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Le convivenze omosessuali: cenn

Nel documento Matrimonio e unione civile a confronto. (pagine 64-72)

La legge 76/2016, oltre ad intervenire in materia di unioni civili tra persone dello stesso sesso, si occupa di un altro istituto: quello delle convivenze tra persone omosessuali ed eterosessuali. Si tratta di due modelli che attengono al tema dei rapporti affettivi di natura familiare diversi dalla famiglia legittima. E’ stata, questa, una scelta certamente criticabile, soprattutto ove si consideri che una proposta di introduzione di un’unica disciplina per le due situazioni era stata avanzata; il legislatore, però ha perseverato nella propria volontà di proseguire ad una distinzione disciplinare tra le due condizioni con la conseguenza che vengono a convivere nella

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stessa legge, costituita da un solo articolo, due istituti: le unioni civili, riferibili esclusivamente alle coppie dello stesso sesso e le convivenze di fatto, aperte sia alle coppie omosessuali che a quelle eterosessuali .Questa scelta di far confluire in un’unica legge due istituti ha avuto conseguenze notevoli a danno della regolamentazione della disciplina delle convivenze, la quale è risultata scarna e incompleta rispetto a quella delle unioni civili.

La ragione di questa distinzione si ritrova in quello che è il rispetto della volontà delle coppie omosessuali o eterosessuali di non voler sottoporsi ad una regolazione rigida del proprio rapporto derivante dal ricorso al matrimonio o all’unione civile. A riguardo, però, va tenuta in considerazione la necessità di intervenire a tutela di quei soggetti che ricorrono in modo obbligato, e non per scelta, all’istituto della convivenza: si pensi al caso di coppie di fatto costituite da soggetti già sposati e non ancora divorziati. In questo caso viene ad emergere l’esigenza di una compiuta regolamentazione del rapporto, rispetto alla quale, però, la nuova legge ha in qualche modo fallito l’obiettivo.61

61 E’ doveroso far cenno alle diverse circostanze in presenza delle quali si ricorre alla convivenza: - convivenze prematrimoniali sostitutive del periodo di fidanzamento; - convivenze delle coppie di fatto ,costituite da adulti già sposati e non divorziati con l’impossibilità a contrarre matrimonio e da persone di mezza età che non vogliono perdere i vantaggi pensionistici contraendo un nuovo matrimonio; - unioni libere dovute ad una scelta delle parti; - patti di solidarietà alternativi al matrimonio.

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Questo atteggiamento del legislatore, volto a prestare maggiore attenzione alla regolazione dei rapporti tra omosessuali, trova il proprio fondamento, nel ruolo rilevante che l’opinione pubblica ha avuto rivolgendo il proprio interesse ai rapporti same sex, nella portata storica del provvedimento concernente un istituto che per la prima volta concedeva alle coppie dello stesso sesso di regolarizzare la propria situazione affettiva. A ciò bisogna aggiungere la pressione sociale, politica e giudiziaria volta ad introdurre una disciplina per le coppie omosessuali che si distinguesse da quella matrimoniale. Si può così comprendere facilmente come nel dibattito che ha accompagnato l’approvazione della legge risulti quasi assente la tematica della disciplina sulle convivenze, la quale, invece, almeno da un punto di vista concreto, rappresenta nella società un fenomeno largamente diffuso62. Ne risulta

una regolamentazione che appare inorganica, sproporzionata e in parte riassuntiva di quanto già contenuto in altre norme presenti nel nostro sistema.

Al pari delle unioni, le convivenze trovano tutela costituzionale nell’art.2 Cost. come formazione sociale, anche se la legge, in questo caso, non contiene alcun riferimento esplicito.

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La Consulta, pur non avendo riconosciuto all’istituto pari dignità rispetto al matrimonio, ha affermato che la disciplina giuridica delle convivenze deve comunque garantire quella «reciprocità di diritti e doveri» necessaria per un’attuazione coerente del principio di eguaglianza63.

E’ la legge al comma 36 che definisce “conviventi di fatto due persone maggiorenni unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale, non vincolate da rapporti di parentela, affinità o adozione, da matrimonio o da un’unione civile”. Da questi elementi emerge come il legislatore abbia voluto escludere dalla disciplina in esame tutte quelle forme di convivenza, intese come unione di due persone, anche dello stesso sesso, non fondate sul matrimonio, diverse da quella more uxorio. A differenza dell’unione civile, e ancor più del matrimonio, la convivenza in quanto unione di fatto non richiede una formalizzazione specifica, ma il legislatore, nel comma successivo, ha previsto che la costituzione della stessa debba risultare anagraficamente come stabilito dall’art.4 d.p.r. 223/ 1989.

Per quel che riguarda, invece, la disciplina dei diritti e doveri tra i conviventi, la nuova legge ne parla ma in modo meno rigido e compiuto rispetto alla disciplina delle unioni,

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volendo, in questo modo, rispettare la volontà dei soggetti interessati di porre in essere un legame più libero di quello che lega gli uniti civilmente o i coniugi. Senza pretesa di completezza, si può ricordare come la legge considera quello che è un generale diritto all’assistenza reciproca non patrimoniale con riferimento ad esempio alla disciplina sui ricoveri ospedalieri, rappresentanza in materia sanitaria, morte, amministrazione di sostegno…

E’, invece, interessante prendere in esame quella che è la disciplina seguente alla cessazione della convivenza. In materia, il comma 65 attribuisce al convivente che si trovi in condizione di bisogno il diritto agli alimenti nei confronti dell’altro. Quest’obbligo si caratterizza per avere un termine finale dal momento che gli alimenti sono assegnati per un periodo proporzionale alla durata della convivenza stessa. Ma soprattutto, la previsione dell’obbligo alimentare non è accompagnata da quella al mantenimento che pure era stata inizialmente previsto nel decreto.

