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L’Union Nationale des Étudiants Marocains (unem) e la formazione di una coscienza politica

In un contesto caratterizzato dal perdurare nel tempo di un regime autorita- rio, spesso violento nella repressione del dissenso, l’«Università, attraverso le attività dell’unem, ha avuto tra la fine degli anni Sessanta e l’inizio degli anni Settanta un ruolo intellettuale, ideologico, politico e di “detonatore” rivoluzionario, in quanto sede privilegiata per la diffusione del pensiero marxista-leninista» (Rollinde, 2002, pp. 137-8) e lo sviluppo di forme di opposizione politica.

Dopo l’indipendenza, come accennato nel par. 4.1, una delle grandi promesse della decolonizzazione riguardava l’accesso all’istruzione per tut- ti (ivi, p. 90). In realtà per un lungo periodo di tempo l’educazione univer- sitaria rimase appannaggio delle classi sociali medio-alte, che peraltro, sino

11. Mehdi Ben Barka (1920-1965) fu nel 1944 uno dei firmatari del Manifesto per l’in- dipendenza, vero atto costitutivo del partito Istiqlāl, da cui fuoriuscì nel 1959 per fondare

l’Unione nazionale delle forze popolari (unfp), un partito di sinistra che si poneva critica- mente nei confronti della monarchia e del Makhzen.

alla fine degli anni Cinquanta, preferivano di norma completare la propria formazione all’estero, in particolare in Francia (Moore, Hochschild, 1968, pp. 22-3). Ciò nonostante, nel periodo post-coloniale la comunità studen- tesca locale si organizzò rapidamente, anche per via dell’interessamento di alcuni dei principali attori politici dell’epoca.

Con l’obiettivo ufficiale di proteggere gli interessi degli studenti e uni- ficare la variegata galassia delle piccole associazioni già esistenti, tra il di- cembre del 1956 e il gennaio del 1957 un gruppo di esponenti del Partito per l’indipendenza o Istiqlāl, tra cui Mehdi Ben Barka11, fondò la prima orga-

nizzazione studentesca del Marocco post-coloniale, l’Union Nationale des Étudiants Marocains (unem), che avrebbe avuto un ruolo importante nella

storia politica del paese.

La vita dell’unem può essere sinteticamente riassunta in quattro fasi: la prima, dalla fondazione al 1961, caratterizzata dalla vicinanza al movimento nazionalista; la seconda, dal 1961 al 1969, in cui ha contribuito a sviluppa- re la coscienza politica degli studenti agendo in stretto collegamento, come vedremo, con la sinistra dell’unfp; la terza, dal 1969 al 1973, gli anni più difficili, in cui è stata guidata dalla sinistra radicale; la quarta, dal 1979 a oggi, segnata dalla graduale penetrazione degli islamisti e dal suo declino sia in ter- mini di partecipazione che di impatto sulla politica e la società del Marocco. Tra i precedenti significativi, ma politicamente meno incisivi, si ricorda- no l’Association des Étudiants Musulmans d’Afrique du Nord, fondata ad Algeri nel 1912, l’Union des Étudiants du Maroc (1925) e l’Association des

Étudiants Marocains (1948), che annoveravano fra i propri membri molti

dei futuri leader del movimento nazionalista marocchino (Rollinde, 2002, p. 91; cfr. anche Ageron, 1983 sull’Association des Étudiants Musulmans Nord-Africains fondata a Parigi nel 1927).

In realtà, in origine l’importanza di organizzare e controllare gli stu- denti attraverso un’organizzazione unitaria, nella fattispecie l’unem, non risiedeva tanto

nel numero di coloro che rappresentava, ma nel fatto che comprendeva al suo inter- no la maggioranza della giovane élite colta del Marocco indipendente. Il paese, che soffriva di una carenza significativa di funzionari nazionali, prometteva ai suoi gio- vani intellettuali, tra gli altri, dei ruoli elevati nell’amministrazione e negli ingranag- gi dello Stato. È per questo che all’inizio il Palazzo mostrò un interesse senza uguali nel cooptare il movimento studentesco, le cui inclinazioni politiche potevano essere

12. Nel testo il termine “Unione” fa sempre riferimento all’unem.

decisive per l’avvenire politico del paese, perché i militanti “di oggi” sono i responsa- bili di “domani”. Mohammed v pretese di essere presente, in compagnia del Principe Hassan, al congresso costitutivo dell’organizzazione (Monjib, 1992, pp. 88-9).

