• Non ci sono risultati.

Dentro le università Il movimento studentesco non è la somma degli student

Abbiamo visto come dagli anni Duemila, al Cairo, ad Alessandria e in altre località egiziane, ci sono state molte manifestazioni per denunciare l’occu- pazione israeliana della Palestina, il piano di pace saudita, le relazioni diplo- matiche del paese con Israele e gli Stati Uniti, la guerra in Iraq nel 2003, la corruzione e la degenerazione interna al paese che soffocano le libertà e le aspettative giovanili5. Il fulcro di tante manifestazioni è spesso (da decenni

ormai) costituito dagli studenti universitari, in particolare dell’Università pubblica del Cairo e di Alessandria, della American University in Cairo e dell’Università 6 ottobre, secondo un rinato attivismo studentesco che rimanda alle proteste giovanili degli anni Settanta.

L’università occupa un ruolo molto importante per la formazione su- periore delle giovani generazioni e rappresenta anche per questo un luogo di conflitti e tensioni, che certo si iscrivono nella società globale, ma seguo- no anche dinamiche proprie, legate a sfide vecchie e nuove e alla mobilità sociale, alla scarsa modernizzazione del sistema d’insegnamento e ai suoi riflessi sul tessuto culturale e sociale. Se ciò non ha sempre comportato una presa di coscienza e di elaborazione da parte di insegnanti e studenti, va comunque approfondito il recente attivismo all’interno dei campus.

Le università sono nuovamente il luogo dove si concentrano le proteste e anche gli scontri; recente bersaglio di attentati tra il 2013 e 2014 e quindi

6. Pro-Morsi Students Demonstrate on Multiple Egypt Campuses, in “Ahram Online”,

27 ottobre 2013, http://english.ahram.org.eg/NewsContent/1/64/84874/Egypt/Politics-/ ProMorsi-students-demonstrate-on-multiple-Egypt-ca.aspx (consultato il 28 ottobre 2013).

simbolo da colpire. Ad esempio, decine di studentesse hanno formato un gruppo chiamato Ultras Azhari Girls, per difendere la legittimità dell’ex presidente Morsi; gli studenti fm dell’Università di Helwan si sono scon- trati con i loro colleghi che supportavano le forze armate, a loro volta pro- vocati dai canti pro-Morsi di altri studenti che mostravano il segno delle quattro dita, simbolo della protesta presso la moschea Raba’a al-Adawiya, repressa nel sangue dall’esercito nel 20136.

L’apogeo del movimento studentesco si ebbe però negli anni tra il 1968 e il 1977, gli anni di maggior sviluppo della classe intellettuale, che furono molto importanti per la formazione di un’identità politica, poiché i temi e le rivendicazioni furono prettamente politici, dal socialismo al conflitto con Israele.

Il dopoguerra del 1973 vide la moltiplicazione di club di pensiero poli- tico, nasseriani e marxisti, e delle organizzazioni trotzkiste, e un notevole dinamismo culturale, fatto di incontri di riflessione e dibattiti pubblici, pubblicazione di riviste, musica e letteratura. A livello politico emersero presto delle divisioni: alle elezioni delle unioni studentesche, dove si oppo- nevano nasseriani, marxisti e filogovernativi, seguì il dibattito sull’adesione al regime di Sadat: controrivoluzionario per i nasseriani, erede del predeces- sore per i marxisti. È in questa dialettica che si inseriscono i dirigenti storici dei fm, rilasciati dagli arresti sotto Nasser, e le jam’iyyāt islāmiyya illustrate supra, nel cap. 1, da Patrizia Manduchi, che tentano di rimpiazzare il movi-

mento della sinistra studentesca, intellettuale ma “entrista” e in fin dei conti lontano dalla massa studentesca, perché interessato più alle questioni ideo- logiche che reali. Al contrario, le jam’iyyāt, con la loro propaganda religiosa

e il sostegno, anche finanziario, a coloro che avessero problemi quotidiani, si avvicinavano alla massa (Faraj, 1990, pp. 79-80). Si è insomma delineato a partire da questo periodo un conflitto tra due modelli, malgrado la prove- nienza sociale simile dei loro attori.

