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Scioglimento e cambio di sesso

Nel documento Matrimonio e unione civile a confronto. (pagine 142-149)

Lo scioglimento delle unioni civil

3.2 Scioglimento e cambio di sesso

Discorso a sé stante deve essere effettuato in relazione ad una delle cause di scioglimento dell’unione civile, cioè la rettificazione anagrafica di sesso. Si tratta di un ambito particolarmente delicato se si considera che in questa ipotesi lo scioglimento non consegue alla volontà delle parti ma è demandato ad un automatismo legislativo.

Ci prestiamo ad affrontare una questione il cui dibattito ha iniziato ad aver un particolare eco a partire dagli anni ’80 del novecento, in concomitanza all’evoluzione sociale che ha fatto emergere in maniera più aperta e manifesta la pratica del transessualismo. A tal riguardo, i problemi non nascevano solo in relazione alla tutela del soggetto sottoposto alla pratica del cambio di sesso, ma anche rispetto al coniuge, nel caso in cui l’operazione fosse stata

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effettuata durante il periodo di vigenza del matrimonio. Il legislatore è così intervenuto con la L.14 aprile 1982 n.164141.

Il disposto legislativo si presentava all’epoca come innovativo, andando per la prima volta a trattare un tema privo di disciplina normativa e ancora poco diffuso per ovvie ragioni sociali, volto a fornire una tutela del transessuale soprattutto in vista di una sottoposizione del soggetto ad un’operazione di cambio sesso. La giurisprudenza più risalente, infatti, prevedeva, ai fini della rettificazione anagrafica, la necessità di sottoporsi ad un’operazione modificativa degli organi sessuali. Si trattava di una previsione rigida, considerando i tempi richiesti per raggiungere tale scopo.

In tempi recenti, tuttavia, la Corte di Cassazione si è pronunciata, con sent. n.15138/2015, affermando che al fine della rettificazione anagrafica del sesso non è necessario un intervento modificativo dei caratteri sessuali primari, laddove vi sia stata un’incidenza su quelli secondari e contestualmente sia stata accertata la volontà irreversibile del soggetto di procedere al cambiamento.

Questi i presupposti. La legge del 1982, proseguiva, poi, introducendo per la prima volta l’istituto del divorzio imposto, cioè dell’automatico scioglimento dell’unione

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matrimoniale in seguito al cambiamento di sesso di uno dei due coniugi. L’automatismo in questione, però, non teneva in considerazione la possibilità che le parti volessero mantenere in vita il rapporto coniugale pur in seguito alla rettifica del sesso. Già la giurisprudenza si era occupata della questione, soprattutto a causa delle critiche mosse dagli organi della Comunità europea in relazione alla lesione, da parte dell’Italia, degli artt. 8 e 12 CEDU, nonché in considerazione del contrasto della disciplina con gli artt.2,3 e 29 Cost. Nello specifico, considerando il cambiamento di sesso come diritto inviolabile dell’uomo, non si vede come il transessuale non possa conservare il vincolo coniugale fin quanto non sia prevista una forma di legame alternativo. Diversamente vi sarebbe un vuoto di tutela del soggetto rispetto ad un diritto fondamentale riconosciuto. Di conseguenza, la Corte Costituzionale intervenuta per scongiurare una condanna della Comunità europea, ha cercato di colmare il vuoto normativo che, prima dell’emanazione della legge Cirinnà, contraddistingueva la materia. Con sentenza 11 giugno 2014, n.170142 la Consulta

142 La sentenza prevede l’incostituzionalità degli articoli 2 e 4 della L. 164/1984 e, consequenzialmente, dell’articolo 31, comma 6 del D. Lgs. n. 150/ 2011, «nella parte in cui non prevedono che la sentenza di rettificazione dell’attribuzione di sesso di uno dei coniugi, che determina lo scioglimento del matrimonio o la cessazione degli effetti civili conseguenti alla trascrizione del matrimonio celebrato con il rito religioso, consenta, comunque, ove entrambi lo richiedano, di mantenere in vita un rapporto di coppia giuridicamente regolato con altra forma di convivenza registrata, che tuteli i diritti ed obblighi della coppia medesima, con le modalità da statuirsi dal legislatore».

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ha, infatti, affermato l’incostituzionalità del divorzio imposto. Nello specifico degli artt. 2 e 4 della legge 164/1982 nella parte in cui non prevedevano per la coppia, in caso di cambiamento di sesso, altra forma di unione che andasse a sostituirsi a quella matrimoniale. Ci si è venuti a trovare di fronte ad una decisione che non ha inciso concretamente sui rapporti in questione, posto che non è stata contestualmente accompagnata da un intervento legislativo, necessario per completare la disciplina. Tuttavia, in una recente pronuncia, la Cassazione è intervenuta in via interpretativa per dare concreta attuazione alla sentenza della Corte Costituzionale, prevedendo la “conservazione dello statuto dei diritti e dei doveri propri del modello matrimoniale(...)sottoposta alla condizione temporale risolutiva costituita dalla nuova regolamentazione indicata dalla sentenza”.143

