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Narrano le cronache come Carlo Magno, vedendo prevalere alla sua lingua, alle fogge di vestire, ai

costu-mi

teutonici, lingua, fogge e costumi gallo-romani, si rifiuta a cambiarli, e ordina che

almeno

ei sian

prezio-samente

raccolti e conservati per l’avvenire.

Non

altri-menti

pietosa fu la cura della nostra inclita donna.

Di molte altre opere minori edite ed inedite è au-trice la Michiel, alla quale bastò l

1

animo

di rimbeccare

20 —

Chateaubriand,

quando

di

Venezia

scrisse, «città contro natura ;»

— au

dessus de la nature

, replicò ella in fran-cese,

m una

risposta stampata, tradotta, applauditissi-ma.

Ma

riservandomi riparlare dellaegregia| che fuanco traduttrice di Shakspeare, io tralascierò l’elenco dei suoi scritti,

parendomi

clic basti

un

solo titolo glorioso,

fa-moso

e

degno

veramente, quello delle Feste Veneziane.

Erede

del

nome

di famiglia, della riputazione let-teraria e delle illustri conversazioni della contessa Giu-stina, fu la nobil

donna Adriana

Renier,

vedova

del celebrato

medico

e scrittore dottor Paolo Zannini, nella quale pare trasfuso quel gentile spirito di coltura e di patriottismo.

Ora veniamo

alla IsabellaTeotochi,greca dinascita, nata a Corfù nel 1760,

morta

a Venezia nel 1836,

mo-glie in primi voti al conteMarini di Venezia e in secondi al conteAlbrizzi,

ambedue

veneziani,laqualeci lasciò

una

galleria diRitratti, ch’ellacon

penna

vivacissima,quanto scorretta nello stile e nella scelta dei vocaboli,

segnò

dal vero, e

dove

più che 1’ altrui impresse lapropria effigie.

Diròmegliocapricciosetta, amabile,profondasisente eziandio nella sua

maniera

di scrivere l’ascendentedei personaggi da essa dipinti

; Cesarotti, Foscolo, Alfieri,

Pindemonte*-

De-Non,

Chateaunéuf, dardeggiano in quelle carte i loro sorrisi, ch’olla ritrae con la sua vita, pcnnelleggiando franca ed a sbalzi.

« Gli occhi,lo sguardo,le ciglia,la bocca, tutto par-la: pure

non ha

volontà.

Se

è invitato

cammina, benché

stanco, pranza sortendo da

un

pranzo, s’ alza

appena

coricato, ritorna a letto alzato appena, e per compiacere altrui mostra d’occuparsi del gioco più frivolo, con lo stesso trasporto con cui scrive

una

deliziosa

anacreon-—

21

tica ». Questo è il primo periodo del ritratto di France-sco Franceschinis matematico, poeta, legista. Molte al-tre scritture

compose

la valente

dama, ma

io accen-nerò la Vita di Vittoria Colonna, quella della

Renier-Mi-chiel, laApologia della

Mirra

di Alfieri, che destò molto

:rumore, e riportò il premioin

una

curiosatenzone fra la Isabella ed

un

talArteag-a, avverso all

1

opera dell1 astigia-no. Dico destò rumore,

ma

poca riconoscenza in Alfieri a Cui presentatasi, con lettera del

comune amico

Cesarot-ti, in Firenze, la Isabella fu ricevuta freddamente,

ond

1 ella nelle sue lettere se ne lagna. Alfieri però era vecchio, e chi, fuorché Dio, conosce la miseria del poeta

a’ suoi ultimi anni?. .

Dtd resto

non

negli scritti soltanto la Teotochi ap-parisce bizzarra,

ma anche

la sua vita corse

avventure non comuni

e adesso impossibili. Aneddoto

chiama

il suo biografo Meneghelli quel divorzio chiesto ed otte-nuto, pel quale la Isabella

venne

sposa all’Albrizzi, an-cor vivo Marini.