Con le rivolte del pane nel 1977, proseguite nei mesi successivi, i movi- menti studenteschi assumono un profilo sempre più basso e la sinistra per- derà ancora consensi. Dal 1979 la lotta politica ai movimenti studenteschi si avvale di un decreto per dissolvere i gruppi d’azione politica e negare auto- nomia alle unioni, così i club nasseriani e marxisti entrano in clandestinità. La cooptazione di amministrativi e docenti nel Partito nazionale democra- tico ne favorisce ormai la preponderanza nei consigli rappresentativi degli studenti, e al contempo il controllo da parte dei servizi di sicurezza si fa

sempre più stretto. Le jam’iyyāt (interdette formalmente nel 1981) si spo-

stano allora dalla facoltà alla moschea, mentre alcune attività andranno a confondersi in altri settori (dal sociale all’informazione).

Ad eccezione delle jam’iyyāt islāmiyya, tutti i movimenti politici erano

dominati dalla generazione che aveva vissuto, per ultima, un’esperienza po- litica plurale e diretta all’interno dell’università negli anni Settanta, nell’era post-nasseriana. Con Mubarak invece si cercherà di far sentire la propria voce e insieme gestire le contraddizioni ereditate nel decennio precedente, che per la gioventù studentesca degli anni Ottanta è già storia (Faraj, 1990, p. 78).

Per tutta risposta, negli anni Novanta si fa dura la lotta all’islamismo (con la chiusura, tra l’altro, di centinaia di moschee private), si applicano leggi più restrittive per le elezioni delle unioni studentesche e, nel 1994, vie- ne emendata la legge sulle università per porre fine all’elezione di rettori e docenti, che saranno invece nominati dallo Stato (Kandil, 2011, pp. 54-7). La questione sicurezza prende dunque piede nei campus universitari, con trup-

pe stazionate al loro interno e guardie armate che sono divenute un elemento

fisso della vita universitaria. Al fine di prevenire una reazione violenta da parte islamista e indebolire ulteriormente il movimento, attraverso il codice penale e la legge sulla sicurezza di Stato del 1992 si estese la definizione di terrorismo a ogni azione di disturbo dell’ordine pubblico o che ostacolasse il lavoro delle autorità statali.

Attraverso tale manovra, il regime di Mubarak ha giocato la carta della

democratizzazione e della giusta alternativa all’islamismo, anche di fronte agli Stati Uniti. Di contro, la Fratellanza non ha nemmeno tentato di capi- talizzare il malcontento derivante dalla corruzione e dall’inefficienza statale, che coverà negli anni sfociando nell’attuale stallo (contro)rivoluzionario.

Un ruolo particolare nell’elaborazione del dissenso spetta da sempre all’Università di al-Azhar, a partire dalla partecipazione al movimento nazionale contro le potenze coloniali francese e britannica, sino a tempi recenti, sebbene l’Islam ufficiale che essa rappresenta si sia inizialmente pronunciato contro le proteste del 2011, per poi cambiare opinione dopo le prime giornate in piazza. Allo stesso modo il papa Shenuda aveva racco- mandato ai copti di non partecipare, ma gli Egiziani si sono riversati nelle piazze del loro paese in massa, senza distinzione confessionale (anch’essa cavalcata strumentalmente), almeno nei giorni drammatici della repres- sione delle forze di sicurezza, con la formazione di comitati spontanei in- terconfessionali che hanno evidenziato il carattere popolare e prettamente secolare della thawra, la rivoluzione (Gervasio, Teti, 2011, pp. 6-7).

Dopo il 25 gennaio, lo shaykh Ahmad al-Tayyib, presidente e grande

7. È anche aumentata la concorrenza dei predicatori esterni e dei loro discorsi politiciz- zati in campo teologico, giuridico, rituale e critico degli azhariti (in particolare sono prolife- rate le fatwa da parte dei predicatori dei canali satellitari, del Golfo soprattutto). La politica

dottrinale resta dunque un dossier delicato, nonostante lo shaykh Tayyib, in carica dal 2010,

abbia aperto un nuovo dibattito (Fattah, 2012, pp. 67-70).

legge sul ruolo dell’università e le sue funzioni nel nuovo contesto politico. La crisi di legittimità della “bomba religiosa” al-Azhar (come è stata defini- ta dal professor Mahmud da me intervistato nel novembre 2013) continua durante la rivoluzione, avendo prima appoggiato il regime e poi i rivolu- zionari. Probabilmente esistono dei conflitti interni tra le correnti salafite e tra queste e i fm, per conquistare maggiore autorità nel campo religioso. Al-Azhar non sembra essere riuscita ad adattarsi ai cambiamenti contempo- ranei, né a formulare delle nuove proposte, nemmeno in ambito teologico e giuridico, tant’è che centinaia dei suoi studenti, affiliati ai fm, hanno prote- stato per chiedere le dimissioni del presidente Tayyib7.