Le preoccupazioni del monarca si rivelarono fondate. Dopo i primi due congressi annuali dell’Unione, tenutisi rispettivamente nel 1956 a Rabat e nel 1957 a Fes, incentrati prevalentemente su istanze strettamente lega- te all’ambito dell’istruzione, a partire dal terzo appuntamento annuale (Tétouan, luglio 1958), alla presenza di Mehdi Ben Barka, l’unem espresse un preciso allineamento politico con le forze progressiste del movimento nazionalista che un anno dopo, nel novembre del 1959, si sarebbero scisse dall’Istiqlāl per dare vita a un nuovo partito politico di sinistra, l’Union Nationale des Forces Populaires (unfp), di cui l’unem divenne il porta-

voce non ufficiale. Nel corso del congresso, i cui contenuti furono definiti da Ben Barka, l’Unione12 attaccò indirettamente la monarchia esprimen-

do forti critiche nei confronti dell’esercito, guidato all’epoca dal principe ereditario Hassan. Durante il quarto congresso, svoltosi ad Agadir (agosto 1959), l’allora presidente dell’Unione, Idriss Seghouchni, «richiese la de- stituzione dei francesi che ricoprivano ancora ruoli di coordinamento nelle forze armate e nella polizia, una riforma agraria, libertà democratiche e la liberazione di tutti i prigionieri politici» (Rollinde, 2002, p. 91).

Nel 1960 si verificò una grave crisi politica che avrebbe segnato la fine del sostegno della sinistra marocchina alla monarchia. A febbraio la mo- narchia annunciò che era stato sventato un complotto per assassinare il principe Hassan e la colpa venne fatta ricadere su diversi attivisti dell’unfp, amici e collaboratori di Ben Barka, che furono arrestati (e successivamente rilasciati, alcune settimane dopo, per mancanza di prove). Il partito negò ogni coinvolgimento e considerò il presunto complotto come un tentativo di gettare discredito sulla nuova organizzazione di sinistra. Il 23 maggio, a meno di una settimana dalle prime elezioni amministrative dell’epoca post-coloniale, il re costrinse il governo in carica alle dimissioni e assunse la carica di primo ministro, nominando il principe ereditario vicepresidente e affidando i ministeri a fedelissimi membri del Makhzen e ad alcuni conser-

vatori dell’Istiqlāl (Howe, 2005, pp. 100-2).

Ben Barka e i maggiori esponenti della sinistra considerarono l’episodio come un vero colpo di Stato, che metteva fine al “patto sociale” fra popolo e monarchia, accusando quest’ultima di estremismo conservatore e d’incapa- cità di dialogo con le forze progressiste. L’ala sinistra del movimento nazio- nalista si radicalizzò e sulla stampa non allineata col palazzo la monarchia

fu definita “assolutista” e perfino fascista (Rollinde, 2002, p. 102; Howe, 2005, p. 102). L’unem si schierò apertamente a favore dell’unfp e in oc- casione del suo sesto congresso (Azrou, luglio 1961), sotto la presidenza di Mohamed Farouki, ufficializzò il ritiro del proprio sostegno alla monarchia e ribadì la propria linea politica progressista. La dichiarazione conclusiva del congresso conteneva rivendicazioni relative al miglioramento delle con- dizioni materiali degli studenti, ma anche precise prese di posizione contro

«l’imperialismo internazionale», il «feudalesimo», «un gruppo di speculatori» e «un pugno di opportunisti«. Il riferimento all’«imperialismo internazionale» ri- fletteva le prese di posizione del sindacato [degli studenti] sulle lotte dei popoli arabi per la loro liberazione, con particolare riguardo al popolo algerino, che si tradusse nell’occupazione dell’ambasciata di Francia a Rabat, l’11 e il 12 novembre 1961, da parte dei suoi militanti. Ma il fulcro della dichiarazione riguardava la politica inter- na e designava chiaramente il re come principale avversario (Rollinde, 2002, p. 102)

e la richiesta di una democratizzazione del sistema politico come obiettivo fondamentale.