La grande novità della disciplina attiene all’intervento relativo ai diritti patrimoniali nell’ambito della convivenza. Il comma 50 ha previsto che i conviventi possono “disciplinare i rapporti patrimoniali relativi alla loro vita in comune” per mezzo di un contratto di convivenza64. Si tratta di una facoltà,

64 Il contratto deve essere redatto in forma scritta, a pena di nullità, per mezzo di atto pubblico o scrittura privata autenticata da un notaio o da un avvocato, i quali

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non di un obbligo, che attiene esclusivamente alla materia patrimoniale, infatti, l’uso dello strumento contrattuale esclude che il contenuto dello stesso possa avere ad oggetto rapporti di natura personale, per cui la convivenza registrata all’anagrafe produce i propri effetti indipendentemente dalla presenza di un contratto di convivenza. Per quanto attiene al contenuto del contratto, la legge prevede che le parti possano indicare la residenza comune, stabilire “le modalità di contribuzione alle necessità della vita in comune, in relazione alle sostanze di ciascuno e alla capacità di lavoro professionale e casalingo” come prevede l’art. 143 per il matrimonio, scegliere il regime patrimoniale della comunione dei beni. Quest’ultima rappresenta una previsione peculiare poiché, a differenza del matrimonio per la quale il regime legale è costituito dalla comunione dei beni (art.159 c.c.), tra i conviventi permane la piena autonomia. La comunione dei beni viene a rappresentare quindi l’unica scelta possibile. In questo modo, si attribuisce un’autonomia patrimoniale limitata nell’ambito del contratto di convivenza, potendo, però, le parti concordare tra loro un regime differente che resterebbe, in tal caso, privo di efficacia erga omnes.65

entro 10 giorni devono provvedere al trasmissione di copia del contratto presso il comune di residenza dei conviventi per l’iscrizione all’anagrafe.

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La disciplina così delineata nei suoi profili generali si presta a diverse critiche: in primo luogo, la nuova legge si affianca in modo non coordinato a quella legislativa e giurisprudenziale precedente; inoltre, anche in presenza di una nuova normativa, continua a mancare una regolamentazione patrimoniale tra conviventi, nel caso in cui questi non decidano di stipulare un contratto di convivenza; infine, sorge il dubbio che il legislatore abbia operato in materia in una condizione di ignoranza del diritto previgente, ne è dimostrazione il fatto che molteplici sono le ripetizioni di regole già vigenti presentate come novità, senza considerare l’inadeguatezza tecnica del linguaggio utilizzato; ci troviamo di fronte una tecnica legislativa lacunosa e inefficace che percorre in modo più o meno marcato tutta la legge n.76/2016.

Sono solo cenni ad una disciplina che non è stata affrontata in modo completo e accurato, che non ha avuto l’attenzione richiesta. Non si può non considerare come, nella maggior parte dei casi, si tratta di situazioni non obbligate, che vengono poste in essere dalle parti per mantenere ampi margini di libertà. Certo, queste possono decidere di non registrare la convivenza mantenendo il legame ad una condizione di fatto. Tuttavia, il dettato normativo è criticabile ove si tenga presente che sempre più coppie danno vita a forme di convivenza e ne richiedono particolari tutele.

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Queste considerazioni portano a ipotizzare come l’applicazione della nuova legge, che ha risposto in modo deludente alle richieste di tutela avanzate, comporterà diverse incertezze interpretative che, non trovando risposte nella legge, richiederanno l’intervento giurisprudenziale.66

66 Balestra L., La convivenza di fatto. Nozione, presupposti, costituzione e cessazione, in Famiglia e diritto, 2016, p. 919

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Capitolo II

Le Unioni Civili

Sommario: -2.1 Unione civile e Matrimonio: solo differenze terminologiche? – 2.2 Costituzione dell’unione civile – 2.3 Impedimenti, nullità dell’atto e vizi del consenso – 2.4 La disciplina sul cognome – 2.5 Diritti, doveri e risarcimento del danno – 2.6 Il problema dell’adozione – 2.7 L’obbligo di fedeltà: assenza e polemiche

2.1 Unione civile e Matrimonio: solo

differenze terminologiche?

A questo punto un quesito è d’obbligo: quanto sono distanti matrimonio e unione civile? È questa la domanda da porsi una volta assodato che grazie all’emanazione della legge n.76/2016 le coppie omosessuali ricevono riconoscimento giuridico che, però, è effettuato per mezzo di un dettato normativo che risulta essere in parte incompleto e in parte, invece, più moderno ed evoluto rispetto a quello civilistico inerente al matrimonio.

Ma procediamo per gradi. Il legislatore è intervenuto tardivamente a fornire un riconoscimento giuridico per le coppie omosessuali e l’ha fatto per mezzo di un istituto che non è quello matrimoniale. Certo, è stata affidata al

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