Un altro dato da sottolineare è costituito dalla moltiplicazione delle università private in Egitto, che sembra aver preso il posto di una riforma (necessaria) su vasta scala del sistema pubblico d’insegnamento superiore, lasciando che l’aumento degli interessi privati plasmasse anche l’interesse pubblico. L’idea del finanziamento delle università private, che coprireb- bero una fortedomanda di modernizzazione, è stata in passato sostenuta dall’opposizione liberale, rifiutata dall’opposizione di sinistra, con molte obiezioni dei club di insegnanti e altrettanteriserve del Consiglio nazio- nale dell’insegnamento.

Tale scelta si riflette sul peso delle università del Cairo e di Alessandria in particolare, che attirano il maggior numero di studenti, e dunque di mo- bilitazioni, mentre in provincia sono ancor più diffuse le carenze del siste- ma educativo.

Dai banchi universitari è comunque emersa una generazione di “in- tellettuali” ancor oggi influenti sull’opinione pubblica e sulle modalità di espressione del dissenso, ma è evidente come la soluzione delle privatizza- zioni, in molti settori, lasci protrarre l’obsolescenza e i difetti strutturali del sistema di governo: un regime autoritario che ha tentato di limitare il ma- lessere e lo scontento diffuso. Il sistema educativo egiziano soffre da decen- ni di una profonda crisi, a causa di un carente approccio pedagogico e della povertà dell’offerta didattica e dei mezzi necessari, nonostante gli sforzi di molte università, pubbliche e private. Si può allora parlare di uno smacco inevitabile dell’università di massa in relazione a quello scarto fra tenden- ze capitaliste e infrastrutture socialisteggianti ereditate dagli anni Sessanta (Faraj, 1990, pp. 69-73)?

8. La mobilitazione degli islamisti nei sindacati professionali acquista una certa impor- tanza perché i sindacati costituiscono uno spazio d’azione legale e di dialogo col potere, dove poter esprimere un rapporto normalmente teso, e in più riduce le possibilità di un’e- ventuale radicalizzazione degli attori sindacali islamisti (Kandil, 2011, p. 51).

Sarebbe interessante indagare sulla partecipazione alle manifestazioni di piazza degli studenti delle decine di università private presenti in Egitto, sempre più lontane dal centro dellecittà e anche dalle problematiche so- ciali. Basti pensare all’alto costo delle tasse universitarie, che si riflette sulla selezione degli studenti.

Il carico importante dei diplomati senza opportunità lavorative si fa oggi imponente, mentre era riuscito precedentemente a sfogarsi nell’apertura economica e con l’emigrazione verso i paesi del Golfo, dove in tanti hanno potuto sperimentare una riuscita, economica e professionale, individuale. La non coincidenza tra capacità, formazione e mercato del lavoro ha pro- vocato una significativa emigrazione nei paesi petroliferi, creando però un senso di frustrazione (da status) tra i professori rimasti, aspiranti a loro volta

all’emigrazione. In seguito, oltre all’aumentato benessere, il ritorno dall’e- migrazione ha generato un effetto di re-tradizionalizzazione dei costumi nella società in generale: non rientravano solo gli uomini d’affari, ma la co- siddetta borghesia pia si è nutrita anche di nuovi educatori. È importante evidenziare come, proprio dagli anni Ottanta, gran parte degli insegnanti di arabo e di religione si affiliano alla Fratellanza musulmana, che controlla- va anche le unioni studentesche universitarie, cioè la forza politica più forte nell’espressione del malcontento giovanile e studentesco. Dal 2000 i fm sono diventati attivi (sempre grazie ai fondi del Golfo) anche alla American University in Cairo, tradizionalmente considerata un bastione delle élite

secolari, all’interno dei sindacati e nei media8.

7.5.1. il corpo docente e gli studenti universitari: un unico movimento?

