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Matrimonio e unione civile a confronto.

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Academic year: 2021

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UNIVERSITA’ DI PISA

Dipartimento di Giurisprudenza

Corso di Laurea Magistrale in Giurisprudenza

Tesi di laurea

Matrimonio e unione civile a confronto

Il Candidato Il Relatore

Dayana Berardi Prof.ssa Chiara Favilli

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2

INDICE

Introduzione ...

4

Capitolo I: Le unioni omosessuali nella realtà

Europea e nel sistema italiano

1.1 Il regime delle unioni omosessuali in Europa e

nella giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti

dell’Uomo ... 6

1.1.1 La Corte EDU e le prime pronunce…….12

1.1.2 Il caso Schalk and Kopf vs Austria ……..16

1.1.3 Il caso Oliari ed altri vs. Italia………..20

1.2 Il dibattito interno sulle unioni omosessuali: uno

sguardo d’insieme ... 26

1.2.1 La sentenza 130/2010: verso la tutela delle

coppie omosessuali ... 28

1.2.2 Il ruolo della Corte di Cassazione……….32

(3)

3

1.2.3 Unioni civili e Costituzione: divieto di accesso

all’istituto matrimoniale? ……….35

1.3 I progetti di legge (Dico, Didore)… ... 37

1.4 I principali modelli di riferimento ... 41

1.5 La

legge

76/2016(decreto

e

conversione)………..52

1.6 Gli aspetti di disciplina oggetto di delega al

governo e i decreti attuativi………55

1.7 Le convivenze omosessuali: cenni ... 63

CAPITOLO II: Le Unioni Civili

2.1 Unione civile e matrimonio: solo differenze

terminologiche? ... 71

2.2 Costituzione dell’unione civile ... 78

2.3 Impedimenti, nullità dell’atto e vizi del

consenso………91

2.4 La disciplina sul cognome ... 97

2.5 Diritti, doveri e risarcimento del danno . 105

2.6 Il problema dell’adozione ... 112

(4)

4

2.7

L’obbligo

di

fedeltà:

assenza

e

polemiche ... 118

Capitolo III: Lo scioglimento delle Unioni Civili

3.1 Separazione e divorzio: disciplina di favore per le

unioni civili? ... 129

3.2 Scioglimento e cambio di sesso ... 141

3.3 Crisi dell’unione civile e profili penali ... 148

CONCLUSIONI ...

157

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5

Introduzione

Dopo trent’anni di attesa, la legge sulle Unioni Civili è stata emanata.

Le coppie omosessuali, così, escono dal limbo dell’inesistenza giuridica, ma non ottengono l’accesso all’istituto matrimoniale. Ciononostante, assistiamo ad una delle riforme più importanti in materia del diritto di famiglia dopo quella del 1975.

Il tema ha rappresentato uno dei più salienti aspetti del dibattito politico e sociale del secolo. Si è trattato di uno scontro acceso, di opinioni contrastanti che hanno determinato un forte ritardo nella tutela giuridica delle coppie omosessuali rispetto alla maggior parte dei Paesi europei.

La tesi in esame si pone l’obiettivo di approfondire le problematiche attinenti alla vita delle coppie omosessuali alla luce dell’introduzione della nuova disciplina sulle Unioni Civili. In virtù di questa scelta, si procederà a effettuare una comparazione tra l’istituto in questione e quello matrimoniale, che resta ancora appannaggio esclusivamente delle coppie eterosessuali, giungendo a stabilire fin quanto questi possano considerarsi realmente differenti e lontani.

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6

Nella prima parte della tesi si analizzeranno le circostanze che hanno favorito l’approvazione della legge n. 76/2016. Nella specie, si procederà ad una ricognizione delle pronunce giurisprudenziali più rilevanti, sottolineandone l’importanza come apporto di una prima tutela e un riconoscimento alle coppie omosessuali alla stregua di un’unione familiare. Si opererà, poi, una comparazione con alcuni modelli europei, in particolar modo con il Eingetragene Lebenspartnerschaft tedesco, che hanno rappresentato il punto di riferimento per la costruzione della disciplina italiana delle Unioni civili.

Nella parte centrale, invece, si entrerà nel vivo della questione, cercando, attraverso una ricognizione della disciplina introdotta con la L.76/2016, di determinare quanto realmente distanti possano configurarsi l’istituto delle Unioni Civili da quello matrimoniale, prestando particolare attenzione alla costituzione dell’Unione Civile, nonché ai diritti e doveri riconosciuti dalla legge alle coppie omosessuali.

Infine, si individueranno le ipotesi di scioglimento del vincolo, sottolineando le peculiarità del caso, con una particolare attenzione al tema della rettifica del sesso di una o entrambe le parti del rapporto.

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7

Capitolo I

Le unioni omosessuali nella realtà Europea e

nel sistema interno

Sommario: 1.1 Il regime delle unioni omosessuali in Europa e nella giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo – 1.1.1 La Corte EDU e le prime pronunce - 1.1.2 Il caso Schalk and Kopf vs

Austria -1.1.3 Il casoOliari ed altri vs Italia -1.2 Il dibattito interno sulle unioni omosessuali: uno sguardo d’insieme – 1.2.1 La sentenza 130/2010 : verso la tutela delle coppie omosessuali -1.2.2 Il ruolo della Corte di Cassazione - 1.2.3 Unioni civili e Costituzione: divieto di accesso all’istituto matrimoniale? -1.3 I progetti di legge (Dico, Didore…) - 1.4 I principali modelli di riferimento - 1.5 La legge 72/2016(decreto e conversione) - 1.6 Gli aspetti di disciplina oggetto della delega al Governo e i decreti attuativi - 1.7 Le convivenze omosessuali: cenni.

1.1 Il regime delle unioni omosessuali in

Europa e nella giurisprudenza della Corte

Europea dei Diritti dell’Uomo

Dopo un susseguirsi di progetti mai approvati, si è giunti, con la legge 20 maggio 2016 n. 76, a fornire una disciplina alle unioni tra persone dello stesso sesso. Si tratta di un

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fondamentale intervento verso il superamento della disparità di trattamento che affliggeva le coppie omosessuali, alle quali non solo era interdetto l’accesso all’istituto matrimoniale, ma anche ad altre forme di riconoscimento del rapporto. Un forte squilibrio rispetto alle coppie eterosessuali, criticabile, soprattutto perché fatto discendere esclusivamente dalla omogeneità del sesso. È soltanto con l’evoluzione del costume sociale e con i vari interventi delle Corti nazionali ed europee che la questione inizia a conquistare sempre maggior spazio. Si assiste, così, a partire dagli anni ’90 del secolo scorso, alla dichiarazione di illegittimità delle leggi sulla sodomia, e alle riforme penali che in tutta Europa provvedono a depenalizzare l’omosessualità. Sono le prime testimonianze di un’apertura orientata ad un’equiparazione delle coppie same sex rispetto a quelle eterosessuali, soprattutto dal punto di vista dell’accesso all’istituto matrimoniale. Tuttavia, questo obiettivo non può dirsi ovunque raggiunto. Se guardiamo alla situazione Europea, prima ancora che a quella italiana, c’è da osservare come la questione è stata affrontata in tempi più rapidi , dapprima con l’intervento della giurisprudenza, poi del legislatore che già a partire dal 1989 (con la Danimarca prima al mondo ad aver autorizzato le unioni civili tra omosessuali) si sono impegnati a regolamentare le unioni tra

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9

persone dello stesso sesso1 in conformità al principio, più

volte ribadito dalle corti europee e riconosciuto a livello costituzionale, di non discriminazione e al diritto al rispetto della vita privata e familiare2.

