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Lo spazio politico della produzione intellettuale

Una generazione di giornalisti, editori, avvocati, scienziati e universitari, proveniente dai gradini più bassi delle classi medie urbane, ha costituito la leadership del movimento studentesco degli anni 1968-72 (contro Sadat e a favore di nazionalismo e socialismo), movimento che fu fondamentale nel- la rivendicazione giuridica (diritti delle donne, dei minori, ambiente ecc.) e nella mobilitazione del tessuto associativo (dagli scioperi della fame alle marce pacifiste verso il Parlamento). Chiamati “nuova sinistra”, forze nazio- nali, democratici, attivisti dei diritti e delle libertà, questi attori furono visti come promotori del processo di democratizzazione e liberazione, quindi occultati dalla scena politica egiziana o accusati d’essere agenti dell’establi- shment (El-Khawaga, 2003, pp. 272-3).

Tuttavia, i tentativi degli attivisti di sviluppare un programma in grado di fornire un’alternativa al partito al potere sono falliti e ciò ha portato alla perdita di credibilità dei gruppi d’opposizione o della loro capacità d’attrar- re supporto e mobilitazione, con effetti diversi anche tra i fm, nelle lotte per il lavoro, tra le ong.

Sotto Nasser e Sadat lo Stato aveva il monopolio della produzione e di- stribuzione della letteratura. Negli anni Settanta, dopo la sconfitta del 1967,

i gruppi marxisti avevano un certo appeal sugli studenti e sui disillusi dalla

politica nasseriana: fu un periodo di forte partecipazione, che diventerà per molti un dovere morale conseguente alle politiche di infitāh e di islamizza-

zione. Molti lavoravano per “al-Ahram Weekly”, all’epoca aperto verso la si- nistra, altri per il giornale “al-Badil”, fondato nel 2007 dai primi membri del movimento studentesco degli anni Settanta; altri ancora hanno pubblicato racconti o memorie sulla propria esperienza e la mobilitazione di quegli anni.

In una recente ricerca (Duboc, 2011) viene illustrata l’esperienza politi- ca di un gruppo di intellettuali di sinistra (prevalentemente scrittori), che è stata riformulata nei decenni, passando da un’aperta dissidenza durante la protesta studentesca degli anni 1972-73 a un certo attivismo in campo letterario, dove diventano più fluidi i confini della mobilitazione e rispetto al quale prendere parte al dibattito politico e dare voce alla coscienza della nazione risponde a un’aspettativa diffusa. Le persone intervistate sono nate tra il 1935 e il 1955, sono laureate in discipline umanistiche o in ingegneria e hanno partecipato alle iniziative letterarie del Cairo, come l’Atelier du Cai- re, lo Zaytoun workshop, lo Short-story club ecc. Quasi tutti hanno lavorato

per istituzioni culturali egiziane, riviste o programmi tv e molti di loro si sono successivamente legati al gruppo Kifaya, al partito Tagammu o ad altri partiti comunisti e nasseristi, pur non considerando tali istituzioni come i canali più appropriati di partecipazione politica. Si ritengono comunque degli attivisti e si identificano come guardiani della nazione, anche se non sono i soli produttori del discorso nazionalista (ivi, pp. 64-71).

La creazione di spazi culturali alternativi veniva allora identificata come una forma di opposizione, che alimenta quell’attivismo informale, fluido, “decentrato”, che fa anche della letteratura uno spazio politico. Pensiamo solo al fatto che nel 1990 fu pubblicata una sintesi delle raccomandazioni della Conferenza internazionale di letteratura islamica, al Cairo, dove si invitava a «islamizzare la letteratura al fine di preservare le nuove generazioni dai pe- ricoli delle idee marxiste, comuniste e laiciste, facendo fronte ai loro principi sovversivi, spiegando al pubblico il primato della letteratura islamica e assicu- randone così il trionfo» (Abu Zayd, 2002, p. 54). Negli anni Settanta, inve- ce, diversi intellettuali laici ricercarono nell’Islam dei segni di materialismo, o elementi nazionalisti e scientifici, per il loro discorso su un Islam compatibile con sinistra, democrazia, scienza, pluralismo (Bamiyeh, 2012, p. 20).