Nello stesso anno si consumò una scissione all’interno dell’unem che si concluse con la fondazione di una nuova organizzazione da parte degli studenti più conservatori, contrari al new deal del movimento, che prese il

nome di Union Générale des Étudiants Marocains (ugem).

Nel 1963 la monarchia passò al contrattacco, e un tribunale militare emi- se una condanna a morte in contumacia contro il presidente dell’unem, Hamid Berrada, per aver espresso solidarietà al governo socialista dell’Alge- ria durante la guerra di confine marocco-algerina e per aver partecipato a un presunto complotto contro lo Stato insieme a Mehdi Ben Barka. Entrambi, insieme a Muhammad al-Basri, fuggirono in Francia e in esilio iniziarono una campagna di denuncia contro la monarchia. Un anno dopo, il nuovo presidente dell’unem, Muhammad Halaoui, fu arrestato per aver denun- ciato la condanna di Berrada. Poco dopo gli arresti di massa della leadership dell’unfp nel luglio del 1963 per il presunto complotto antimonarchico, l’ottavo congresso dell’unem (Casablanca, luglio 1963) espresse una posi- zione ancora più radicale, come riporta la dichiarazione conclusiva dell’in- contro, in cui l’Unione

dichiara solennemente che l’abolizione del regime è il presupposto per far uscire il paese dalla crisi aperta o latente nella quale non cessa di dibattersi dall’indipenden- za [...]. Infatti, il vero volto del regime monarchico marocchino viene rivelato dal comportamento antinazionale di una minoranza feudale che ha usurpato il potere e difende le posizioni strategiche del neocolonialismo [...]. In queste condizioni, l’viii Congresso dell’unem, cosciente delle responsabilità che incombono sugli

studenti nella nuova fase storica [...] dichiara che gli studenti marocchini dovranno tendere i loro sforzi verso la realizzazione dell’obiettivo primordiale del popolo: la caduta dell’attuale regime e la presa del potere da parte delle organizzazioni popo- lari, rivoluzionarie e democratiche (Palazzoli, 1974, pp. 418-21).

I leader dell’unfp in esilio, tra cui Ben Barka, credevano infatti nella «pos- sibilità di rovesciare il potere monarchico attraverso un colpo di Stato o azioni armate di gruppi partigiani» (Sater, 2010, p. 34).

L’unfp, ormai privo della propria dirigenza storica, scelse tuttavia il compromesso per poter tornare sui banchi del Parlamento e il 25 giugno del 1964, durante i lavori dell’assemblea parlamentare, il nuovo capogruppo del partito evitò espressamente di prendere le difese di Ben Barka e salutò Hassan ii (succeduto al padre nel marzo del 1961) come il “re del rinnova- mento” (Monjib, 1992, p. 324). In un contesto in cui anche i partiti di op- posizione erano ormai allineati sulle posizioni del regime, l’unem finì per rappresentare l’unico vero attore della contestazione radicale, catalizzando l’interesse dei giovani che non si sentivano più rappresentati dalle organiz- zazioni politiche tradizionali.

Nell’anno accademico 1963-64 l’attività dei militanti dell’unem diven- ne febbrile, nel sostegno ai dirigenti dell’unfp condannati nel 1963 e nel confronto vis-à-vis con la monarchia. Durante il nono congresso del 1964

fu ricordata l’attuazione di venti manifestazioni degli studenti e di sei oc- cupazioni di ambasciate marocchine all’estero nel corso dell’anno accade- mico trascorso e venne inviato un messaggio implicito al nuovo direttivo dell’unfp in cui si ponevano come condizioni essenziali per il dialogo con il palazzo «la liberazione di tutti i detenuti politici, la fine dello stato d’e- mergenza (di fatto), l’instaurazione di un governo popolare, l’elezione di un’assemblea nazionale costituente, la realizzazione di riforme radicali da parte dei veri rappresentanti delle masse popolari» (Monjib, 1992, p. 348).

