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conveniva il fior dei letterati, dove improvvisava il ce- ce-lebre De-Lorenzi, autore del poema La coltivazione dei

monti, sia in ogni Hotel Rambouillet, che si aprisse nelle varie città del

Veneto

e dell’alta Italia all

1

in-gegno

ed al blasone: e dove si trattenevano

piace-volmente

satirici, confidenziali in quanto si trovassero fra loro semidei, sdegnosetti,

ma

creanti e protettori dei piccoli.

Il qual Hotel Rambouillet è aneli1 esso gloria

italia-na

e veneziana, poiché la era Pisani di casa sua, figlia di padre e

madre

italiani, quella

madama

Rambouillet, che figura fra le distinte

donne

francesi del secolo di

16

Luigi

XIV. E ben

fece a rivendicare, anco questo van-to patrio Antonio Caccialiiga, nel suo Dolce

far

nien-te, rimproveroche alui

non

va.

A

ciò

potremmo anche aggiungere come

la

prima

inventrice del

romanzo

fos-se

un

1 altra italiana di Parigi,

madamigella

Scuderi.

Ben

diverso da

Pindemonte Ugo

Foscolo di cui,

quantunque

greco, più che italiano e veneziano, io

devo parlare perchè è gloria nostra, perchè riposa in

Santa

Croce, perchè ha nel nostro

Panteon una

bella la-pide, fatta erigere dai fratelli Papadopoli e perchè alla gloria sua è strettamente legata quella d’Ippolito:

ben

diverso, in lui si trova

non

il letterato nè il patrizio,

ma

T

uomo

ed il genio,

grande

nelle aberrazioni e neghi ni-poti.

Gemme

di poesia squisitissima uscirono dalla

pen-na

dorata di

Pindemonte

!

ma

senza il

monumento

eter-no

di poesia che

Ugo

elevava a sè stesso coi Sepolcri, Ippolito

non

avrebbelasciata

una

così splendida

memo-ria di sè,

coll

1

Ar

minio, nè collatraduzione dell1 Odis-sea,

con l

1

altre per quanto perfette composizioni.

La

risposta ai Sepolcri colloca

Pindemonte

allatto di

Ugo,

coi qualerimarrà fin che ci sia Italia, e fin che

un

raggio di poesia la rischiari.

Di fatto ei son degnil’

uno

dell

1

altro, quei due astri fratelli, che, partiti da punti lontani della società civi-le, si trovano e si

congiungono

all’altezza dell

1

arte.

Foscolo nella selvaggia attitudine del partigiano e del democratico, nutrito, dicelaIsabella Teotoclii, di

subli-mi

e forti idee, tutto dedito a

maschie

passioni, uso a parlar libero fra i Bruti della Neo-Cisalpina,

immenso

nel

carme

dei Sepolcri, pur vi dimenticaDioe lasperanza.

Più

sereno e sicuro il cigno di

Verona

nella sua

casti-17

gata e severa risposta, lo rimprovera, e toccando della perduta Elisa, e alla fede di rivederla, chiude con

un

pensiero pietoso:

«

Ma

sotto a qual sembianza,e in quai contrade Dell’universo nuotino disgiunti

Quegli atomi, ond’Elisa era composta Riuniransi, e torneranno Elisa.

Clii seppe tesser pria dell’uom la tela Ritesserla saprà: l’eterno Mastro Fece assai più, quando le rozze fila

Del suo nobil lavor dal nulla trasse;

E allor non fia, per circolar di tanti Secoli e tanti, indebolita punto,

invecchiata la man del Mastro eterno.

Lode a lui, lode a lui sino a quel giorno. »

Da

tutto questo, intenta

come

sono, a cercare nel presente studio più lo spirito della forma, io concludo che se

maggior

nervo di robusti pensieri e

maggior pompa

di veste troviamo nel Foscolo,

maggior

altezza di filosofo s

1

appalesa in Pindemonte, il quale tuttoché patrizio e di quelli co’ fiocchi,pure ènobilmente liberale perchè è religioso, riuscendo così più insinuante e pro-fondo.

E

T

anima

esulta nell’ udir questo cigno, inspira-to agli estri « malinconici e cari » dir qualcosa che si-gnifichi e penetri di più del nulla, vederlo gettar fiori celesti sulla voragine aperta dell’

ingegno immansueto

e tutto volteriano di

Ugo

Foscolo.

Sereno morì

indubbiamente

Ippolito.

Ugo,

rifletten-do alla sua morte, si esprime così : « Spero

eh

1 io

mo-rirò con coraggio

— ma

poi

soggiunge —

forse. >%

L’entusiasmo per questi due incliti, a cui perchè

la triade fosse completa si unì con pochi e valenti

ver-si il Torti, deve essere stato

ben

grande, se nella nostra

3

18

adolescenza,

un

trent’ anni fa, ci giunsero all’

anima

sonanti ancora le oscillazioni prodotte dal concerto di quelle tre arpe maravigliose, e ne

sentimmo

in parte la

prima

dolcezza e il prestigio.

La

povera Italia costretta a cantare, per

non

po-ter fare altro, si concentrava in quelle delizie, vi si ap-passionava, e vi consacrava quella vita, che

non

poteva impiegare in cose più importanti.

Le

sue rime, le sue note erano per essa quello che è la

musica

all’infelice od al cieco, illinguaggio d’ un’azione

non

a tutti cono-sciuta,

ma

che basta a

mantenere

viva in chi la intende

una

segreta potenza.

Di fatto ognilibro, ogni orazione, equivaleva ad

un avvenimento

presso la gente colta d1 allora.

Se ne

oc-cupavano come

d’

una grande

battaglia,

come

d’

un

di quei regni che

Napoleone

faceva scaturire dalla terra improvvisi, al battere della

magica

verga.

Ne

parlavano nei geniali conviti, nei club liberali, nelle dotte assemblee, nelle splendide veglie delle

dame

letterate.

E

ciò

mi

riconduce naturalmente alle case

nobilis-sime

della Giustina Render Michiel e della Isabella

Teo-toclii Albrizzi, alle lucide sale,

dove

oh! qual accolta di eletti personaggi, che

convegno

di illustri d’

ogni

ra-mo

di sapere, d’ogni

grado

e d’ ogni paese.

Io

non

conosco

nessuna

casa d’ Italia che venisse allora piìi celebrata di quelle, e tenuta in

maggior

con-to, dacché ivi si fosse ritirato, per così dire, lo spirito

moribondo

d’

una grande

oligarchia,

come un

animale