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La quarta generazione dei Fratelli: gli anni Zero

L’anno Duemila segna anche un altro importante avvenimento all’interno del movimento giovanile vicino alla Fratellanza. Infatti, se nell’ottobre, du- rante le prime dimostrazioni studentesche in occasione della seconda Intifa- da palestinese, gli studenti islamici fedeli alla linea ufficiale del movimento agirono secondo tradizione, schierandosi contro il resto dei manifestanti, cercando di frenare le dimostrazioni, denunciando le violenze e il “sabotag- gio socialista” e in qualche caso impedendo addirittura agli studenti di uscire dai campus per manifestare, già il mese seguente si comincia a percepire che qualcosa sta cambiando29. Quando l’Egyptian Society for Culture and Dia-

logue (aprile 2000) organizza una grande e affollata discussione pubblica nella sede dell’Associazione dei giornalisti, in pieno centro al Cairo, sul tema dell’Intifada al-Aqsa e il ruolo del mondo arabo, molti membri dell’ala mo- derata della Fratellanza, che comprendeva i fuoriusciti di al-Wasat, non solo parteciparono ma assunsero un ruolo primario nei lavori.

All’Università del Cairo, alcuni membri della Fratellanza (fra essi ‘Isam al-‘Iryan e ‘Abd al-Mu’min Abu’l Futuh) cominciarono a partecipare a li- vello individuale agli eventi organizzati da un nuovo comitato, l’Egyptian

30. Nell’aprile del 2002 gli studenti dell’American University in Cairo riempirono in quattro giorni trenta enormi camion di beni di prima necessità da inviare a Gaza (cfr. Bayat, 2003).

31. Anche gli studenti di al-Azhar si unirono ai dimostranti il venerdì dopo la preghiera. 32. Per l’approfondimento della ventata di attivismo politico nella società egiziana degli anni Zero cfr. Marchi (2011) e il saggio della medesima studiosa nel presente volume.

People’s Committee for Solidarity with the Palestinian Intifada (El-Hama- lawy, 2007), che, costituitosi nell’ottobre 2000, raccolse giovani e studenti di tutte le tendenze politiche, operando sia su Internet che con iniziative concrete, quali raccolte di beni30 o manifestazioni per boicottare i prodotti

israeliani o americani, o ancora raccogliendo firme per la chiusura dell’am- basciata israeliana al Cairo.

The Egyptian People’s Committee for Solidarity with the Palestinian Intifada (epcspi) wrote opinion columns, organized workshop, conferences, and meetings, petitioned for the severing of diplomatic relations with Israel, and questioned the United Nations about Palestinian political prisoners’ fate. On September 10, 2001, the epcspi demonstrated in Tahrir Square in solidarity with the Palestinian cause. This gathering attracted the authorities’ attention and many of the committee’s members were arrested, sometimes (especially for mb) for long periods... Students from American University in Cairo, 6th of October University, and Cairo Univer-

sity were at the center of the movement (Vairel, 2011, pp. 31-2).

Su questa linea di grande attivismo e di consenso trasversale sorse l’altro vasto movimento di protesta del primo decennio Duemila, quello contro la guerra in Iraq, che scese in piazza per la prima volta il 20 marzo 2003 e che rese ancora più visibile una vicinanza tra “compagni” e “fratelli” (El-Ha- malawy, 2007)31. Il movimento contro la politica di Israele, contro il nuovo

imperialismo statunitense e contro i suoi “vassalli” fu così importante che molti osservatori videro in esso la rinascita del forte movimento studente- sco degli anni Settanta: le proteste, nei primi tre mesi del 2003, furono con- tinue e si spostarono – senza soluzione di continuità – dai temi di politica estera a quelli di politica interna.