Consapevole della crescente pericolosità dell’Unione, nell’autunno del 1964 il governo marocchino tagliò pesantemente i finanziamenti alle orga- nizzazioni studentesche (Moore, Hochschild, 1968, p. 30), nel mese di di- cembre privò l’unem del suo status di “associazione di pubblico interesse”

e, mettendo in atto un vero abuso di potere, fece finire in tribunale i giovani che non rispettavano il digiuno del ramadan e ordinò la chiusura dei caffè

in cui si riunivano (Rollinde, 2002, p. 121).

Tali interventi non furono sufficienti a fermare l’Unione e, intorno alla metà degli anni Sessanta, gli universitari reperirono nuovi compagni di lotta negli studenti delle scuole superiori, «vittime dell’esclusione e della miseria», che trovavano nell’unem e nei gruppi marxisti-leninisti «una voce fuori dal coro rispetto al consenso, volontario o imposto, della classe

politica intorno alla figura del sovrano» (ivi, p. 86). Le manifestazioni di protesta all’interno dell’Università Mohammad v di Rabat divennero un fattore costante e da lì si propagavano spesso agli atenei di Fez e Casablanca e alle scuole superiori.

Il 22 marzo 1965, in un periodo in cui i partiti politici erano sostanzial- mente privi di potere, furono proprio gli studenti delle scuole superiori di Casablanca ad accendere una delle più sanguinose proteste dell’epoca, in seguito alla promulgazione di un decreto del ministero dell’Istruzione che vietava agli studenti di età superiore ai 17 anni di iscriversi al secondo livello dell’istruzione superiore, relegandoli agli istituti tecnici e precludendo loro la possibilità di accedere a una carriera nella pubblica amministrazione. In un periodo di profonda crisi economica, in cui il governo aveva annunciato nuove misure di austerità, la decisione sull’accesso all’istruzione superiore in- fiammò gli animi degli studenti, che dettero vita a violente proteste durante le quali furono incendiati alcuni edifici pubblici. La protesta si diffuse rapida- mente a Rabat, Fez e Marrakesh e paralizzò i trasporti e le maggiori industrie del paese (Rollinde, 2002, p. 86; Moore, Hochschild, 1968, pp. 22-3). Il gover- no impose il coprifuoco, tagliò le comunicazioni telegrafiche con il mondo esterno e inviò forze speciali dell’esercito a sedare la rivolta nel sangue.

Per 48 ore gli osservatori pensarono che il regime sarebbe caduto, ma i metodi spietati del generale Oufkir ripristinarono l’ordine. Le stime ufficiali parlano di 7 morti, 43 feriti e 168 arresti, l’opposizione sostiene che i morti siano stati 300-400 e testimoni attendibili suggeriscono 109 caduti, tra cui 6 poliziotti. Gli studenti ma- rocchini all’estero organizzarono sit-in presso le loro ambasciate. Hassan ii ordinò il rilascio di 120 studenti, ma in seguito circa 700 manifestanti furono condannati al carcere fino a sei mesi (Bidwell, 2010).

Il sovrano sciolse quindi il Parlamento e dichiarò lo stato di emergenza nazio- nale, che durò per i successivi cinque anni. Sarà l’inizio dei cosiddetti “anni di piombo” del Marocco, che dureranno sino alla fine degli anni Ottanta. Il 30 ottobre 1965 Mehdi Ben Barka fu rapito a Parigi da agenti dei servizi segreti marocchini (ufficialmente “scomparve”) e non fu mai più ritrovato, una “sparizione” che mandò definitivamente in frantumi ogni possibile spe- ranza di una riconciliazione fra la sinistra e il sovrano e spinse l’unem verso una «politica di resistenza totale contro il sistema» (Sater, 2010, p. 34).