Si può certamente intuire il ruolo fondamentale di queste pronunce, se si considera la situazione di forte disparità cui sono stati sottoposti gli omosessuali in passato, guardando a questa condizione ora come status immorale ora come malattia curabile. Oggi, invece, si è concordi nel ritenere l’omosessualità come condizione personale ascritta, non scelta e non modificabile, ciò anche grazie al riconoscimento espresso dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, che l’ha definita come caratteristica neutra della persona. L’omosessualità viene, di conseguenza, considerata come uno dei modi di manifestare la propria personalità e, quindi, tutelata dall’ordinamento come espressione della dignità umana.3 Il principio trova, in primo luogo, riconoscimento

all’art.13 del Trattato di Amsterdam4, che autorizza il

Consiglio, su proposta della Commissione e sentito il Parlamento europeo a prendere all’unanimità le misure

1 Regolamentazione non univoca. Ogni paese è intervenuto ora riconoscendo la possibilità di accesso al matrimonio, ora all’unione registrata.

2 Diritti, questi, riconosciuti rispettivamente agli art. 14 e 8 della Convenzione EDU. 3 Mazzotta V.,in Unioni civili e convivenze guida commentata alla Legge n. 76/2016, M. A.Lupoi, C. Cecchella, V. Ciancio,V., Mazzotta (eds), Maggioli Editore,

Santarcangelo di Romagna, 2016, p.17

4 Questo autorizza il Consiglio, su proposta della Commissione e sentito il Parlamento europeo

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necessarie per combattere ogni discriminazione fondata sull’orientamento sessuale, e ribadita dall’art. 21 della Carta fondamentale dell’Unione europea. Fondamentali per l’approvazione delle legge sono stati poi, la Convenzione europea dei diritti dell’uomo e le pronunce della Corte di giustizia.5 Nel quadro così delineato, la regolamentazione

delle unioni tra omosessuali corrisponde ad un atto non solo costituzionalmente dovuto, ma anche imposto dall’ordinamento sovranazionale6; le Corti hanno, così,

rivestito un ruolo centrale, sia per aver fornito una prima tutela ai diritti delle coppie dello stesso sesso, sostituendosi ad un legislatore inerte, sia perché attraverso i loro interventi hanno contribuito ad influenzare il sentire comune

5 A riguardo diversi sono i riferimenti: art 12 CEDU: “l’uomo e la donna hanno diritto a sposarsi e creare una famiglia”; in questo caso la Corte ha interpretato in modo estensivo la norma prevedendone l’applicazione anche alle coppie dello stesso sesso;art.14 CEDU: “Il godimento dei diritti e delle libertà riconosciuti nella presente Convenzione deve essere assicurato senza nessuna discriminazione, in particolare quelle fondate sul sesso…”art 8 CEDU: “Ogni persona ha diritto al rispetto della sua vita privata e familiare, del suo domicilio e della sua

corrispondenza”; art.9 Carta europea dei diritti fondamentali: sancisce il diritto a sposarsi e costituire una famiglia, garantito dalle leggi dei singoli stati;art 21 Carta europea dei diritti fondamentali: ¨” vietata qualsiasi forma di discriminazione fondata, in particolare, sul sesso..”; Direttiva 2000/78 CE: vieta ogni discriminazione in materia di occupazione e condizioni di lavoro anche con riferimento

all’orientamento sessuale; Risoluzione 16 marzo 2000 del Parlamento europeo: chiede di “garantire alle famiglie monoparentali, alle coppie non sposate e alle coppie dello stesso sesso parità di diritti rispetto alle famiglie tradizionali…”

Risoluzione del 13 marzo 2012 del Parlamento europeo: gli stati membri dell’Unione non devono dare definizioni restrittive al concetto di famiglia allo scopo di negare protezione alle coppie omosessuali e ai loro figli;

6 Mazzotta V., in: Unioni civili e convivenze. Guida commentata alla Legge 76/2016, M.A.Lupoi, C.Cecchella, V.Cianciolo, V.Mazzotta (eds.), Santarcangelo di Romagna, Maggioli editore, luglio 2016, p.18

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attraverso il superamento dei preconcetti esistenti in relazione all’omosessualità.

Peculiare, in questo contesto, è la situazione italiana.

L’Italia, infatti, fino all’approvazione della legge 76/2016, si è trovata in una situazione di arretratezza in tema di regolamentazione dei rapporti same sex, rispetto agli altri Paesi europei, per la forte influenza della religione cattolica. Ritardo, questo, che l’ha resa oggetto di pronunce sanzionatorie da parte della Corte europea dei diritti dell’uomo stante la violazione dell’art 8 della CEDU; nella specie, la Corte ha condannato l’Italia a risarcire il danno subito da una coppia di omosessuali per il mancato riconoscimento di una tutela sufficiente e idonea7.

Come vedremo la Corte di Strasburgo non impone un regime precostituito di disciplina delle relazioni tra omosessuali, ma riconosce ai singoli Stati membri una discrezionalità nella scelta delle modalità di tutela, per cui l’istituto applicabile non sarà necessariamente quello matrimoniale. L’art 9 della Carta europea dei diritti fondamentali, infatti, prevede che “Il diritto di sposarsi e il diritto di costituire una famiglia sono garantiti secondo le leggi nazionali che ne disciplinano l'esercizio”. Nel contesto europeo, gran parte dei Paesi sono intervenuti per fornire

7 Auletta T., Disciplina delle unioni non fondate sul matrimonio: evoluzione o morte della famiglia, in Le nuove leggi, 2016, pp.367-422

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una regolamentazione delle unioni omosessuali, in linea con le direttive comunitarie, ora nella forma del matrimonio ora nella forma delle unioni registrate. Con la l.76/2016 anche l’Italia si è conformata alle indicazioni della Corte di Strasburgo colmando un vuoto normativo che ancora permane in Polonia, Slovacchia, Lettonia, Lituania, Bulgaria e Romania.

Certo è che il merito della tutela riconosciuta agli omosessuali in materia familiare va rimesso non solo all’intervento della Comunità europea, ma anche a quello delle Corti nazionale. Queste, infatti, sono intervenute per prime al fine di riconoscere la parità di diritti per le coppie omosessuali, ma non solo. Il loro contributo è stato fondamentale anche ad un miglioramento della tutela dovuto al coordinamento e al confronto delle varie pronunce. In questo modo si assiste nel tempo ad un’affinità nell’oggetto delle pronunce e nel parametro di giudizio applicato dalle Corti al fine di individuare forme di tutela quanto più vicine dei diritti omosessuali nei vari stati europei. Si è detto che il riconoscimento giurisprudenziale dei rapporti omoaffettivi si è sviluppato in una serie di interventi non solo di carattere nazionale ma anche e soprattutto a

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livello europeo. Fondamentale è, quindi, ripercorrerne i passi attraverso un esame delle sentenze più importanti8.

1.1.1 La Corte EDU e le prime pronunce

In passato, in mancanza di norme interne volte a tutelare espressamente le condizioni inerenti l’orientamento sessuale, fondamentale è stato l’intervento degli organi internazionali volto a stabilire il principio per il quale tale differenziazione di carattere sessuale non può giustificare un trattamento differenziato. Si intende alludere all’applicazione del principio di non discriminazione per ragioni sessuali, il quale trova pregnante tutela grazie all’intervento della Corte europea dei diritti dell’uomo che, dal 1959 ad oggi, ha un ruolo di primo piano nella lotta contro ogni forma di discriminazione assicurando il rispetto dei diritti contenuti nella Convenzione europea dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU). Trattandosi di un organo giurisdizionale internazionale, questa conosce dei ricorsi proposti sia dai singoli Stati, sia dai singoli individui, con la conseguenza che la Corte invita gli Stati a conformarsi alle decisioni assunte così da assicurare il rispetto della Convenzione. Rispetto alla materia in esame, diverse sono state le pronunce della stessa che hanno avuto il merito di contribuire alla creazione di un sistema volto all’apertura nei

8 Si intende alludere alla sent. Schalk and Kopf vs. Austria (24 giugno 2010); e alla sent. Oliari ed altri contro Italia (21 ottobre 2015)

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confronti dei diritti delle coppie omosessuali. Certo, dobbiamo attendere la sentenza Schalk and Kopf vs Austria per assistere ad una svolta nell’ambito della tutela riconosciuta alle coppie omosessuali rispetto a quelle eterosessuali, tuttavia, le prime sentenze della Corte EDU, seppur meno incisive, hanno avuto il merito di introdurre alcune timide forme di intervento e di tutela settoriale in materia.