Ma

anco il

buon

abate

Padovano

si ve-de

santamente

conquiso dal prestigio della Diva. Il ri-tratto eli

1

ei ne fa

non

è di creatura

umana:

pare

una

pittura alla Boucher, in cui i contadini

han

vesti di seta e graziepunto naturali.Ei

dunque

vede tuttobello, tutto celeste, tutto sublime.

Cosa

credere d1

una

vita, eli

1

è

un

1 apologia?

Venezia

non

fu sola il

campo

delle sue splendide gesta aristocratico-letterarie,

ma Roma

la accolse, illu-stratrice delle opere di

Canova,

che le donò ilbusto di

Elena:quindi Parigividebrillarequellastellad’orientenel suo cielo e alla Corte di Luigi

XVIII

re filosofo,

ritor-nato sul trono precisamente per accogliere con bei

mot-ti e sali attici

una

illustre pellegrina

come

questa, che

— 22 —

egli poteva benissimo apostrofare di Staèl venezia-na, secondo già avea fatto l’Alcibiade inglese,

Lord

Byron.

Non

chiuderò di lei senza

nominare

il suo ri-tratto dipinto dalla

Le

Brun, posseduto dalla

vedova

del

Conte

Marini;ritratto, che entra nellaletteratura dac-ché egli solo die1 motivo a

un volume

di versi in italiano, in dialetto, in latino, in francese e dai quali traspare chei poeti,giàdipinti dallanobile greca,erano tutti presi della bella

immagine,

e

anche un

pochino dell1

origina-le.

La

possedeva tante attrattive quella

dama

« bela

,

zo-vene, elegante, leterata » simile alla

marchesa

Malaspina

di Gritti, e si intende

come

senza opere dipolso la levas-se tal grido e chequello che le

mancava

nellostile la lo

aveva

negli occhi !

Compie

latriade

una

celebre donna, che

ha

lasciato poco e pur troppo per causa sua.

Fiorenza

Vendramin,

sposa a Luigi Sale,

madre

di Cornelia

mia

madre, nata in

Venezia

V

anno

1773,

morta

nel 1797, poetessa, autrice di prose francesi e

i-taliane, e pittrice.

Di

lei restano

un dramma

intitolato

Maria

Antoniet-ta, molte canzoni, idilli, apologhi, epigrammi.

Un

ritrat-to di sua sorella

Maria

sposata nel

marchese

Ricci, il

qual ritratto dice di sé, della suora e del tempo. Scritto in francese, io

mi

riservo a darlo per intiero nelle

me-morie della

mia

famiglia, già incominciate.

Come

il genio di questa

donna

restasse vinto dalla passione io

non

dirò ora,

ma

chiuderò con questi pochi versi, che a quella bell

1

anima

traviata, dal suo stesso fuoco, serviranno d’assoluzione ed epigrafe:

Santo in seno un’alma forte, CIPè talor di me maggiore.

Le vie cerco dell’onore, Sul cammin della virtù.

Son del bello ammiratrice, Del mediocre son tiranna, Sol mi cruccia, sol mi affanna Pregiudizio e servitù.

Intorno agli astri di quell

1

empireo, molti altri pianeti

s

1aggruppano.

Primo annovero

VittoreBenzou, natoa

Venezia

Fan-no 1779,

morto

nel 1822. Patrizio, poeta e galantuomo,

mi

par nobile cosa presentarlo con

un

bel verso d1

un

poeta concittadino, patrizio e galantuomo, il cavaliere Antonio Angeloni-Barbiani, che nei giorni del nostro do-lore, invocatala

musa

in

un

elettissimo

carme

le diceva:

Per questa vaga dell’adriaco mare Già sposa e donna, ove con tanto ricca

Onda di versi il nobileirrorasti Cor del Patrizio, che le avite imprese Altamente cantò....

E

se ciò sia,

mostrano

i

componimenti,

poiché