È in questa atmosfera che si consolida il fronte anti-Mubarak, trasversale e internazionale, che darà origine a Kifaya e ad altri movimenti simili32. In tutto

ciò, i legami fra i movimenti laici di sinistra e gli studenti afferenti alla Fratel- lanza continuarono a essere piuttosto frequenti, soprattutto in occasione del- le due grandi conferenze organizzate nel dicembre 2002 e nel dicembre 2003. Il 5 aprile 2002 un gruppo di giovani Fratelli firma una lettera aperta inviata al giornale arabo (stampato a Londra) “al-Hayāt”, indirizzata all’al- lora guida suprema della Fratellanza Mustafa Mashhur, nella quale essi de-

33. Il cui presidente, il giovane attivista islamico ‘Abd al-’Aziz Mujahid, definisce entu- siasticamente e significativamente «brotherly» lo spirito che regnava all’interno dell’fsu (cfr. El-Hamalawy, 2007).

nunciano la necessità di una presa di posizione del movimento più ferma e meno ambigua nei confronti della questione palestinese e l’urgenza di riforme contro la stagnazione politica e sociale in Egitto: un gesto senza precedenti perché compiuto in maniera autonoma e senza alcun tipo di au- torizzazione della leadership della Fratellanza.

Nel giugno 2005 il gruppo dei Fratelli di Alessandria, guidati da ‘Ali ‘Abd al-Fattah, si avvicinò agli indipendenti di sinistra e ai socialisti rivolu- zionari, costituendo la National Alliance for Change, con lo scopo primario di risolvere le frizioni interne a un movimento così eterogeneo. Pochi mesi dopo, nel novembre dello stesso anno, si costituisce nel campus di Helwan33

e all’Università del Cairo la fsu (Free Student Union), che si presenta come un’unione studentesca “ombra” che agisce autonomamente rispetto alle as- sociazioni studentesche filogovernative e ufficiali.

Nel 2006, altro momento importante della storia recente della Fratel- lanza, dopo cinque anni di reclusione, accolti da una folla festante, vengono messi in libertà i già citati ‘Abd al-Mu’min Abu’l Futuh e ‘Isam al-‘Iryan, leader dell’Associazione dei medici, fortemente legata alla Fratellanza. Si tratta di esponenti molto vicini della “generazione di mezzo”, con un largo seguito fra i giovani e gli universitari, anche in ragione della reputazione che si sono guadagnati con la loro lunga detenzione. Quelli che il giornale “Al- watan al-‘arabī” ha definito gli uomini della perestroika ideologica e opera-

tiva della Fratellanza saranno gli ideologi e i principali fautori di quell’avvi- cinamento dei giovani islamici al movimento di protesta trasversale che si concretizzerà di lì a breve.

Un altro episodio emblematico di questa fase di “democratizzazione” della Fratellanza si verifica nel settembre 2007, quando viene presentato un programma politico dalla leadership dei Fratelli a un gruppo di “saggi”. Si scatena un acceso e lungo dibattito interno, soprattutto sui blog perso- nali, nei quali vengono criticati aspramente ed esplicitamente gli articoli del suddetto programma relativi al divieto (secondo la versione tradizio- nalmente diffusa del fiqh) di elezione di una donna o di un cristiano a capo

dello Stato.

Si comincia a parlare moto più specificamente di una “quarta generazio- ne” di Fratelli musulmani, identificando con la prima generazione quella dell’epoca nasseriana, che ha vissuto sulla propria pelle le repressioni della metà degli anni Cinquanta e della metà degli anni Sessanta, che ha avu- to come punti di riferimento teorico da un lato il radicale Sayyid Qutb e

34. Già nel 1999 era stato creato uno dei primi website degli studenti egiziani ed era già diffusa la pubblicazione web “Islamonline”.

35. Circa il 20% dei seggi.

dall’altro la guida suprema del movimento, necessariamente molto più mo- derata, il giudice al-Hudaybi.

La seconda generazione è quella emersa dalle turbolente università degli anni Settanta, dove si sono formati ‘Isam al-‘Iryan, ‘Abd al-Mu’min Abu’l Futuh, Khayrat al-Shatir e Muhammad Habib, leader di un movimento mi- litante e impegnato, esperti di tecniche di mobilitazione e di organizzazione politica. Ancora, la terza generazione è quella dei giovani cresciuti sotto Mu- barak, negli anni Ottanta, che qualche decennio dopo ritroviamo trasforma- ti in burocrati, funzionari, imprenditori di successo, fortemente conservatori dal punto di vista politico, ma decisamente più portati al compromesso e meno alla militanza attiva. Infine, i giovani della quarta generazione, quelli dei cosiddetti “anni Zero”, sono quelli di un rinnovato ma inedito militanti- smo politico, dell’apertura ideologica e del confronto, ma anche della ribel- lione e del dissenso verso la guida suprema e tutto il suo entourage.