Il primo riferimento deve essere indirizzato alla sentenza Karner vs Austria del 24 luglio 2003. Si tratta di un ricorso presentato dal signor Karner nei confronti del proprio Paese, appunto, l’Austria. Il ricorso trae origine dalla richiesta del compagno di un omosessuale deceduto per AIDS, di subentrare nel contratto di locazione dell’appartamento del quale titolare era il defunto, ciò in ragione del fatto che lo stesso era stato nominato erede del compagno con il quale aveva altresì convissuto per diversi anni. A riguardo, pur se la disciplina legislativa austriaca prevedeva la possibilità di subentrare nel contratto di locazione sia per i conviventi che per i coniugi, la Corte suprema austriaca interpretò la stessa nel senso di escludere da questo diritto i conviventi omossessuali. Di qui l’intervento della Corte EDU, la quale ha proceduto a condannare lo Stato austriaco per violazione

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degli artt. 8 e 14 della Convenzione9. Nella specie si è

affermata la violazione dell’art. 8 in base all’assunto che la discriminazione abbia leso il diritto al domicilio tutelato dalla norma suddetta. Inoltre, la Corte ha sottolineato come l’art.14 inerente al divieto di discriminazione non possa essere letto in modo autonomo ma sempre in combinato con altre norme, nel caso di specie l’art.8. Tuttavia, la Corte non ha proceduto ad un riconoscimento di totale parificazione della coppia omosessuale rispetto alla famiglia tradizionale, stabilendo che la protezione di quest’ultima può rappresentare una ragione legittima al fine di giustificare una differenza di trattamento. Ciononostante, nel caso di specie, la Corte austriaca non ha dimostrato che l’esclusione dalla tutela in esame delle coppie omosessuali sia funzionale alla tutela della famiglia tradizionalmente intesa. Conseguentemente, emerge la necessità che lo Stato debba indicare “buone e serie ragioni” per non estendere alle coppie omosessuali i diritti che operano in relazione alla tutela della vita familiare già riservati alle coppie eterosessuali. Di qui la pronuncia di violazione da parte dello Stato austriaco dell’art.14 in combinato disposto con l’art.8 della Convenzione EDU.

9 Rispettivamente: diritto al rispetto della vita privata e familiare, nel quale rientra anche il diritto al rispetto del proprio domicilio e divieto di discriminazione.

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Conferma a questa pronuncia è rintracciabile nella successiva sentenza Kozak v. Polonia (ric. 13102/02, del 2 marzo 2010). Questa rappresenta un’ulteriore conferma della volontà della Corte europea dei diritti dell’uomo di procedere verso una tutela contro ogni discriminazione dovuta a ragioni di carattere sessuale. Anche in questo caso, come per la sentenza karner vs Austria, la questione origina dal ricorso individuale del signor Kozak, cittadino polacco, contro il proprio Stato d'appartenenza per la violazione dell'art. 14 in combinato disposto con l'art. 8 della Convenzione in riferimento alla negazione per il soggetto in questione di poter succedere all’affitto dell’appartamento in cui aveva convissuto con il suo partner, in seguito al decesso di quest’ultimo.

Poiché la legge polacca riconosce come legalmente rilevante solo l’unione eterosessuale mentre la convivenza di fatto non trova disciplina, allora la stessa deve ritenersi possibile soltanto tra conviventi di sesso diverso. Tuttavia, la Corte pronunciandosi a riguardo ha stabilito che, pur essendoci un margine di apprezzamento in capo ai singoli Stati nel trattare questioni simili in modo diverso, in caso in cui si faccia riferimento all’orientamento sessuale debbano esserci ragioni proporzionali e necessarie per poter procedere ad

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una differenziazione10. La Corte, quindi, ha, inoltre, stabilito

che la tutela della famiglia tradizionale non costituisce una ragione sufficiente per escludere dal diritto di successione coloro che si ritrovano in una condizione di convivenza omosessuale in assenza di ragioni particolarmente rilevanti. Queste condizioni, secondo la Corte, non si sono manifestate nel caso del signor Kozak. Emerge, così, una violazione del principio di discriminazione tutelato dalla Convenzione, procedendo alla constatazione che la negazione della possibilità di succedere nel contratto di locazione del partner omosessuale non pregiudica i diritti riconosciuti alla famiglia tradizionale. Di qui la condanna dello Stato polacco per violazione della CEDU.

1.1.2 Il caso Schalk and Kopf vs. Austria

Il dibattito costituzionale europeo in tema di matrimonio tra persone dello stesso sesso trova un’importante punto di svolta a partire dall’intervento della Corte europea dei diritti

10 Danisi C., Kozak c.Polonia: difesa della famiglia e discriminazioni fondate sull’orientamento sessuale.

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dell’uomo con la sentenza Schalck and Kopf vs. Austria (ricorso n. 30141/04) del 24 giugno 201011.

Il caso concerne due cittadini austriaci conviventi che vedevano respinta, da parte delle autorità del proprio paese, la possibilità di iniziare le pratiche necessarie per contrarre matrimonio. Ciò in quanto l’art. 44 del codice civile austriaco del 1812 riserva espressamente il matrimonio a persone di sesso opposto.

Nella specie i ricorrenti lamentavano la lesione degli artt. 8, 12 e 14 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo,12

nella parte in cui a causa del loro orientamento sessuale non solo gli era interdetto l’accesso al matrimonio, ma non era neanche previsto un mezzo alternativo di riconoscimento giuridico dell’unione omoaffettiva. La Corte di Strasburgo chiamata a pronunciarsi non ha, però, proceduto ad un pieno riconoscimento del diritto a contrarre matrimonio per le coppie omosessuali, pur tuttavia, accordando alcune rilevanti tutele. Nella specie, la Corte confermando quanto già affermato dalle singole Corti nazionali13 ha sostenuto

l’insussistenza di un diritto a contrarre matrimonio per le coppie omosessuali, posto che l’art.12 della Convenzione dei

11 La Corte europea dei diritti dell’uomo si era già pronunciata sulla nozione di matrimonio, ma esclusivamente con riferimento a persone transessuali e a rettifiche di sesso, v. Cassey case del 1990 e Goodwin case del 2002

12 Nella specie: art.8 in materia di diritto al rispetto alla vita privata e familiare; art. 12 in riferimento al diritto di sposarsi e l’art. 14 come divieto di discriminazione. 13 Il tribunale di Vienna e La Corte Costituzionale avevano affermato la limitazione della nozione di matrimonio al concetto tradizionale di unione di uomo e donna.

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diritti dell’uomo individua espressamente come titolari del diritto di accesso al matrimonio “uomini e donne”. La Corte constata come, anche procedendo ad un’interpretazione evolutiva del concetto di matrimonio, nella maggior parte degli Stati europei non è previsto il riconoscimento dell’istituto per i soggetti appartenenti allo stesso sesso e che una svolta in questa direzione è possibile solo per mezzo di un intervento dei singoli ordinamenti. Conseguentemente, non è previsto un diritto al matrimonio omosessuale nel novero della Convenzione, ma tale diritto può essere riconosciuto discrezionalmente solo da parte dei singoli Stati. Infatti, posto che il matrimonio presenta radici sociali e culturali che possono variare da un contesto ad un altro, la Corte ha ritenuto più opportuno affidare la materia alle singole autorità nazionali ritenute “meglio posizionate per comprendere e rispondere ai bisogni della società”. Nessun riconoscimento, dunque, a livello europeo.

