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Verso quale società civile? Partiti e associazioni si oppongono

All’inizio del xx secolo si diffondono nel Maghreb le idee socialiste, so- prattutto tra le élite cosmopolite urbane e presso i lavoratori specializzati, spesso di origine europea, in particolare in Egitto e Grande Siria, e con un ruolo d’avanguardia della minoranza ebraica. Lo sviluppo del movimento (haraka), terminologia preferita rispetto a “partito” (hizb), si caratterizza

presto per la sua frammentazione interna e la concorrenza tra gruppi, per lo scarso contatto dei militanti col popolo e per la predominanza degli intel- lettuali nelle file marxiste (cfr. Gervasio, 2007). Si tratta di un gap, di una distanza che si è protratta nel tempo, che si riscontra anche nei più recenti movimenti della cosiddetta società civile e che negli ultimi anni è stata solo parzialmente, e timidamente, colmata. Permane però più d’una evidenza dell’influenza di correnti o gruppi politici anche marginali nella storia po- litica egiziana, riscontrabile in particolare tra gli attivisti non integrati in partiti o nell’opposizione “ufficiale”.

La scena politica egiziana è più variegata negli ultimi anni, almeno in apparenza. Accanto alla componente storica dell’opposizione, che com- prende attivisti extraparlamentari, ong e organizzazioni professionali indi- pendenti, troviamo la componente parlamentare – ampiamente screditata prima delle rivolte – che include anche partiti di sinistra come il Tagammu, gruppi liberali come al-Ghad (Domani) di Ayman Nur o piccoli gruppi

d’ispirazione islamista come il partito al-Wasat (Centro). Anche i candidati

indipendenti sono aumentati nelle elezioni del 1990, 1995, 2000 e 2005, seppur legati al Partito nazionale democratico o ad altri partiti. La coopta-

9. Un’altra importante evoluzione è consistita nell’ingresso, nel 1997, alla testa del mini- stero dell’Interno, del generale Habib al-’Adli, anche lui cacciato dalla rivolta popolare del 2011 e arrestato, che ha rafforzato enormemente il ruolo della polizia nello spazio politico (El-Chazli, Hassabo, 2011, p. 189).

zione nel partito unico, inglobante, ha portato alla “dissoluzione della vita partigiana”, secondo Dina El-Khawaga (2003), confermata dalla prolifera- zione dei partiti ma anche dalla debolezza della vita politica. I partiti d’op- posizione sono infatti accusati di essere i clienti del partito maggioritario e dunque del governo. L’organizzazione dei fm, che conterebbe invece circa 1 milione e mezzo di aderenti, ha una solida base sociale e militante, e mal- grado il diverso fine politico è riuscita ad assumere una strategia legalista negli anni di Mubarak, alleandosi col Wafd nel 1984 e più tardi col Partito del lavoro e aumentando così i seggi parlamentari, ben 88 nel 2005 (Ferrié, 2011, pp. 333-5), sino alla conquista della maggioranza col partito Libertà e giustizia durante le elezioni del 2012.

L’ascesa di Gamal Mubarak e dei suoi uomini ha accompagnato la “ri- forma” strutturale del Partito nazionale democratico, spostando il partito al centro stesso del potere, a discapito di altre istituzioni statali. Durante la pre- parazione della successione “ereditaria” – perciò largamente contestata – di Mubarak, sembra esserci stata una maggior sinergia nelle politiche economi- che e sociali e una certa valutazione dei governanti e del loro operato, oltre all’apertura elettorale e ad alcune riforme, per quanto discutibili, allo scopo di cambiare il possibile per conservare ciò che non si deve cambiare9.

Le prime elezioni parlamentari post-Mubarak (novembre 2011-feb- brario 2012) sembrano aver decretato una sparizione, almeno virtuale, del veicolo del clientelismo mubarakiano, il Partito nazionale democratico, portando in Parlamento diversi nuovi gruppi, dal Partito socialdemocrati- co a quello liberale (Egypt Bloc), al gruppo Revolution Continues, gruppi poco incisivi alla luce dei fatti. In un Parlamento dominato dal partito dei fm, Libertà e giustizia (circa il 47% dei seggi) e dal partito salafita Al-Nur (Luce, col 29%), era rimasto uno scarso raggio d’azione per promuovere gli obiettivi delle rivolte (sempre che l’intenzione fosse fino in fondo quella) e resistere alla cooptazione del regime, che ha reso evidente la debolezza dei vecchi partiti di sinistra e liberali (Teti, Gervasio, 2012, pp. 103-4).

Chi sembra godere di miglior salute rispetto ai partiti politici sono le organizzazioni della società civile in Egitto, almeno 30.000 alla fine del 2008: oltre la metà sono associazioni religiose e per lo sviluppo; ci sono poi associazioni per lo sport e per i giovani, social club e cooperative; 115 camere di commercio e dell’industria, 24 sindacati professionali e 22 unioni di lavoratori organizzate sotto una comune federazione, oltre a numerose

10. Oltre il 40% furono organizzate dai fm, ma si trattava dei mesi successivi al rove- sciamento di Morsi da parte dei militari. Alcuni dati sono contenuti nel report di Mahitab (2013).

ong, nonostante la legge 84/2002 proibisca loro l’accesso al finanziamento locale o straniero senza autorizzazione governativa (Hassan, 2011, pp. 7-14).

Anche le associazioni di orientamento islamico, o dominate dagli isla- misti, sono efficienti e attive. Proprio per il divieto legale fatto ai movimenti islamici in Egitto di svolgere attività politica, questi hanno tentato di in- filtrare le associazioni civili (particolarmente tra i sindacati di ingegneri, medici e avvocati) in modo da poter influenzare l’opinione pubblica e mo- bilitare un vasto supporto, tale da costituire una perenne sfida per il regime. Abbiamo già osservato come il ricco panorama associativo egiziano si ri- fletta nell’aumento del numero di manifestazioni di protesta e degli scioperi dei lavoratori durante tutti gli anni Duemila e in particolare negli anni più recenti. Solo nell’ottobre del 2013 si sono succedute oltre mille manifestazio- ni nell’area del Cairo10, con una forte partecipazione studentesca e dei fm,

ovviamente presenti anche tra gli studenti, nel tentativo, tardivo forse, di col- legare metodi e temi delle proteste, incentrati in questo periodo sulla legit- timazione del governo militare insediatosi nel luglio 2013 e sulle restrizioni imposte al diritto di protesta, ma anche contro gli stessi fm e la loro azione.

Proprio il passaggio tra i due regimi, da Morsi ad al-Sisi, ha ulteriormente polarizzato l’opinione pubblica, divisa tra il sostegno ai fm o comunque al diritto per tutti di protestare liberamente e il sostegno a un governo militare legittimato dalla sua dura estromissione di Morsi ma non dalla forte repres- sione che ancora colpisce gli attivisti. Disillusione ma anche senso di respon- sabilità per gli esiti rivoluzionari caratterizzano oggi la gioventù delle piazze.

7.7