Nel 1966 gli studenti scesero nuovamente in piazza nel primo anniver- sario dei moti di Casablanca, ma il ministero dell’Istruzione reagì chiuden- do la città universitaria, che fu successivamente occupata dagli studenti per protesta. Il governo decise quindi di intervenire in maniera più radicale, privando l’unem dei suoi dirigenti, attraverso l’applicazione selettiva di

13. La sociologa marocchina Fatima Mernissi, nota in Occidente per i suoi studi sulla donna nell’Islam, negli anni Sessanta partecipò attivamente alle attività dell’unem e at- tribuisce alla sua militanza un’influenza determinante nello sviluppo della sua prospettiva marxista sulla società e della sua coscienza politica: «L’unem, di cui sono stata un membro attivo per molto tempo e dove per un certo periodo ho ricoperto incarichi relativi alle que- stioni culturali, ha avuto un grande ruolo nella mia formazione politica e che mi ha aiutato a maturare. È stato un momento straordinario nella vita delle persone della nostra generazio- ne: tutti erano impegnati, era naturale» (citata in Rhouni, 2010, p. 81).

una nuova norma che istituiva la coscrizione obbligatoria: all’alba dell’un- dicesimo congresso dell’unem (25-27 luglio 1966), tutti i membri del co- mitato esecutivo dell’Unione, tranne uno, ricevettero la chiamata alle armi (Moore, Hochschild, 1968, p. 30).

A cavallo tra gli anni Sessanta e Settanta, nonostante le azioni repressive del governo, l’unem ebbe un ruolo importante anche nella promozione del dibattito politico e nell’introduzione di nuove idee, non solo tra i suoi membri effettivi13. Nel loro studio del 1968, Clement H. Moore e Arlie R.

Hochschild affermavano che

l’unione degli studenti marocchini, a differenza delle sue controparti tunisina e algerina, sembra essere anzitutto un’agenzia per l’arruolamento e la mobilitazione dell’opinione degli studenti radicali contro il regime. Tuttavia, solo il 27 per cento di un campione di 125 studenti marocchini faceva effettivamente parte di un’u- nione studentesca. Più della metà dei non membri, tuttavia, rivendicava maggiore potere per l’unione (p. 30).

Politicizzazione e aspirazioni democratiche maturate tra le aule universitarie. Come scrive anche Marguerite Rollinde, «sembrava indispensabile agli oc- chi dei militanti dell’unem coniugare il sapere accademico e l’impegno po- litico. Con questo obiettivo si rivolgevano a tutti gli studenti offrendo loro occasioni di dibattito e di formazione, in particolare attraverso le “università parallele”, serate nel corso delle quali personalità, spesso del mondo politico, venivano invitate a parlare con gli studenti» (2002, p. 139). Ad esempio, tre di queste serate, nel 1970, furono dedicate a un tema particolarmente sensi- bile, ovvero la funzione politica della religione, che vide dialetticamente con- trapposte le prospettive di Allal Al-Fassi, l’ideologo filosalafita dell’Istiqlāl, Abdallah Ibrahim, che sosteneva il valore salvifico della religione in termini sociali (richiamandosi alla teologia della liberazione in America Latina), e i “laici” dirigenti dell’unfp, Abdallah Ibrahim (ex primo ministro e segretario generale del partito dal 1960 al 1974) e Mohamed el-Yazghi (in seguito tra i fondatori dell’Association Marocaine des Droits Humains), che considera- vano la religione come una fonte di alienazione (ivi, p. 140).