Ancora, la Corte ha rigettato il ricorso rispetto al combinato disposto degli art. 8 e 14 della Convenzione. Certo, si assiste in questo contesto ad un importante passo in avanti. Se in passato alle coppie omosessuali era riconosciuto esclusivamente un diritto alla vita privata, con l’intervento in esame si procede oltre, conferendo alle stesse anche il diritto alla vita familiare. Si procede, così, ad affermare la compatibilità su questo fronte tra i legami omosessuali e

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quelli eterosessuali. Ciò perché la nozione di vita familiare così come prevista dall’art.8 della Convenzione, non si limita esclusivamente ai rapporti fondati sul matrimonio, ma si estende fino a comprendere tutti quei legami che si instaurano tra persone che vivono insieme anche al di fuori del vincolo matrimoniale. Tuttavia, si è negato che l’assenza di una disciplina di questi rapporti potesse apparire discriminatoria sulla base delle considerazioni, che abbiamo già avuto modo di riportare, inerenti all’affidamento ai singoli Stati della legislazione in materia. Certo è che da questo punto di vista, il mancato intervento vincolante della Corte14 ha contribuito al permanere dell’inerzia del

legislatore in materia di regolamentazione delle unioni omosessuali. Sarebbe stato certamente più in linea con lo scopo di avvicinare la condizioni delle coppie same sex a quelle di sesso diverso, procedere imponendo ai singoli Stati un intervento in materia, lasciando agli stessi discrezionalità sulla disciplina giuridica. Occasione mancata, quindi, che però non esaurisce il dibattito giurisprudenziale europeo in materia di tutela delle coppie omosessuali e accesso per le stesse all’istituto matrimoniale. Ma certo non possiamo non tener conto di come, per la prima volta, la Corte di

14 Il mancato intervento della Corte rispetto alla controversia in esame trova la sua giustificazione anche nel fatto che nel frattempo è entrato in vigore, nell’ambito dell’ordinamento austriaco, il Registered Partnership Act che ha consentito la registrazione delle unioni di fatto.

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Strasburgo, guardando alle trasformazioni sociali e all’evoluzione del concetto di matrimonio, ha proceduto ad un riconoscimento di tutela della vita familiare anche per le coppie omosessuali. Un primo e importante passo, ma non una sostanziale equiparazione con i diritti previsti per le coppie eterosessuali.

1.1.3 Il caso Oliari ed altri vs. Italia

La vera e propria svolta verso il riconoscimento pieno delle unioni omosessuali si è avuta con la sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo che ha condannato l’Italia a causa della mancata previsione nell’ordinamento di uno specifico istituto giuridico che riconosca le unioni omosessuali. Nella specie, si è rinvenuta una violazione del diritto al rispetto della vita privata e familiare come previsto dall’articolo 8 della Convenzione. Si tratta della sentenza del 21 luglio 2015 nel caso Oliari and Others v. Italy. Ci riferiamo a due ricorsi (ric. nn. 18766/11 e 36030/11) provenienti da tre coppie omosessuali italiane che, avevano provato, in momenti diversi, ad ottenere dall’Ufficiale di stato civile dei rispettivi comuni di residenza le pubblicazioni di matrimonio,

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ricevendo, però, un rifiuto.15 Le coppie lamentavano una

lesione degli artt.8,12 e 14 della Convenzione CEDU in quanto, non solo non era prevista nell’ordinamento italiano la possibilità di accedere all’istituto matrimoniale da parte delle coppie omosessuali, ma neanche si era proceduto a introdurre una forma alternativa di unione giuridicamente riconosciuta.

La stessa autorità giudicante interviene in modo incisivo sulla questione, in primo luogo individuando una violazione dell’art.8 CEDU, in quanto la mancanza di normativa a tutela delle coppie omosessuali si pone in contrasto con il diritto di ogni persona al rispetto della vita privata e familiare protetta dall’articolo in questione.

La Corte di Strasburgo muove dall’assunto per cui l’obbligo derivante dall’art.8 CEDU deve guardarsi sia da un punto di vista negativo, come divieto di interferenza dello Stato nella vita privata dei cittadini, sia da un lato positivo, come dovere

15 Solo una di queste coppie aveva proceduto ad adire le Corti interne, per mezzo del ricorso presentato dapprima al Tribunale di Trento, in ragione del fatto che l’ordinamento giuridico italiano non prevedeva espressamente il divieto di contrarre matrimonio tra persone dello stesso sesso e che anche nel caso in cui questo fosse stato disciplinato, sarebbe stato incostituzionale. In seguito al rigetto del Tribunale di Trento, la coppia si rivolge alla Corte d’Appello di Trento. Quest’ultima, pur affermando che il matrimonio omosessuale non era consentito dalla legge, rimetteva la questione alla Corte costituzionale, la quale si è pronunciata con sentenza n. 138/2010 prevedendo la non incostituzionalità del divieto di contrarre matrimonio tra omosessuali sulla base della constatazione per cui la differenza di sesso rappresenta elemento fondamentale dell’istituto matrimoniale. Le altre due coppie, invece, non hanno esperito azione in quanto, proprio alla luce della sentenza 138/2010 ritenevano vi fossero poche possibilità di successo.

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dello stesso di rendere effettiva la tutela del diritto alla vita familiare.

La decisione rappresenta il corollario delle pronunce precedenti della Corte stessa, in particolar modo con riferimento alla sent. Schalk and Kopf vs. Austria. Questa infatti, ha avuto modo di chiarire come, mentre nel periodo in cui la suddetta sentenza era stata emanata, gran parte degli Stati membri non si era ancora dotata di una disciplina regolante i rapporti tra coppie omosessuali, per cui non si sentiva la necessità di imporre un obbligo di intervento volto a regolarizzarle, attualmente, il contesto è cambiato. La maggior parte dei Paesi dell’Unione europea è intervenuta dotandosi di una normativa in materia di rapporti tra persone same sex, per mezzo del richiamo al matrimonio o a forme complementari. Tuttavia, pur rispetto a questa evoluzione, l’Italia non si era dotata di alcun meccanismo di tutela del diritto alla vita familiare nei confronti delle coppie dello stesso sesso. Tutela, questa, che pur gli spettava, al pari delle coppie eterosessuali in base all’interpretazione dell’art.8 CEDU16, determinando così un rilevante vuoto

legislativo.

16 Le coppie omosessuali, al pari di quelle eterosessuali, godono di una serie di diritti e tutele nei confronti dei quali non si può trascendere, dando vita a relazioni stabili e ad obblighi reciproci. Era quindi necessario un riconoscimento giuridico al fine di far valere ed ampliare il novero dei diritti e doveri che le coinvolgono.

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Il punto focale della decisione si sostanzia nell’impossibilità di accesso delle coppie omosessuali al matrimonio e nella mancanza di un istituto alternativo che consenta il riconoscimento delle unioni tra persone dello stesso sesso, quale ad esempio la previsione dell’istituto dell’unione civile. A riguardo, il governo italiano ha avuto modo di sostenere che pur in assenza di una disciplina legislativa in materia, l’ordinamento prevede diversi strumenti di tutela per le coppie in questione, senza dimenticare le diverse pronunce giudiziarie in tema che si erano espresse in favore del riconoscimento di tali unioni17. Nel primo, tuttavia, si tratta

di strumenti del tutto inidonei a sostenere un pieno riconoscimento giuridico delle coppie omosessuali al pari di quanto accade per quelle eterosessuali18; dal secondo punto

di vista, invece, il giudice europeo ha avuto modo di sottolineare l’inerzia del legislatore italiano rispetto alle sollecitazioni provenienti dalle Corti interne19 volte ad un

riconoscimento dei rapporti same sex. Il Parlamento, infatti, il più delle volte non si è pronunciato e quando l’ha fatto nessuna proposta di legge è giunta ad approvazione.

17 A titolo esemplificativo, si intende alludere alle sentenze della Corte EDU sentenza Karner vs. Austria, Schalk and Kopf vs. Austria, Kozak v. Polonia. 18 Si allude soprattutto alla presenza della previsione dei registri comunali per le unioni civili i quali, però, hanno esclusivamente un valore simbolico, posto che l’iscrizione non comporta l’attribuzione di alcun diritto.