Le suddette incertezze sono state colmate grazie all’intervento del legislatore che con i commi 26 e 27 della legge 76/2016 ha dato una risposta concreta alle critiche mosse dalla Corte costituzionale, costruendo due ipotesi di scioglimento dell’unione civile in caso di rettifica del sesso. Nella specie ci troviamo di fronte ad un automatismo, prevedendo il comma 26 lo scioglimento di diritto

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dell’unione civile in seguito all’emanazione della sentenza di rettificazione di attribuzione di sesso. Si trascende, quindi dalla volontà delle parti. Proprio per questa ragione, invece che di ipotesi di scioglimento, sembrerebbe più corretto parlare di una causa di invalidità sopravvenuta. La soluzione si presta a delle critiche. La previsione dello scioglimento automatico, nonché il mancato rilievo attribuito alla volontà delle parti, sembrano configurare la sopravvivenza di una forma di divorzio imposto, pur tuttavia, dovendo considerare che nel caso in esame i presupposti sono diversi.

Diverse considerazioni, invece, devono essere mosse in relazione al comma 27. Muta, in questa ipotesi il presupposto di partenza. Ci troviamo di fronte a casi in cui in seguito alla celebrazione di matrimonio, uno dei due coniugi rettifichi il proprio sesso. In questa circostanza, il dettato legislativo prevede, al verificarsi del mutamento, l’automatica instaurazione dell’unione civile. A tal riguardo, però, rileva la manifestazione di volontà prestata in tal senso da parte dei coniugi. Viene, così, a configurarsi un trattamento differenziato tra due situazioni non dissimili. Cambia in questi casi la ratio che muove il legislatore in due diverse direzioni. La disciplina del comma 27, infatti, risponde alla necessità dello Stato di mantenere inalterata la visione dell’istituto matrimoniale quale legame necessariamente eterosessuale, pur concedendo la

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possibilità ai coniugi di mantenere in vita un rapporto, che fa sorgere diritti e doveri, quali quelli derivanti dall’unione civile, che sono in larga parte assimilabili a quelli matrimoniali. La legge, in questo modo, risponde concretamente all’esigenza mossa nelle pronunce precedenti delle Corti italiane ed europee a tutela delle parti in caso di rettifica di sesso. Queste stesse considerazioni non possono dirsi valide nel caso del comma precedente, poiché, in questo caso, al mutamento di sesso dell’unito civilmente non consegue l’automatica istaurazione del vincolo matrimoniale. Invero, al pari di quanto previsto dall’automatismo di conversione di cui al comma 26, sarebbe stato opportuno intervenire, anche in questa ipotesi, prevedendo un procedimento semplificato, quindi più rapido, per coloro i quali volessero, in seguito al cambiamento di sesso e al conseguente scioglimento dell’unione, celebrare matrimonio. La soluzione accennata avrebbe determinato anche il superamento dei problemi di tutela che emergono rispetto ai diritti sorti tra le parti nel periodo di vita dell’unione. Infatti, in base al disposto normativo in vigore nessuna tutela è prevista, per i diritti già sorti tra le parti, in riferimento al periodo di transizione che si estende dallo scioglimento dell’unione alla celebrazione del matrimonio.

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Come per le altre cause di scioglimento dell’unione civile, la legge detta una disciplina generale, lasciando al legislatore delegato l’onere di riempire le tante lacune che emergono dalla normativa di riferimento.

Il legislatore delegato si occupa, così dei modi di comunicazione della rettificazione del sesso e della volontà coniugale conseguente a questo evento. In particolare è previsto che sia “l’Ufficiale di stato civile del comune di celebrazione o trascrizione del matrimonio, ricevuta la comunicazione della sentenza di rettificazione a procedere all’iscrizione nel registro delle unioni civili con le eventuali annotazioni relative alla scelta del cognome e del regime patrimoniale”144. Mentre, un passo in avanti rispetto al

decreto ponte è stato effettuato in relazione ai modi e ai limiti temporali di dichiarazione della volontà. Superando le incertezze derivanti dalla mancata previsione di una regola, viene stabilito che le parti possono dichiarare di voler convertire il matrimonio in unione civile fino al momento della precisazione delle conclusioni. Il procedimento è contenuto nel d.lgs. 150/2011. Si tratta di un procedimento ordinario a cognizione piena che a differenza del passato, non richiede più il previo accertamento dell’avvenuto intervento medico di modificazione di sesso.

144 Art.31 comma 4-bis, d.lgs n.150/2011

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Viene così a delinearsi, rispetto alla disciplina precedente, una regolamentazione più moderna che coincide con la maggiore necessità di tutela inerenti ad un ambito così delicato quale quello che attiene alla sessualità. Al contempo, però, come spesso accade nella regolamentazione sulle unioni civili, resta il rammarico di un intervento che, per quanto innovatore rispetto al passato, non risulta totalmente incisivo.

Nel documento Matrimonio e unione civile a confronto. (pagine 142-149)