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La primavera araba, una rivoluzione mancata

Nel dibattito sulle “primavere arabe”, come sono stati definiti i movimenti di protesta che hanno rivendicato ai quattro angoli del mondo musulmano democrazia, meritocrazia e sviluppo, quello del Marocco rappresenta sotto diversi punti di vista un caso particolare, che ha portato studiosi e giornali- sti a considerarlo come un’“eccezione” (Pollock, 2013) o una soft revolution.

Tuttavia, al termine di questo breve percorso attraverso lo sviluppo dei mo- vimenti studenteschi del Marocco post-coloniale, anche l’“eccezione ma- rocchina” ha una sua storia da raccontare.

A differenza di quanto avvenuto nei paesi vicini, in particolare in Tuni- sia, Libia ed Egitto, dove le proteste sono state contrassegnate da sanguinosi

scontri tra manifestati e forze governative e hanno determinato dei veri re- gime changes, nel caso del Marocco le proteste sono state relativamente più

pacifiche (con un bilancio ufficiale di 6 morti e 128 feriti, anche se Amnesty International all’inizio del 2013 ha denunciato che decine di attivisti del Movimento del 20 febbraio sono stati incarcerati e sottoposti a tortura sia durante l’arresto che in prigione) e soprattutto non si sono concluse con la detronizzazione del capo dello Stato, Muhammad vi, e il Makhzen è so-

pravvissuto ancora una volta. Un paradosso, se si considera che una delle principali ragioni che hanno spinto la popolazione marocchina a scendere in piazza sull’onda di quanto avveniva nei paesi limitrofi è stata proprio la critica del Makhzen, il cui livello di corruzione, dal quale discendono reti di

clientelismo estremamente capillari in tutti gli strati della società, impedi- sce di fatto ai cittadini di beneficiare dell’accesso a servizi pubblici e al pub- blico impiego se privi di una “merce di scambio” (una situazione esplosiva in un paese con il 49% di disoccupazione giovanile, anche tra i laureati).

Ciò nonostante, il sovrano gode tuttora di una notevole popolarità, an- che grazie all’accorta strategia con la quale ha gestito le proteste, imponen- do alle forze di polizia una linea morbida (è stata forse la prima volta nella storia del Marocco moderno in cui il re è stato apertamente criticato e la polizia non ha aperto il fuoco contro i manifestanti, a differenza di quan- to avveniva negli anni di piombo del Marocco sotto Hassan ii). Aprendo a una serie di riforme democratiche, tra cui un’importante riforma costi- tuzionale, sottoposta a referendum popolare il 1° luglio 2011, che almeno in teoria ha meglio bilanciato gli equilibri istituzionali a favore del primo ministro eletto (assegnando a quest’ultimo ad esempio il potere di nomi- nare gli ufficiali di governo e di sciogliere il Parlamento), ma che di fatto ha lasciato nelle mani del sovrano il vero potere (tra cui il controllo delle forze armate e delle forze di polizia) e non ha intaccato il riconoscimento tributatogli quale massima autorità religiosa nel paese.

Nel novembre del 2011 si sono tenute nuove elezioni parlamentari (con una partecipazione del 45% degli aventi diritto), relativamente libere, che hanno visto per la prima volta il partito islamico moderato Giustizia e svi- luppo conquistare la maggioranza in Parlamento (analogamente, in questo caso, a quanto avvenuto in Tunisia ed Egitto).

Per contro, diversamente dagli altri paesi della regione, molti dei mani- festanti, anche per il timore di un inasprimento della repressione, si sono sentiti soddisfatti di tali riforme, in realtà piuttosto inefficaci, che hanno al massimo ridefinito i contorni di un “regime autoritario sostenibile” (Dal- masso, 2012): dalle migliaia di persone scese in piazza nel 2011, il movimen- to di protesta si è ridotto a poche centinaia di attivisti, in prevalenza giovani

studenti. Nel terzo anniversario della “primavera marocchina”, nel febbraio 2014, sono scese in piazza circa 100 persone a Rabat, un altro centinaio a Casablanca e una media compresa tra 20 e 50 manifestanti nelle altre città del paese (El Amrani, 2014). E proprio gli studenti universitari sono stati i promotori e l’anima del Movimento del 20 febbraio, lanciando sul web la propria adesione alle twitter revolutions, organizzando le proteste di piazza

a Rabat, Casablanca, Tangeri, Marrakesh e nelle altre città del paese e pro- muovendo iniziative per la libertà di espressione come il portale di citizens journalism Mamfakinch (https://www.mamfakinch.com).

Tuttavia, il declino del movimento studentesco come agente del cam- biamento democratico ha sensibilmente indebolito le capacità organizzati- ve e la tenuta nel lungo periodo dei movimenti di opposizione. Ciò risulta particolarmente evidente nel caso del Movimento del 20 febbraio, un mo- vimento (ufficialmente) spontaneo e privo di una struttura organizzativa e di una leadership ben definite, in grado di portare avanti nel tempo le rivendicazioni e di spostarle sul piano istituzionale. Tale mancanza l’ha reso incapace di raccogliere l’eredità storica e politica dell’era d’oro del movi- mentismo giovanile, affievolendo il vento caldo delle primavere arabe, che non soffia ormai più sul Marocco, ancora immerso in un inverno d’immo- bilità politica e sociale (Robinson, Parmentier, 2014).

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5.1

Introduzione

Il 20 aprile 2014 la Cabilia – regione algerina a est della capitale e in cui si concentra la maggior parte dei berberofoni del paese – e le sue principali città hanno celebrato, come ogni anno, l’anniversario della “primavera ber- bera” del 1980. Trentaquattro anni prima, l’allora governo di Chadli Benje- did vietò un convegno, all’interno dell’Università di Tizi Ouzou, dedicato alla lingua e alla poesia cabila e tenuto dal poeta Mouloud Mammeri1. Vo-

luta per promuovere l’insegnamento della lingua berbera, fu la prima ma- nifestazione pubblica dell’Algeria indipendente e divenne presto il simbolo della contestazione universitaria in ambito berberofono e, per certi versi, nazionale. Sempre il 20 aprile 2014, il corteo ha commemorato le vittime della manifestazione del 2001, ricordata come “primavera nera” per la du- rezza delle repressioni da parte della polizia.

Alla manifestazione del 2014, come ogni anno, hanno preso parte stu- denti, partiti e movimenti politici. Nello specifico, il Mouvement Culturel Berbère (mcb), tra gli organizzatori della marcia, il Rassemblement pour la Culture et la Démocratie (rcd) e il Mouvement pour l’Autonomie de la Kabylie (mak): tutte formazioni politiche e associative che, in diversa mi- sura e con strumenti differenti, si sono fatte portavoce negli ultimi decenni della necessità di un riconoscimento della componente amazigh all’interno

del panorama culturale e politico algerino.

E, come ogni anno, la ricorrenza ha visto la mobilitazione di un gran numero di poliziotti, impegnati a controllare le varie strade delle città in- teressate dal corteo e, soprattutto, a seguire le istruzioni date dal governo: impedire lo svolgimento della manifestazione.

Ma ciò che ha contraddistinto e reso particolare l’ultima commemora- zione è il fatto che essa si sia svolta a ridosso dell’importante appuntamen-

1. Per una cronologia dettagliata degli avvenimenti del periodo cfr. Chaker (1982).

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Università e questione linguistica.