19Una tra tutte la sentenza della Corte Costituzionale 138/2010 la quale riconosce le unioni omosessuali quali formazioni sociali protette dall’art.2 della Costituzione.

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Per quel che concerne, invece, la violazione degli artt. 12 e 14 CEDU, la Corte riprende le argomentazioni già formulate nella sentenza Schalk and Kopf vs.Austria. Con riguardo al primo caso, si è ribadita l’assenza di un obbligo gravante in capo agli Stati di estendere l’istituto matrimoniale alle coppie dello stesso sesso, una scelta in tale direzione spetta esclusivamente alla volontà dei singoli Paesi; con riguardo alla lesione dell’art.14 quale divieto di discriminazione, le conclusioni della Corte si omologano a quanto previsto per l’art.8.

La Corte conclude, così, che la mancata applicazione, nel contesto dell’ordinamento italiano, dell’applicazione dell’istituto matrimoniale o la previsione di forme di riconoscimento giuridico assimilabili a tutela delle coppie omosessuali comporta una violazione dell’art.8 CEDU stante il mancato riconoscimento del diritto alla vita familiare degli omosessuali. Conseguentemente, ha proceduto a condannare l’Italia al risarcimento dei danni non patrimoniali subiti dai ricorrenti obbligandola contestualmente ad intervenire al fine di colmare un vuoto legislativo che determinava una mancanza di tutela per le unioni omoaffettive.

Si tratta di un primo importante passo verso il riconoscimento giuridico di forme di protezione alternative a quella matrimoniale, che resta appannaggio della coppia

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eterosessuale, ma che garantiscono diritti omologhi al rapporto coniugale. Tuttavia, si tratta di una pronuncia circoscritta al caso concreto che, quindi, non ha valenza erga omnes, per cui viene ad emergere la necessità di un intervento del legislatore in linea con le argomentazioni prospettate nella sentenza in esame.

Infine, c’è da sottolineare come la Corte di Strasburgo prenda le sue mosse dall’evoluzione del diritto nell’ambito dei singoli Stati membri. La sentenza Oliari viene emanata in un periodo in cui, a differenza delle pronunce precedenti, diversi Stati avevano proceduto ad una regolamentazione nella forma matrimoniale o delle unioni registrate dei rapporti omosessuali. Ciò spinge la Corte ad intervenire in merito supportata da queste spinte interne. Per i giudici di Strasburgo, infatti, la ricerca del consensus è uno strumento utile per rendere graduali e allo stesso tempo accettabili i cambiamenti, nell’ottica di uniformare in Europa il livello di tutela dei diritti umani.

L’Italia, certo, non è nuova alle denunce provenienti dalle Corti europee in tema di tutela dei diritti delle coppie omosessuali. Ciò anche laddove si consideri che l’intervento delle Corti interne in favore di un’apertura in materia non ha comportato rilevanti conseguenze, almeno fino alla legge 76/2016. Il dibattito, quindi, non si conclude con la sentenza Oliari, anzi, questa si presta ad essere un’importante base di

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partenza da cui prendere le mosse per il riconoscimento di una regolamentazione giuridica diversa da quella matrimoniale.

1.2 Il dibattito interno sulle unioni

omosessuali: uno sguardo d’insieme

Si è certamente concordi nel ritenere che le pronunce delle

Corti Europee hanno rappresentato un fondamentale punto di partenza per il fiorire di un dibattito interno in materia di regolamentazione giuridica delle unioni omosessuali.

Si tratta di una discussione complessa le cui difficoltà si spiegano in considerazione del fatto che oggetto della stessa è una materia particolarmente delicata. Il tema, infatti, è stato oggetto di profondi mutamenti originati dall’evoluzione della realtà sociale che hanno determinato il fronteggiarsi dei sostenitori di una visione tradizionalista e cattolica dell’istituto familiare e coloro che invece, guardano alla materia in chiave moderna e maggiormente rispondente alla complessità dei rapporti sociali.

Certo è che si tratta di un tema che risente dei mutamenti della realtà sociale e che è influenzato dall’ opinione pubblica e non si configura, invece, come intervento meramente

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politico. È la società che muta e con essa anche il concetto di famiglia.

La questione prende le mosse dall’esigenza di fornire una tutela per quelle realtà familiari diverse dall’unione matrimoniale. È, infatti, impossibile non fare i conti con la presenza sempre più diffusa di nuovi modelli affettivi, diversi rispetto al tradizionale modello familiare, quali le convivenze omosessuali ed eterosessuali, le famiglie ricomposte o ancora le famiglie monogenitoriali.

Determinante in tal senso è stata la campagna di “affermazione civile”, i cui organizzatori di fronte all’impraticabilità della via parlamentare, hanno inteso ottenere per via giurisdizionale il riconoscimento del matrimonio civile tra persone dello stesso sesso, rivendicandolo non più come istanza solo politica ma anche come diritto fondamentale a veder rimossa dall’ordinamento un’illegittima discriminazione.20

Queste istanze, contestualmente all’inerzia del legislatore e ai numerosi interventi delle Corti europee, hanno trovato accoglienza nell’ambito della giurisprudenza italiana che ha avuto il gravoso ruolo di supplire all’assenza di una normativa adeguata.

20 Rossi S., La “legge Cirinnà” tra love rights e politica del diritto, in: < Studium Iuris>, 2016, pp.979-988

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Nella specie, è necessario analizzare due sentenze21,

attraverso le quali la Corte Costituzionale ha sollecitato un intervento del legislatore in materia, affinché si superasse la condizione di incertezza in cui versava il nostro paese in relazione ai rapporti tra omosessuali.

La prima è la sentenza n.170/ 2014. La Consulta si è riferita al tema del cambiamento di sesso di uno dei membri di una coppia già sposata, sollecitando, anche in questa circostanza, l’intervento del legislatore al fine di individuare una disciplina puntuale da applicare in presenza di questi casi.

1.2.1 La sentenza 130/2010: verso la tutela

delle coppie omosessuali

La questione nasce dal rifiuto dell’Ufficiale di Stato Civile del comune di Venezia di procedere alle pubblicazioni di matrimonio richieste da una coppia omosessuale perché reputate illegittime. Il Tribunale di Venezia22 prima e la Corte

d’Appello di Trento poi si sono pronunciate nel senso di

21 Di intende alludere alla sent. 138/2010 e alla successiva sent. 170/2014. Si tratta di due pronunce emanate in un periodo precedente rispetto alla sentenza della Corte di Strasburgo nel caso Oliari e altri vs. Italia con la quale la stessa sanziona il nostro Paese per la mancanza di un istituto giuridico alternativo a quello

matrimoniale a tutela delle coppie omosessuali. 22 Ordinanza del 3 aprile 2009.

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rimettere la questione alla Corte Costituzionale al fine di deliberare sulla legittimità costituzionale delle norme che non prevedono la possibilità per gli omosessuali di contrarre matrimonio al pari delle coppie eterosessuali. Nella specie il riferimento era al contrasto con gli artt.2,3,29,117 Cost23.

In primo luogo il Tribunale di Venezia ha mosso una questione di compatibilità del divieto di matrimonio24 tra

persone dello stesso sesso con il diritto di sposarsi che può essere incluso tra i diritti inviolabili dell’uomo ex art. 2 Cost. La Corte ha ritenuto la questione inammissibile in quanto spetta al legislatore intervenire al fine di aprire il matrimonio alle coppie dello stesso sesso, posto che una regolamentazione del rapporto può essere rimessa anche ad altri istituti diversi da quello coniugale in senso stretto. Inoltre, anche dove si procedesse all’estensione dell’istituto matrimoniale, la disciplina potrebbe presentarsi non necessariamente coincidente. La Consulta, però, pur di fronte a queste considerazioni, compie un importante passo in avanti, rimettendo le unioni omosessuali nell’ambito delle “formazioni sociali” tutelate dall’art.2 della Costituzione, affermando che è tale “anche l’unione omosessuale, intesa come stabile convivenza tra due persone dello stesso sesso,

23 In relazione agli artt. 93,96,98,107,108,143,143 bis e 156 bis c.c 24 Si badi bene che il nostro ordinamento non prevede alcuna norma che esplicitamente vieti il matrimonio tra persone omosessuali

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cui spetta il diritto fondamentale di vivere liberamente una condizione di coppia, ottenendone – nei tempi, nei modi e nei limiti stabiliti dalla legge – il riconoscimento giuridico con i connessi diritti e doveri”25.

