Pietosa donna, scolara di Barbieri; incensurabile nella vita e nello scrivere, straordinaria perchè fe
1 sua
una maniera
di dettato propria più che altro degl1 inge-gni virili, e che le valsefama
fra le migliori cultrici della poesia italiana.Nè
la Teresa AlberelliVordoni
è la sola che cidesse in sul cadere del secolo scorso Verona.
Postaa
mezzo
dellagran
Valle delPo,sotto 1 gioghi delle Alpi tirolesi in distanza, eimmediatamente
alpiede dei colli lessinei, che letemprano
col sorriso di verdi e fiorite falde il severo dellecime
alpine; città ora terrore, ora
schermo
d1 Italia, quel paese dà frutti chehanno
il sapor del mele e del ferro, l’odor della tuberosa e della polvere, estremi in tutto ed in tutto efficaci.E
cittadino della forte città ghibellina fuquel-l 1
Antonio Cesari che, irritato dallo imbastardirdella
lin-gua, per opera del Cesarotti e dei suoi seguaci, volle ritornarla alla primitiva purezza.
Nato
nel 1760, educato ai più severi studi di gram-matica, retorica, filosofia nelle scuole del seminario,ap-pena
entratagli nellamente
questa nobile idea, ei vi si-
12appassiona, c nulla più trascura per trionfare nel suo nobile intento.
Scende
incampo
risoluto, combatte senza tregua,non
pensa ad altro; se potesse vivere senza
dormire
e senzamangiare
gli parrebbetempo
acquistato alla sua nobile impresa.Nò
per attuare Vambito rinnovamento
egli sta
pago
a predicare altrui,ma
cene
porge egli stesso besempio.Traduce
VImitazione di Cristo, Orciaio, Terenzio, leLettere diCicerone: novelle, dissertazioni, dia-loghi, rime, tutto gli èmezzo
a conseguire il suo fine.«
Che
in esse, scrive il Maffei, si mostri poeta,rimane
dubbio»perchè molti,aggiungo
io, sonoi chiamati,pochigli eletti
;
ma
in ogni suo lavoro o proprio o tradotto im-prontail classico carattere italo-latinodei trecentisti,che del suospiritodivennero,come
si suol dire,il succo ed ilsangue.
Tanto
studiava indefesso, cheDante
egli l’ebbe, a maestro e donno,perben
quarantanni.Se
fosse troppo senon
vestisse, studiando molto sui morti,una forma
contorta di periodi artefatti, trasposizioni di epiteti e verbo in punta, con certe grazie niente naturalicome
di chi cene
vuol mettere per forza, ionon
dirò.Le
lettere che di lui rimasero e nelle quali dovea, suomalgrado, conservarsi più famigliare e semplice, riescono più facili alla lettura di quellochele dissertazioni, gli opuscoli filo-logici, perchènelleletteresigiovava
di ciò, chelalingua viva del dialetto toscano gli avea appreso, a lui precur-sore di Bresciani, Giuliani,Tommaseo
eManzoni.
Osser-vo anzi chel’acume
del nostro linguista, appare tal volta vivissimo e supera il rigorismo del pedante,come quando
inuna
lettera all’abate Pederzani egli afferma codesto. « I suddetti signori del Poligrafo notanosavia-mente
che i fiorentini proverbinon
sono strettamente a13
—
dire eleganze,
ma
cotali proprietà del paese e dei luoghi, anzi chegrazie di lingua.Nondimeno
egli soncosì vaghi c i piùdi loro espressivi e vivaci, che spargono moltolume
e sapor negli scritti: e posciachè furononel voca-bolario raccolti,'oggimai
fannomassa
e corpo del tosca-no linguaggio.Anche
noiLombardi ne abbiamo
assai di altrettanta leggiadria ed efficacia, che a dar loro caden-za e piegatura toscana, starebbononella lingua molto be-ne innestati.E
però a desiderare e a vedermodo, come
quest’opera, sì delle voci (di che parlai sopra)
come
dei proverbi italianipotesseavere ragionevole effetto. »Que-sto
mi
pare esser liberali e presentirveramente
l’avveni-re d’un
idioma.Comunque
sia, scopo precipuo del Cesari fu prov-vedere all’ onor della lingua, richiamandola allebuone
fonti, lo raggiunse, la rialzò, e tanto fece perquesta no-bile ed importante questione,che ancora dopo oltre qua-rant’ anni (Cesari morì nel
1826) quando
troviamouna
scrittura imbrattata di parole dinon buona
lega, o fiacca, e slombatacisfugge,un — veh
che stile!veh
che vocaboli! c’è da far inorridire il padre Cesari,buon’ani-ma
sua.— Come invochiamo
ilmarchese
Puoti, di cara e veneratamemoria,
il quale invece èmancato
da pochi anni alla sua Napoli ed all’ Italia,Tanto
al padre Cesari è riinasta attaccata l’idea dellabuona
lingua... o dovrò ioricordare che lingua vuol dire nazione?