Una nuova traumatica fase per gli intellettuali di sinistra comincia negli anni Ottanta, con l’ascesa dei movimenti islamisti e il collasso della sinistra a causa delle divisioni interne e dell’esilio di tanti, ma anche della coopta- zione da parte del regime di Mubarak. La riconciliazione col potere, laddo- ve si è verificata, li ha ulteriormente indeboliti come forza d’opposizione e

4. Così lo scrittore Alaa al-Aswany ad esempio, tanto critico sul regime di Mubarak quanto timido rispetto all’azione dello scaf. Sugli intellettuali “rivoluzionari” o “conserva- tori” cfr. Bishara (2013).

nella capacità di influenzare e orientare parte della società. A sua volta, la minaccia percepita dal regime ne ha suscitato la reazione repressiva, i cui effetti hanno potuto frenare, strutturare o modificare sul lungo termine l’a- zione protestataria delle opposizioni (che si trattasse di movimenti marxi- sti, panarabisti o islamisti, dell’attivismo operaio o studentesco).

La pesante coercizione esercitata contro i movimenti di opposizione in molti paesi (non solo nord-africani) ci porta a considerare gli effetti comples- si e perversi della repressione e della radicalizzazione degli stessi (Vairel, 2011, pp. 30-2). Duboc (2011) osserva come le diverse teorie dei movimenti sociali argomentano che defezione, disillusione, repressione e istituzionalizzazione, combinate in diversi gradi, portano alla demobilitazione. Ma vanno anche considerati i meccanismi di resistenza a questi stessi fattori, le fasi dormienti, la fatica sociale e altre dinamiche e divisioni interne ai movimenti di dissenso, oltre ai condizionamenti esterni, che si traducono – ancora oggi – nell’inca- pacità di articolare un fine politico e realizzarne la progettualità.

Affinché l’esperienza della generazione di intellettuali qui citati non vada persa, ma sia invece capitalizzata nella fase attuale, bisognosa di un orientamento forte, è importante tentare di preservare le radici storiche del cambiamento possibile. Certo l’attività intellettuale non consiste uni- camente nell’elaborare la logica di un argomento, ma nel riconoscere i li- miti e le aperture permessi da un dato momento storico (Bamiyeh, 2012, pp. 14-20). Non è scontato però che questa attività “critica” dell’esistente sia appannaggio di scrittori, artisti o professori, né è scontata la loro adesio- ne alla rivoluzione. Anzi, diversi scrittori o personaggi pubblici che hanno manifestato contro l’ex regime hanno poi taciuto sui crimini commessi dai militari nella fase post-rivoluzionaria4.

Se esiste una vasta letteratura su specifici intellettuali mediorientali, tro- viamo pochi studi sistematici sul loro ruolo in quanto categoria sociale e “pubblica”, anch’essa cooptata dal regime. Secondo Bamiyeh (ivi, pp. 7-11), il moderno autoritarismo va correlato al generale indebolimento dell’au- torità degli intellettuali nella società e alle possibilità limitate di renderli organici ad essa, in senso gramsciano. L’intellettuale cioè può essere un pro- dotto o il produttore del gruppo sociale e della comunità che rappresenta; trae le domande dalla complessità del quotidiano; la sua è attività quoti- diana (non necessariamente professionale); tende ad avere una connessione “lieve” con l’alta cultura; la sua pragmaticità consiste infine nell’abilità di trasformare la realtà anche quando vuole preservarla.

5. Nel 2001 furono registrate 49 proteste da un unico giornale; nel 2008 furono cen- tinaia, ancora aumentate negli anni seguenti, secondo quanto riportato in El-Ghobashy (2011).

All’interno di questa cornice teorica possiamo forse includere la dimen- sione creativa nata dai tragici eventi rivoluzionari, a testimonianza che la resistenza passa anche per canali alternativi e propositivi. Pensiamo alla pubblicazione di numerosi libri fotografici da parte della American Uni- versity in Cairo, alle mostre in centri culturali, gallerie o università pub- bliche e private, dove si espongono i lavori dei fotoreporter e degli attivisti (sempre diffusi in rete), o ai muri intorno a piazza Tahrir, continuamente colorati da significativi graffiti che sfidano i divieti e la narrazione ufficiale degli eventi più duri, come la morte di tanti attivisti nella battaglia della via Muhammad Mahmud (la stessa dell’Università americana) nel novembre 2011 e purtroppo anche durante i successivi anniversari.

7.5

Dentro le università. Il movimento studentesco