Certo è che, anche se in modo indiretto, la Corte fa supporre che l’unione omosessuale, quale stabile convivenza tra due persone dello stesso sesso, rientri tra le forme di regolamentazione non coincidenti con il matrimonio e in virtù di ciò disciplinati, appunto, quali formazioni sociali ex art.2 Cost. Ma c’è di più. Il riconoscimento del rapporto quale formazione sociale implica la tutela del singolo all’interno della formazione stessa, e non del rapporto in sé, come invece accade nell’istituto matrimoniale di cui all’art.29 Cost. In considerazione di queste premesse, la Consulta sottolinea la necessità di un intervento del legislatore che non sia a carattere settoriale, ma che individui diritti e doveri della coppia attraverso una disciplina di carattere generale. Pur affidando la regolamentazione della materia all’intervento discrezionale del Parlamento, la Corte Costituzionale, però, si riserva la possibilità di intervenire a tutela di specifiche situazioni. Ci si riferisce ad ipotesi nelle quali emerga la necessità di un trattamento omogeneo tra coppie omosessuali e coppie coniugate che la Consulta

25 Auletta T., Disciplina delle unioni non fondate sul matrimonio: evoluzione o morte della famiglia? In Le nuove leggi p.372.

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ritiene poter meglio risolvere in base ad un controllo di ragionevolezza.

Nell’ambito della pronuncia, la Corte ha, poi, ritenuto infondata la lesione del combinato disposto di cui agli artt.3 e 29 Cost26, in quanto sussiste una differenza strutturale tra

il rapporto in causa e quello matrimoniale, dal momento che il fondamento del matrimonio si riscontra nella “finalità procreativa che vale a differenziarlo dall’unione omosessuale”; conseguentemente non ci sarebbe alcuna lesione del principio di uguaglianza trattandosi di istituti differenti. Dalla pronuncia, si coglie, inoltre, la convinzione della Corte che guarda al matrimonio come unione eterosessuale tramite quella che è un’interpretazione storica della Costituzione. Pur infatti, affermando che l’istituto matrimoniale muta parallelamente all’evoluzione sociale, tale interpretazione «non può spingersi fino al punto d’incidere sul nucleo della norma, modificandola in modo tale da includere in essa fenomeni e problematiche non considerati in alcun modo quando fu emanata»27.

L’ultimo parametro di valutazione è rappresentato dall’art.117 Cost. rispetto, cioè, agli obblighi internazionali in materia di tutela delle coppie omosessuali. Anche in questo

26 L’art.29 Cost.si presta a configurarsi quale baluardo della tutela dell’istituto matrimoniale.

27 Rossi S., La “legge Cirinnà” tra love rights e politica del diritto, in Studium Iuris ,9/2016, p. 981

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caso, la questione è stata rigettata, poiché emerge la previsione della discrezionalità, propria della disciplina in esame, affidata al Parlamento italiano, sia dalla Corte Costituzionale, sia dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo28.

I giudici costituzionali, quindi, pur aprendo la strada verso un riconoscimento delle coppie omosessuali, sottolineano l’impossibilità di estendere l’istituto matrimoniale alle coppie omosessuali, al pari di quanto previsto per le coppie di sesso diverso.

1.2.2 Il ruolo della Corte di Cassazione

Un’ ultima considerazione deve essere effettuata in relazione al ruolo della Corte di Cassazione con la sentenza del 15 marzo 2012 n.418429. La Corte è intervenuta in relazione al

rifiuto dell’Ufficiale di stato civile di trascrivere nei registri dello stato civile del matrimonio contratto da due cittadini omosessuali in Olanda secondo le regole del diritto internazionale privato30. La stessa ha avuto modo di

28 Si faccia riferimento alla sent. Schalk and Kopf VS.Austri del 24 giugno 2010. 29 La sentenza prevede anche “l’immediata validità, nel nostro ordinamento, dei matrimoni omosessuali celebrati all’estero sempre che essi risultino celebrati secondo le forme previste dalla legge straniera e sempre che sussistano i requisiti sostanziali relativi allo stato ed alla capacità delle persone previsti dalla legge italiana”.

30 La trascrizione del matrimonio era stata già negata dal Tribunale di Latina sull’assunto che l’unione in questione non poteva considerarsi matrimonio in

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esprimersi nel senso dell’intrascrivibiltà dell’unione coniugale che, tuttavia, non è giustificata dall’inesistenza o dall’invalidità del matrimonio omosessuale contratto all’estero, bensì dall’inidoneità, nell’ordinamento italiano, di produrre un qualsiasi effetto, in quanto l’ordinamento italiano riconosce esclusivamente il matrimonio celebrato tra persone di diverso sesso. Ciò non significa che le coppie omosessuali, in Italia, non godano di alcuna tutela. La Cassazione, infatti, ed è questa la nota di novità della sentenza, riconosce alle parti del rapporto omoaffettivo il diritto di vivere liberamente una condizione di coppia in quanto titolari del diritto, riconosciuto a livello comunitario, alla vita familiare, riprendendo così quanto già affermato dalla Corte Costituzionale con la sent. 138/2010. Ciò comporta, dunque, che le coppie omosessuali pur non vantando alcun diritto al riconoscimento e alla trascrizione, in Italia, del matrimonio contratto all’estero, possono, però, in determinate circostanze far valere un trattamento omologo a quello riconosciuto alle coppie coniugate, in quanto entrambe sono titolari di un diritto alla vita familiare. Certo, la Cassazione è giunta a rigettare il ricorso, ma ha contestualmente riconosciuto che la diversità di sesso non

quanto mancava il presupposto fondamentale della diversità di sesso; questa stessa giustificazione era stata poi utilizzata successivamente, si fini del rigetto del ricorso, anche da parte della Corte d’appello di Roma.

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può essere considerata presupposto indispensabile del matrimonio31.

Più recente la sent. 2400/2015 della stessa Corte di Cassazione. Questa ha ad oggetto il diniego di trascrizione delle pubblicazioni di matrimonio da parte dell’Ufficiale dello Stato Civile del comune di Roma nei confronti di una coppia omosessuale. La Corte di Cassazione, è stata così chiamata a pronunciarsi sulla legittimità costituzionale della negazione dell’istituto matrimoniale alle coppie omosessuali. A riguardo, ha confermato quanto già stabilito dalla Consulta nella sent. 138/2010 e dalle Corti europee in relazione all’assenza di un obbligo per i singoli Stati di estendere l’istituto matrimoniale alle coppie omosessuali e al contestuale riconoscimento di una discrezionalità del Parlamento in materia. Ma c’è di più. La Corte va oltre, affermando che “nel nostro sistema giuridico di diritto positivo il matrimonio tra persone dello stesso sesso è inidoneo a produrre effetti perché non previsto tra le ipotesi legislative di unione coniugale”, tuttavia, le stesse possono acquisire tutela equiparabile a quella matrimoniale in tutte quelle circostanze in cui la mancanza di una disciplina legislativa determini una lesione dei diritti fondamentali. Sì al

31 Lo stesso art. 12 CEDU viene oggi interpretato nel senso di escludere ogni rilevanza giuridica alla diversità giuridica della coppia, posto che un’interpretazione in senso opposto andrebbe a contrastarsi con l’evoluzione sociale e giuridica attuale.

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riconoscimento dei diritti, dunque, non ancora a quello del matrimonio per le coppie omosessuali, per lo meno fino ad un eventuale intervento del Parlamento in questa direzione.

1.2.3 Unioni civili e Costituzione: divieto di

accesso all’istituto matrimoniale?