Il ricambio generazionale e le battaglie comuni degli anni Zero, nono- stante la diffidenza della sinistra tradizionale, portano per la prima volta a prese di posizione che non sono solo di mera alleanza strategica, ma di vici- nanza “affettiva”, di condivisione degli stessi obiettivi, nella partecipazione alle stesse manifestazioni oceaniche, pur con slogan diversi.

Il mondo dei giovani islamici, forte di questa inedita esperienza di mi- litanza comune con altri movimenti giovanili, risente della ventata d’inno- vazione che sconvolge gli equilibri interni della Fratellanza e comincia a presentarsi con peculiarità difficilmente incardinabili nelle strette e rigide maglie della struttura istituzionale.

Questa nuova generazione, islamica ma non fanatica, ben informata e ben istruita, assolutamente a suo agio con i nuovi strumenti di comunica- zione34, meno propensa a subire i diktat della leadership della Fratellanza,

scenderà in piazza nel 2004 insieme a Kifaya (Lynch, 2007, pp. 26-33). I giovani Fratelli musulmani si uniscono alle proteste del 29 marzo 2005, all’indomani delle elezioni presidenziali che videro la vittoria di Mubarak, che si apprestava a inaugurare il suo quinto mandato consecutivo, ed è pro- prio in concomitanza con la loro discesa in piazza che il regime inasprisce la repressione, fino a quel momento piuttosto blanda. Nel 2005 si tengono anche le elezioni parlamentari nelle quali la Fratellanza ottiene ottimi ri- sultati35, e conseguentemente una serie di arresti e di misure repressive si

36. Emad Mubarak, uno dei più attivi e noti avvocati dell’Hisham Mubarak Center, è anche il direttore dell’Association for Freedom of Thought and Expression, sorta per la di- fesa della libertà di espressione, che difende detenuti sia laici che islamici (cfr. El-Hamalawy, 2007).

37. Quest’ultimo, in particolare, mostra una grande apertura verso gli shabāb, le loro mo-

dalità di espressione e la loro richiesta di maggiore ascolto e maggiore presenza all’interno del movimento. Va ribadito, inoltre, che tutto questo accade mentre alte percentuali dei membri del Consiglio consultivo della Fratellanza, il majlis al-shūra, si trovavano nelle carceri (il 30%

alla fine del 2010) e l’Associazione attraversava un duro momento (Guazzone, 2001).

viene emendata la Costituzione inasprendo la legislazione di emergenza e vietando la partecipazione politica ai Fratelli musulmani.

Il momento di più stretta vicinanza fra giovani Fratelli e movimenti anti- Mubarak, in particolare il movimento Kifaya, ha inizio nel marzo del 2006, quando vennero deferiti al Tribunale disciplinare i giudici Mahmud Makki e Hisham al-Bastawisi, vicepresidenti della Corte di cassazione, poiché ave- vano denunciato brogli durante le citate elezioni legislative del 2005. Per mesi le proteste andarono avanti (ad Alessandria, il 27 aprile, circa 3.000 Fratelli furono brutalmente dispersi; il 18 maggio 210 Fratelli, fra i quali il portavoce dell’associazione, ‘Isam al-‘Iryan, e l’ex presidente del gruppo parlamentare e futuro presidente dell’Egitto, Muhammad Mursi, furono nuovamente arrestati).

Il fronte laico e quello per la difesa dei diritti umani si avvicinano alle ali più aperte della Fratellanza: il Partito del lavoro di Magdi Hussein, defini- to “islamico di sinistra”, i già citati socialisti rivoluzionari, alcuni organismi come l’Hisham Mubarak Law Center e il Nadim Center for the Rehabi- litation of Victims of Violence, si battono da anni per un coordinamento unitario che non tenga al di fuori i giovani islamici36.

La risposta alle interferenze del regime all’interno dei campus e delle attività studentesche fu la continua mobilitazione di migliaia di studenti, laici e islamici. A molti studenti, in particolare islamici, fu vietato di so- stenere gli esami o di alloggiare presso le case dello studente. Centinaia di studenti furono arrestati nell’autunno del 2006 e molti finirono davanti a tribunali militari.