Parliamo di movimento studentesco perché i suoi membri sono gli studen- ti e il teatro delle principali rivendicazioni l’università, sin dai tempi delle lotte di liberazione nazionale. Il movimento è un punto di raccordo, poiché l’accademia è il luogo di formazione del discorso e degli intellettuali, dove “tradurre” le parole degli altri, in nome dei quali si parla.

Le università hanno svolto un ruolo importante nella rivoluzione egiziana, anche se sembra ancora complicato misurarne la portata, per via soprattutto della contrapposizione più recente fra membri o simpatizzanti della Fratel- lanza musulmana e attivisti laici. Come caratterizzare dunque il movimento

degli studenti? Quale relazione s’instaura tra studenti e docenti in relazione al movimento studentesco? La relazione più o meno stretta tra le due compo- nenti – se possiamo considerarle entrambe come componenti di uno stesso movimento – si riflette sul suo rafforzamento oppure sul suo indebolimento. Una certa cooptazione del corpo docente universitario da aprte del regime è infatti segnalata ancora oggi, sia presso quanti aderiscono alla Fratellanza, sia presso i docenti “laici”, timorosi – a detta del professor Mahmud – di perdere certi privilegi, come l’aumento del salario deciso dall’ex presidente Morsi.

E ancora una volta, l’esempio viene da lontano, con i club degli insegnanti che hanno seguito la traiettoria politica che va dalla vicinanza alla sinistra all’avvicinamento a correnti islamiste, specialmente a partire dalla metà degli anni Ottanta; lo stesso è accaduto per studenti, assistenti e nuovi reclutati.

Nel 1973 i docentiirrompono sulla scena politica per la prima volta dopo il 1954: una sessantina di loro firma una petizione contro l’arresto dei leader studenteschi, per sottolineare il loro appoggio al movimento. Più tardi, nel 1989, si assiste a un grande sciopero degli insegnanti, anche se ufficialmente si cercò di sminuire simili episodi in quanto presa di coscienza collettiva, di un “corpo” docente (Faraj, 1990, pp. 74-5).

Per quanto riguarda il rapporto con gli studenti, vi fu un innegabile so- stegno volto a proteggerli dagli abusi polizieschi e amministrativi, col rifiuto della regolamentazione autoritaria e del controllo delle attività studentesche, e con la partecipazione simbolica alle manifestazioni. Ma raramente i docen- ti hanno promosso il movimento dentro l’università. Quand’anche abbiano adottato un discorso contestatario, questo è sembrato legarsi più alla conser- vazione e alla logica corporativista. Più in generale, la mobilitazione degli in- segnanti va accostata, secondo Faraj (1990), a quella dell’insieme dell’intelli- gentsia egiziana, caratterizzata paradossalmente dal montare dell’islamismo

all’interno dei due ambiti che si incrociano e legittimano reciprocamente. Tutti questi slittamenti da un ambito all’altro, dove entra anche l’ele- mento religioso, evidenziano quanto sia composita e mobile la società civi- le, al di là di ogni generica definizione socio-politica.

Poco cambia nell’era Mubarak, se non per il ritorno della maggioranza degli studenti nei consigli delle unioni (con partecipazione al voto intor- no al 40%). I temi mobilizzatori non concernono tanto questioni dirette e pratiche, ma sono gli stessi degli attori politici a livello nazionale e vedo- no comunque un certo conflitto interno ai gruppi. Nel 1986 le liste delle

jam’iyyāt conquistano la totalità dei seggi, diminuiti solo in parte più tardi,

senza comportare però un avanzamento della sinistra.

Mentre l’islamizzazione avanza dentro l’università, si continua però ad agitare lo spauracchio dell’islamismo radicale per rafforzare il controllo.

Anche la stampa inizia a parlarne, denunciando la condotta delle jam’iyyāt

che cercavano d’imporre la separazione dei sessi, l’interdizione di attività artistiche, il rigore; pur essendo irriverenti verso i docenti, si mostravano più indulgenti verso alcune loro rivendicazioni in nome dell’etica.

Nonostante il minor intellettualismo e sporadiche sollevazioni del movi- mento (su temi più generali) negli anni Ottanta rispetto al decennio prece- dente, non si può ancora parlare di spoliticizzazione (Faraj, 1990, pp. 81-2).

Il cambiamento dei temi delle proteste e delle rivendicazioni negli anni diventa un’importante chiave di lettura per l’analisi delle stesse in momenti politici diversi.

7.6

Verso quale società civile?