Tanto si è detto sulla legittimità della regolamentazione delle unioni omosessuali. Tante le pronunce delle Corti italiane ed europee in materia. Tuttavia, bisogna soffermarsi su un ulteriore ma primario aspetto che attiene alla disciplina: quello dei rapporti delle unioni omosessuali con la Costituzione. La questione è rilevante. Ci troviamo nell’ambito della prima tra le fonti legislative dell’ordinamento italiano e come tale è anche quella maggiormente capace di influenzarne la disciplina. Bisogna, però, chiedersi se esista nella Costituzione un divieto di contrarre matrimonio per le coppie same sex, o parimenti se l’eventuale estensione dell’istituto matrimoniale alle stesse violi i principi costituzionali con particolar riferimento all’art.29. Una previsione di tal tenore comporterebbe delle conseguenze particolarmente gravose per le coppie omosessuali, posto che l’unica possibilità per le stesse di accedere all’istituto matrimoniale sarebbe quella di

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modificare la Costituzione. Tuttavia, le cose più complicate di così. Leggendo la Carta Costituzionale non riscontriamo un espresso divieto in tal senso, né tantomeno alcuna definizione dei concetti di famiglia o matrimonio.

La Costituzione, quindi, nulla afferma su un eventuale divieto di accesso al matrimonio da parte delle coppie omosessuali, ma neanche vi si oppone. Del resto, la stessa sentenza 138/2010 non si pronuncia rispetto ad eventuali lesioni ai diritti delle coppie omosessuali in riferimento ad un’apertura del vincolo matrimoniale omoaffetivo.

Questa situazione, però, dà vita a diversi problemi interpretativi che vanno ad incidere sulle tutele delle coppie omosessuali in materia familiare a causa della discrezionalità riconosciuta al Parlamento. È doveroso ricordare, infatti, come la Corte di Strasburgo abbia imposto al legislatore italiano l’obbligo di intervento in materia pur non imponendo l’applicazione dell’istituto matrimoniale.

Emerge, così, il problema inerente alle modalità di previsione di una legge volta ad estendere il matrimonio alle coppie omosessuali. A riguardo, diverse sono le soluzioni ipotizzate. Soluzione più radicale è quella che individua nella revisione costituzionale il mezzo necessario per applicare l’art.29 Cost. anche alle coppie same sex. Non manca, comunque, chi prevede la possibilità di procedere con il più semplice ricorso

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alla legge ordinaria. Certo è che il problema oggi sembra essere secondario, posto che il legislatore ha stabilito che l’art.29 Cost. si riferisce esclusivamente alla coppia eterosessuale32. Questa esclusione sembra essere

giustificata dalla rilettura dei lavori della Costituente sull’articolo in questione dalla quale risulta che la stessa abbia voluto intendere il matrimonio come un’unione tra persone di sesso diverso. Viene, quindi, ad essere attribuito all’unione coniugale un riconoscimento e una tutela specifica. Ciò preclude l’inclusione nel novero dell’art.29 Cost. di figure diverse da quella matrimoniale, ma anche l’estensione a queste della sua disciplina, 33poiché la diversità

che attiene alle categorie familiari comporta la possibilità di applicare discipline omologhe senza che nessuna di queste perda le proprie caratteristiche. È proprio questa la strada intrapresa dal Parlamento con l’emanazione della 76/2016 individuando nell’istituto dell’Unione civile la tutela giuridica delle coppie omosessuali, prevedendo diritti e obblighi che non si discostano da quelli valevoli per i coniugi.

32 Elemento fondamentale ai fini di questo riconoscimento attiene alla possibilità di procreazione che inerisce al matrimonio in quanto fondamento dell’unione familiare e ipotizzabile esclusivamente per le coppie di sesso diverso, non, ovviamente, per le coppie dello stesso sesso.

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1.3 I progetti di legge (Dico , Didore…)

In seguito alle sanzioni provenienti dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo l’Italia non ha potuto più restare inerte, ma è venuta ad emergere la necessità di un intervento parlamentare in materia. Diverse le iniziative susseguitesi a partire dal 1986, molte delle quali plasmate sull’esempio di istituti adottati in altri Paesi della comunità. E’, infatti, del 1986 la prima proposta di legge sulle unioni civili. Due anni più tardi, nel 1988, è stata la volta di una proposta di legge, mai calendarizzata, volta al riconoscimento delle convivenze, pur non specificandosi nel testo il riferimento al genere. A partire dagli anni ’90 le proposte di legge in materia sono moltiplicate, così come le sollecitazioni provenienti dal Parlamento europeo ad intervenire. Tra le più rilevanti va ricordato il ddl “Soda” del 1998 il quale ha adottato una disciplina specifica per le unioni omosessuali; il disegno si componeva di due parti, l’una prevedeva una normativa antidiscriminatoria, l’altra si concentrava sulla disciplina matrimoniale prendendo come modello di riferimento quello danese. Va preso atto del fatto che il progetto, pur non avendo avuto alcuna attuazione, è stato successivamente riproposto. Più incisive le proposte elaborate nel corso del nuovo millennio; nel 2002 il deputato Grillini elaborò una proposta peculiare, nella quale introduceva l’istituto dell’unione domestica registrata la

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quale consisteva nel dare la possibilità alle coppie omosessuali conviventi di scegliere quale assetto conferire ai loro rapporti giuridici e patrimoniali.

Ancora, nel 2005 la senatrice Anna Finocchiaro propose di introdurre i Pacs(patti civili di solidarietà) sul modello francese, ma il progetto naufragò a causa della fine della legislatura del governo Berlusconi nel 2006; successivamente il disegno di legge del governo Prodi nel 2007 che introduceva i DICO "Diritti e doveri delle persone stabilmente Conviventi"; questa disciplina era finalizzata al riconoscimento dei diritti e doveri delle coppie same sex conseguenti ai rapporti di convivenza registrati all’anagrafe34; Nel ddl vengono regolamentati i diritti dei

conviventi in materia di alloggi e locazioni; trattamenti previdenziali e pensionistici; successione; decisioni in materia di salute e in caso di morte; agevolazioni in materia di lavoro; permessi di soggiorno e utili d’impresa. Si tratta di una soluzione certamente meno tutelante rispetto a quella matrimoniale per diverse ragioni. In primo luogo, il riconoscimento dei diritti ivi riconosciuti è strettamente dipendente dal perdurare della convivenza per un

34 Il nuovo istituto intendeva rivolgersi a “due persone maggiorenni e capaci, anche dello stesso, unite da reciproci vincoli affettivi, che convivono stabilmente e si prestano assistenza e solidarietà materiale e morale, non legate da vincoli di matrimonio, parentela in linea retta entro il primo grado, affinità in linea retta entro il secondo grado, adozione, affiliazione, tutela, curatela o amministrazione di sostegno” art.1 d.d.l n.1399/2007.

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determinato periodo di tempo35, mentre, con la celebrazione

del matrimonio questi effetti si producono automaticamente; in secondo luogo, i DICO non attribuiscono alle parti alcuno status civile. Con il disegno di legge si è disciplinata la situazione di fatto che esiste tra due soggetti e non la previsione di un accordo finalizzato ad usufruire della previsione di legge, ciò fa sì che l’attribuzione di diritti e doveri alle parti non può essere parificato al modello costituzionale di famiglia36. L’iter legislativo, però, si

è interrotto a causa della caduta del governo. È del 2007 il disegno di legge presentato dal senatore Cesare Salvi che introduce i CUS (contratti di unione solidale). Pochi i cambiamenti rispetto ai DICO, inerenti soprattutto alla modifica delle quote successorie e la stipulazione davanti al giudice di pace; questo istituto contrattuale poteva essere scelto da coloro che avessero inteso attribuire alla propria unione un carattere giuridicamente vincolante. Anche in questo caso, il governo Prodi cadde e l’iter legislativo si interruppe. Nel 2008, nel corso del governo Berlusconi, vengono proposti i DI.DO.RE (diritti e doveri di reciprocità dei

35 A titolo esemplificativo, si faccia riferimento alla successione nel contratto di locazione o al diritto agli alimenti che sono previsti decorsi 3 anni di convivenza o ancora ai diritti successori che possono farsi valere se la convivenza ha avuto corso per almeno 9 anni.