La diffusione di una comunità islamica sul web, come abbiamo già ac- cennato, coincide con la più profonda frattura vissuta dal movimento isla- mico: i giovani si schierano agli antipodi delle dichiarazioni ufficiali della guida suprema e sposano le posizioni dei riformisti, o “pragmatici”, come Shatir, ‘Iryan, ‘Abd al-Mu’min Abu’l Futuh ‘Abd al-Mu’min Abu al-Futuh37.

«The Brotherhood cadre has changed», says Husam Tammam, author of a recent book on the organization. «They have become socially assimilated. They are not

38. Il volume citato è pubblicato da Mabdouli, Cairo 2005, in arabo.

necessarily the sons of the poverty belts and the marginalized nowadays». The Brotherhood’s decisive entry into electoral politics «came at the expense of their identity, forcing them to be more pragmatic», Tammam adds. «So forget about the Islamic state, the caliphate, and so on. The more the Brothers get dragged into the political arena, the more they are integrated, and the more they try to operate according to the rules of the arena». Tammam continues: «The Brothers have changed in their relation to art, society and vision. You can see that well among the [Brothers’] youth. [...] When the youth are left without orders, they don’t nec- essarily follow the group’s traditional line. In my view, the last remarkable event held by the Brothers, before they took to the streets, was an event organized by the Brotherhood students called Muhammad Day that took place on Valentine’s Day. The Islamist youth thought, “How can we love, but in a ‘good’ way?” If you compare this to the behavior of the Islamist youth in 1985, it is completely differ- ent. Back then all they could think about was how to establish the Islamic state [and] revive the caliphate. They would have looked at Valentine’s Day as a waste of time. The youth today, however, do not take the same aggressive approach» (El-Halamawy, 2007)38.

I giovani della quarta generazione, in linea con molti altri giovani musul- mani non membri della Fratellanza, non sembrano soffrire più di tanto la mancanza di una dirigenza politica e ideologica: in altre parole non sen- tono la necessità di seguire un’autorità religiosa per sentirsi e proclamarsi buoni musulmani, ma «the young attempted to redefine and reimagine their Islam in order to accommodate their youthful desires for indivi- duality, change, fun, and “sin” within the existing moral order» (Bayat, 2003, p. 62).

1.6

Conclusione

There is a special irony in the fact that the largest opposition movement in Egypt derives the bulk of its support from educated youth (Wickam, 2002, p. 2).

Come abbiamo già più volte ribadito e come è ben noto, il movimento isla- mico nell’Egitto di Mubarak raggruppa varie anime, non accomunate da un’agenda politica comune. I riformisti e i militanti non hanno mai con- diviso scopi e tattiche, nonostante il comune riferimento al Corano e alla

sharī‘a. In questo saggio abbiamo parlato ovviamente dei moderati, dei co-

Abbiamo sottolineato quali sono stati i momenti fondamentali dell’a- scesa dentro il movimento studentesco di una componente definibile isla- mica, e quali le cause che ne hanno determinato il grande successo. Abbiamo visto che dai lontani anni Settanta, almeno quattro generazioni di militanti islamici si sono susseguite, con caratteristiche peculiari, nel movimento in generale e dentro le università in particolare. E che la storia di queste ge- nerazioni è strettamente collegata e intrecciata: la gioventù istruita degli anni Novanta e degli anni Zero è attratta non dalla vecchia guardia quanto dalla generazione di mezzo, attivisti ancora giovani che erano emersi dalle

jam’iyyāt islāmiyya degli anni Settanta e che svolgeranno un ruolo fonda-

mentale nella formazione delle nuove leve di studenti islamici, che hanno vissuto le fasi complesse di un’emancipazione dolorosa dalla linea ufficiale della Fratellanza e che si sono aperti alle altre sensibilità politiche.

While their leftist counterparts dispersed among various splinter groups or exited from politics altogether, the Islamist student leaders of the 1970s sustained their activism in the 1980s and early 1990s in the parallel Islamic sector, in which they converted neighborhood mosques, Islamic community and service organizations, and even private homes into sites of outreach to educated youth (ivi, p. 118).