Nello stesso periodo, l’esperienza del Maggio francese (1968), vissuta in prima persona da centinaia di studenti marocchini che stavano completan- do la propria formazione a Parigi e nelle altre città della Francia allo scoppio dei movimenti di rivolta, rafforzò ulteriormente – sia sul piano ideologico che della pratica militante – l’ala sinistra dell’unem che, a partire dal Ses- santotto, fece fronte comune con il movimento operaio marocchino, soste- nendone le rivendicazioni e portandole nelle aule universitarie, attraverso l’organizzazione di assemblee in cui venivano invitati i rappresentanti dei sindacati per discutere delle difficoltà degli operai e raccogliere fondi per sostenere gli scioperi (ivi, pp. 145-6). La presenza di una decina di studenti cinesi presso la facoltà di Lettere dell’Università Mohammad v di Rabat nell’anno accademico 1969-70 favorì inoltre la diffusione del pensiero ma- oista e del fascino iconoclasta, in un paese saldamente ancorato alle tradi- zioni, della rivoluzione culturale di Mao (ivi, p. 138).

La svolta marxista-leninista dell’unem fu ufficializzata durante il tre- dicesimo congresso dell’Unione (1969), in cui la sua componente rivolu- zionaria (il cosiddetto “gruppo di Fes”, sotto la leadership di Abdellatif Derkaoui) conquistò la dirigenza, con l’obiettivo di porsi alla guida di una “rivoluzione totale” antimonarchica e antireazionaria, ritenendo non più accettabile la via della legalità e del compromesso con il palazzo ancora sostenuta dai partiti ufficiali, tra cui l’unfp (Vermeren, 2002, pp. 52-3; 2010, pp. 298-300).

I fautori della linea rivoluzionaria diedero vita, all’interno dell’univer- sità, a un Fronte unito degli studenti progressisti, cui seguirà la creazione di un’ulteriore organizzazione chiamata Munādilu al-Ittihād al-watanī lī- talabat al-maghrib, ovvero Militanti dell’unem (Rollinde, 2002, p. 146).

Nel gennaio del 1970 si registrarono numerosi scioperi e manifestazio- ni di protesta che videro marciare fianco a fianco gli studenti delle scuole superiori e gli universitari che, attraverso la rivendicazione di un reale dirit- to allo studio per tutti e dell’inviolabilità degli edifici universitari da parte dell’esercito, esprimevano «la contestazione al regime da parte di tutta la gioventù» (ivi, p. 147). Tra febbraio e marzo il governo aprì al dialogo con gli studenti, annunciando l’istituzione di un consiglio consultivo in materia di istruzione, rappresentativo delle diverse parti sociali, ma l’arresto del pre- sidente dell’unem (motivata dall’appello dell’Unione a votare “no” al refe- rendum per una nuova Costituzione) e la coscrizione forzata di quindici dei suoi dirigenti (anticipando ancora una volta la fine del differimento della leva per motivi di studio, poco prima delle sessioni d’esame) determinarono un nuovo sciopero generale del movimento studentesco e nuove tensioni che proseguirono nei due anni successivi (ibid.).

Il 1972, in particolare, rappresenterà un anno cruciale (e fatale) per l’U- nione, segnato dalla presa del potere della corrente radicale (i cosiddetti qa’i- diyyin, “comitati di base”) nel corso del quindicesimo congresso (11-18 agosto

1972) e dalla nuova presidenza di Abdelaziz Menebhi, un giovane di orien- tamento marxista-leninista (oggi impegnato nella lotta per l’indipendenza del popolo Saharawi del Sahara occidentale), che riaffermava da una parte la vicinanza del movimento per i diritti degli studenti a quelli per i diritti delle “masse popolari” e delle minoranze oppresse, in particolare del popolo palestinese, dall’altra la necessità di esigere dal governo la garanzia di un «in- segnamento popolare, arabizzato, democratico, scientifico e unificato, per dare un contenuto progressista all’indipendenza dell’università e garantirne l’inviolabilità» (Rollinde, 2002, p. 164; cfr. anche Vermeren, 2010, p. 300). Le prese di posizione di Menebhi e del vicepresidente dell’unem, Abdelwa- had Belkebir, non passarono inosservate: poco tempo dopo sia Menebhi che Belkebir “scomparvero” e furono condannati all’ergastolo in contumacia, prima di “ricomparire” nell’estate del 1973. Il loro arresto, che suscitò una diffusa indignazione e la mobilitazione di tutto il mondo universitario per