36 Nella relazione introduttiva si legge, infatti, che “la chiarezza con cui il disegno di legge sottolinea che il presupposto delle rilevanza giuridica è la situazione di fatto, e non un patto tra i conviventi o altro elemento consensuale, vale a differenziare nettamente il modello prescelto da soluzioni presenti in altri ordinamenti.”, Rossi E., La difficoltà di una regolazione normativa delle convivenze, Problemi attuali delle libertà costituzionali, 2011, p. 240

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conviventi), un testo unico redatto in modo da non prevedere alcuna spesa per lo Stato, di conseguenza niente pensioni di reversibilità, niente assegni, niente agevolazioni fiscali; inoltre, questi prevedevano solo diritti individuali e non il riconoscimento delle coppie. Il progetto, però, non trova consenso neppure nella maggioranza di centrodestra. Questo è stato l’ultimo timido tentativo di parificare l’Italia agli altri Paesi europei in tema di unioni omosessuali. Certamente il fallimento di questi progetti, è da ascrivere soprattutto all’opposizione dei cattolici, contrari ad una regolamentazione delle unioni tra soggetti di sesso diverso. Sarà sufficiente ricordare la posizione del Cardinale Camillo Ruini il quale definì «inaccettabile» il disegno di legge del governo sui Dico invitando i parlamentari cattolici a opporsi alla legalizzazione delle coppie di fatto. Questi molteplici esempi testimoniano una mancata occasione per l’Italia di intervenire in una materia caratterizzata da un vistoso vuoto normativo.

1.4 I principali modelli di riferimento

La Costituzione non prevede alcun limite alla regolamentazione giuridica delle unioni, così come nessun divieto è stato imposto dalle pronunce della Corte europea

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dei diritti dell’uomo o dal Parlamento europeo. Le pronunce degli organi comunitari, infatti, sono stati rivolte esclusivamente ad imporre agli Stati membri di intervenire, al fine di fornire tutela alle coppie omosessuali riconoscendo un margine di discrezionalità nella previsione delle modalità.37 Anche la Consulta ha ritenuto “non

costituzionalmente obbligata” l’apertura dell’istituto matrimoniale alle coppie dello stesso sesso.38

Gli stati europei, di conseguenza, hanno optato per diverse tipologie di regolazione che variano da forme di convivenza registrata, come per la Germania e l’Italia, al matrimonio, si pensi all’esperienza di Spagna e Olanda.

Per quanto concerne la situazione italiana, il legislatore, nel momento in cui è intervenuto per regolamentare la disciplina, ha subito l’influenza di scelte già adottate in altre realtà europee.

Il principale modello al quale il legislatore si è ispirato per la stesura della disciplina di cui alla L.76/2016 è quello tedesco. In Germania, infatti, è stato adottato, già a partire dal febbraio del 2001, l’istituto giuridico della convivenza

37 Va rilevato che l’Unione europea non dispone di alcuna competenza in materia di diritto di famiglia, che resta una materia la cui disciplina è affidata esclusivamente agli stati membri. La stesa ha, però, competenza concorrente con i singoli stati in materia di libertà, sicurezza e giustizia rispetto alle quali l’Unione ha l’incarico di sviluppare la cooperazione giudiziaria in materia civile e in questa ricade anche la famiglia.

38 Ferrando G., La disciplina dell’atto. Gli effetti: diritti e doveri, in “Famiglia e diritto”, 2016, p.889

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registrata (Eingetragene Lebenspartnerschaft). Al pari che in Italia, si è giunti ad un modello compromissorio tra istanze opposte che ha finito per non soddisfare totalmente la corrente meno conservatrice di centro sinistra; tuttavia, questo si limita a regolamentare le sole unioni tra persone dello stesso sesso, ed è stato nel tempo più volte modificato in modo da presentarsi, oggi, come un istituto molto simile a quello matrimoniale.

Mentre le coppie eterosessuali, tedesche come italiane, hanno a disposizione uno strumento idoneo a tutelarle, cioè il matrimonio, questo, in entrambe le realtà, è del tutto precluso alle persone dello stesso sesso; viene, così, introdotto un sistema a doppio binario, matrimonio e convivenza registrata. Certo è che l’introduzione in Germania dell’istituto è significativa, ancor più che in Italia, se si considera che fino al 1994 i rapporti omosessuali erano puniti dal codice penale tedesco. Egualmente, l’emanazione della legge risponde alle istanze sociali rivolte a porre fine alle discriminazioni per ragioni di sesso.

Interessante notare, invece, che a differenza di quanto accaduto nel nostro sistema, in Germania il dibattito sulle unioni non è stato accompagnato da quello sulle convivenze di fatto di persone eterosessuali, posto che le esigenze di queste sono affrontate e risolte per mezzo della disciplina contrattuale tedesca.

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La LPartG ha previsto una regolamentazione simile a quella matrimoniale, ma non uguale, in modo da evitare una completa equiparazione dei due istituti che avrebbe potuto determinare problemi di legittimità costituzionale rispetto all’art. 6 Grundgesetz 39che accorda una “speciale tutela” al

matrimonio e alla famiglia sottolineando il favor di cui gode, nell’ordinamento tedesco, l’istituto matrimoniale inteso come unione tra uomo e donna. Il legislatore tedesco ha proceduto, così, ad introdurre un istituto ad hoc, distinto dal matrimonio, a cui possono ricorrere esclusivamente le coppie omosessuali. Questa scelta, confermata dal Tribunale costituzionale federale, ha trovato giustificazione in una concezione storico- culturale dell’istituto matrimoniale da sempre considerato come unione tra uomo e donna. Certo è che il riconoscimento di una forma di regolazione giuridica del rapporto diversa dal matrimonio ha sollevato non pochi dubbi di legittimità costituzionale. In molti, infatti, hanno sostenuto che l’introduzione dell’istituto del LPartG potesse comunque comportare una lesione dell’art.6 della Costituzione tedesca che riconosce e tutela il matrimonio. Risposta a queste preoccupazioni viene fornita dai giudici tedeschi i quali hanno sottolineato la diversità dei due istituti soprattutto in quanto applicabili a destinatari diversi (omosessuali la LPartG e eterosessuali il matrimonio). Ma gli

39 “Il matrimonio e la famiglia godono della particolare protezione dell’ordinamento statale”

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stessi fanno un passo in avanti, sostenendo che anche se il matrimonio riceve una tutela particolare dall’ordinamento, ciò non toglie che si possa prevedere l’applicazione di alcuni diritti previsti per i coniugi anche alle coppie omosessuali, ove ciò non comporti uno svantaggio per il matrimonio o comunque non determini la prevalenza di altre forme. Infatti, facendo prevalere l’applicabilità del principio di uguaglianza, si rinviene come non sia possibile procedere ad una discriminazione delle coppie omosessuali rispetto a quelle eterosessuali sulla base dell’assunto per cui queste ultime troverebbero una forte tutela all’art.6 della Costituzione. Quindi, pur apprestando una tutela particolare al matrimonio non si esclude che la Costituzione stessa possa concorrere a disciplinare anche forme di unione diversa da quella dell’istituto suddetto. Sono queste considerazioni rilevanti, se si osserva che saranno oggetto con molti anni di distanza anche nel dibattito costituzionale italiano inerente all’introduzione nel nostro ordinamento delle unioni civili Superati i problemi di carattere dottrinale, c’è da individuare quale sia la disciplina scelta dal legislatore tedesco per regolarizzare le convivenze registrate.

La costituzione della convivenza registrata si ha mediante dichiarazione congiunta di fronte all’autorità competente40.

40 Nella formulazione originaria della legge si faceva riferimento generico all’autorità competente, lasciando ai singoli Lander la facoltà di individuare il soggette

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