un vero classico su questo tema è il saggio di Riesman (2009), apparso originariamente nel 1950. L’argomento è peral- tro ripreso frequentemente anche dall’attuale dibattito su capitale sociale e sviluppo, cfr. ad esempio Putnam (2000).

processo di modernizzazione, lo ha mirabilmente sintetizzato con la cop- pia “azione prescrittivi” e “azione elettiva”. Mentre nelle società premoderne l’individuo nell’arco della propria vita non compiva vere scelte, poiché il suo comportamento era generalmente prescritto dalle norme sociali nelle quali era inserito, nella società moderna si trova davanti azioni elettive, deve cioè continuamente scegliere tra un’opzione e l’altra, è in qualche modo respon- sabile – almeno in apparenza – della propria vita. Nel primo caso, il lavoro che si sceglierà di fare da adulto è ascritto, è legato alla famiglia nella quale si nasce, l’istruzione è quella che si riceve nel percorso di socializzazione, la moglie – o il marito – vengono scelti dalla famiglia di origine sulla base di convenienze o alleanze e le norme di comportamento, dall’abbigliamento alla pratica religiosa, sono quelle stabilite – da sempre – dalla tradizione. Nel secondo caso, l’individuo è sollecitato a operare – e “formalmente” libero di operare – continue scelte: quale percorso educativo, quale moglie o marito, quale lavoro, dove abitare, dove vivere, che sport praticare ecc.6.

Tutto questo comporta che, in una società moderna, non può non esi- stere un livello minimo di libertà individuale, garantita dalla legge, liber- tà che va peraltro nella stessa direzione della centralità del mercato come meccanismo di regolazione, basato sulla libertà di scelta economica del soggetto. Anche per questo, alla società moderna viene normalmente asso- ciata – risulta anzi una delle sue caratteristiche teorizzate – la democrazia partecipativa. Per quanto questa possa essere di mera facciata, il cittadino deve godere di ampi margini di libertà personale.

6.3