Questi leader non hanno lavorato solo sfruttando il senso di frustrazione dei giovani laureati, ma fornendo un progetto ben articolato dal punto di vista ideologico, che ha creato un diffuso consenso. La chiamata a Dio, la

da‘wa, fornisce un modello di impegno nel politico e nel sociale, un sistema

di riferimento ideologico e valoriale, una nuova etica civile.

The typical Islamic activist at the neighborhood level was a university graduate who had developed his or her Islamist affiliations as a secondary school or colle- ge student [...] graduates involved in the parallel Islamic sector shared an activist conception of Islam that informed their relations with one another (ivi, pp. 124-5).

Ne emerge il ritratto del giovane studente universitario affiliato ai grup- pi religiosi non tanto come un akh (plurale ikhwān), ma come un muslim multāzim, un musulmano impegnato, inserito in un network che in parte fa

riferimento alle strutture ufficiali della Fratellanza o delle altre componenti religiose tradizionaliste, in parte si riconosce in gruppi trasversali di impe- gno politico, civile e culturale.

Un elemento non secondario nella diffusione dell’ideologia islamica moderata fra i giovani è la possibilità di ottenere un impiego nel settore “islamico” in un contesto di generale e disperante disoccupazione o sottoc- cupazione. Alcuni svolgono funzioni di imām in moschee private, offrono

oppure lavorano con la loro qualifica di medici, avvocati, ingegneri, gior- nalisti, professionisti nell’imprenditoria e nei servizi collegati alla rete della Fratellanza, in mancanza di sbocchi corrispettivi nel settore pubblico.

Non è nostra intenzione trarre delle azzardate conclusioni, ma piuttosto fornire delle ipotesi di riflessione, la prima delle quali collegata all’impor- tanza dell’analisi storica dei movimenti di opposizione politica in conte- sti come quello egiziano, nei quali un’osservazione superficiale ha indot- to non pochi a trarre la frettolosa conclusione che le società civili arabe o mediorientali o comunque islamiche siano per loro specifica connotazione anestetizzate (l’“eccezionalismo” del mondo arabo) rispetto alle ondate di democratizzazione che hanno caratterizzato questi ultimi decenni nei più disparati contesti internazionali.

La seconda considerazione riguarda l’importanza dei movimenti giova- nili e studenteschi, che in Egitto hanno tracciato la storia politica del paese in tutte le sue varie fasi. Piuttosto di rado, nei testi storici, si ritrova più di qualche cenno alle turbolenze dentro e fuori le università nel mondo arabo; l’attenzione si focalizza piuttosto sui leader dei partiti nazionalisti, laici o islamici, protagonisti delle battaglie politiche, oppure sui grandi passaggi storici, quasi sempre frutto di un lavorio sotterraneo di decenni. Solo in occasione delle recenti “primavere” si è evidenziato un nuovo modo di fare politica, che parte dal basso e che spesso si presenta come movimento ano- nimo, acefalo, di difficile connotazione politica.

La grande novità scaturita da questa fase storica nel mondo arabo e in particolare in Egitto è che certamente all’interno del movimento giovanile islamico moderato si è compiuto un salto di qualità: al posto della coesione forte e monolitica, un susseguirsi di momenti di rottura interna, di nuove prospettive ideologiche differenziate, scaturite da differenze culturali e ge- nerazionali, un confronto di idee e interpretazioni che in ultima analisi ver- te su che cosa debba intendersi come Islam politico. Un travaglio interno, in conclusione, che assomiglia molto a una crisi di crescita, oggi reso anco- ra più traumatico dalle recenti vicende che hanno riportato il movimento, dopo i successi elettorali del 2012, ai giorni più bui delle peggiori ondate di repressione del passato.

Ne emergerà un tipo inedito di società civile, resa meno schizofrenica da un nuovo modo di essere musulmano in un paese finalmente un po’ più democratico? La strada è sicuramente ancora molto lunga e difficile, ma nulla sarà più come prima.

Parafrasando una giusta osservazione della Wickham (2002, p. 213), il modo più efficace per il regime egiziano di incoraggiare gli islamici a dive- nire più democratici è divenire più democratico esso stesso.