Con
ciò concludo.Se
Cesarotti,un
Veneto, fu lui a risuscitareun nuovo
spirito nelleumane
lettere, e ap-plicarlo in novella guisa alle patrie, se, nel farlo ci portònocumento, un
altro Veneto, il Cesari, seppe fermare quella corsaprecipitosa, estringerele redini sì che tutta-via ne sentiamo il freno.—
14—
Competitore a Cesari fu 1’ abate Talia, filosofo scrittore d’estetica e di morale, rispettato
grandemente,
istitutore del giovine conte Albrizzi, figlio ad Isabella Teotochi, e clic
ba
nella vita di questa onoratamen-zione.
Non
dedito specialmente a questioni di lingua,ma
non
estraneo agli aurei studi ealla bella latinità, ecco presentatisiun
alto spirito,un
vero cigno là su quelle stesse rive maestose dell1Adige.Ippolito
Pindemonte
nato inVerona
nel1753, pochi anniprima
delCesari morto nel1828, fiorìappunto quan-do questiempieva
delle suedotte prose ilmondo
lette-rario.Nessuno
quanto IppolitoPindemonte
era adatto a sentire ilpurismo
della lingua, predicato con tanta pas-sione dal suo illustre concittadino, e si può dire,che sen-za eccitamenti a scrivere terso,non avrebbe mai
potu-to dettare,malgrado
i più brutti esempi, altro che elet-ti e in tutto castigatissimi versi, nei quali pare spiri la dolce malinconia del chiaro di luna, riflettuto daun
bel lago.
Quando
noi si volge il pensieroaduno
scrittore, di cuinon
ci sia ignota la condizione, lo sivede cogli oc-chi della mente, talquale è, o talquale era nella sua vita terrena. Così nel leggere le poesie o le prose d1 IppolitoPindemonte non
si puònon
ricevere la cararivelazio-ne
d1uno
spirito elevato e gentile, tuttocompreso
dei-fi incanto di carmi, celesti, che dice lui « gli serpe ed erra nel seno. »
Par
di vederlo qual ce lo mostrail ritrat-to inciso e preposto a quello che nei Ritratti,scritti da Isabella Teotochi Albrizzi, sitrova per primo.Nobilissi-mo
in atto e nei lineamenti,col toupet sotto a cui spazialo
—
la fronte, il sacchetto ricade sul mantello, che drappeg-gia a clamide;
non
si può in vero separare dalla suaimmagine come
dai suoi scrittiun
senso di alterezza e di ritegno da cui traspira nel poeta, il patriziovero-!nese e di quel tempo.
11 letterato gentiluomo, ecco
un
tipo quasiperduto: ed è a deplorarsi perchètiposchiettoe compiuto. Inobilinon
bazzicavano col popolo èvero,non
si ricordavanoappena
che ci fosse,ma non
simascheravano
a dema-goghi, eran patrizi fino all'ossa e per tali sidavano
;lo erano in teatro, nei loro palchetti, lo erano in
cam-pagna
anco se dettavano idili, lo eranosempre;
cava-lieridal cappello sotto al braccio, in iscarpettine ein cal-ze di seta, gli accoglieva la sera le conversazioni
, elet-to
convegno
aristocratico -letterario : sia dallaRenier
Michiel in Venezia, sia dalla CurtoniVerza
in Verona, chiarissimadonna
che giàcominciava
ad emergere, esempre
si sostenne infama
fin al1835
in cui morì, cele-brata pei suoi Ritratti cVillustriamici, sia dalla contessaAnna
Serego Allighierimenzionata
da Bianchetti; dove