• Non ci sono risultati.

La disciplina sul cognome

Nel documento Matrimonio e unione civile a confronto. (pagine 98-106)

Le Unioni Civil

2.4 La disciplina sul cognome

Il dettato legislativo sulle unioni civili si pone in rotta di collisione rispetto al matrimonio per quanto concerne la disciplina sul cognome. E si badi, questa distinzione non si effettua a scapito della regolamentazione sulle unioni, ma, anzi, tende a privilegiare la nuova forma familiare rispetto a quella coniugale, tanto che la norma si presta ad essere letta come discriminatoria nei confronti dell’istituto matrimoniale.

L’introduzione della previsione di un cognome comune, così come si presenta all’art. 1, comma 10 della L.76/2016 si configura come una delle più rilevanti nell’ambito della riforma in considerazione della peculiarità dell’intervento. Partendo dalla considerazione che il cognome viene a presentarsi quale elemento che attesta l’appartenenza del singolo ad un determinato nucleo familiare, l’introduzione di una disciplina sullo stesso a carattere particolarmente egualitario, più di quanto non accada nel contesto della famiglia tradizionale, si pone come importante corollario per il riconoscimento esterno della vita degli uniti civilmente. Bisogna riflettere su questo carattere di particolare modernità rispetto alla disciplina parallela che, invece, risente di una concezione arcaica dei rapporti familiari. Nella specie, l’art. 143-bis c.c. attribuisce centralità al cognome

99

maschile, stabilendo che “la donna aggiunge il proprio cognome a quello del marito”91, regola, questa, che trova

fondamento nella concezione familiare patriarcale tradizionale e che oggi non può considerarsi accettabile alla luce dell’evoluzione dei rapporti che intercorrono tri i due sessi e della posizione di parità che la donna ha raggiunto. Viene, così, a configurarsi un contesto familiare nel quale il cognome paterno è elevato ad elemento identificante la famiglia complessivamente considerata, posto che lo stesso è, poi, attribuito anche alla prole. Ci troviamo in presenza di un automatismo legislativo che non concede alle parti la facoltà di esprimere la propria volontà rispetto alla possibilità di scelta del cognome, quale elemento rappresentativo della famiglia. Una previsione che, come accennato, non è stata riproposta nella legge n.76/2016 in materia di unioni civili, la quale ha introdotto una regolamentazione meno discriminatoria. Proprio questa innovazione in campo di rapporti omoaffettivi, ha spinto la Corte Costituzionale ad intervenire sulla disciplina del cognome, affermando l’illegittimità costituzionale delle norme che impediscono ai genitori di attribuire al figlio il cognome materno in aggiunta a quello paterno92.

91 A riguardo, la Corte di Cassazione, in considerazione del principio di uguaglianza, si è pronunciata nel senso di riconoscere alla donna esclusivamente la facoltà, e non l’obbligo, di poter mantenere il proprio cognome da nubile.

92Corte Costituzionale, sent.n. 286/216. Nella specie si stabilisce come la disciplina sul cognome, così come prevista dalle norme vigenti rappresenti <<retaggio di una

100

Si tratta di un importante passo avanti nel riconoscimento della pari dignità morale e giuridica dei coniugi. Tuttavia, pur in presenza di queste aperture che emergono nel contesto giurisprudenziale, la regolamentazione del cognome in materia matrimoniale si presenta come meno evoluta e garantista rispetto a quella prevista per le coppie omosessuali93.

Ma veniamo al comma 10 della l.76/2016. Abbiamo anticipato che si tratta, probabilmente, della norma più moderna della legge in questione. Il dettato normativo prevede una pluralità94 di possibilità di scelta per gli uniti

civilmente. La prima scelta concessa alle parti è quella di eleggere “un cognome comune scegliendo tra i loro cognomi”. Si tratta di una previsione quasi obbligata, posto che nel caso degli uniti civilmente, la presenza di un unico sesso fa sì che non si possano prevedere a priori criteri di applicazione del cognome di un unico soggetto, come, invece accade nel caso del rapporto matrimoniale. Altra possibilità

concezione patriarcale della famiglia, la quale affonda le proprie radici nel diritto di famiglia romanistico, e di una tramontata potestà maritale, non più coerente con i principi dell’ordinamento e con il valore costituzionale dell’uguaglianza tra uomo e donna>>

93 Si pensi al fatto che per poter attribuire il cognome comune è necessario l’assenso di entrambi i coniugi.

94 In realtà, si parla di quattro ipotesi previste dalla legge: 1. Scelta del cognome comune; 2. Posposizione del proprio cognome a quello comune; 3. Anteposizione del proprio cognome a quello comune; 4. Mantenimento da parte di ciascuno del proprio cognome, senza procedere all’elezione di uno comune. Quest’ultima ipotesi ha carattere residuale e in genere si presta ad essere utilizzato da quei soggetti che non riescono a trovare un’intesa. Bugetti M.N., Il cognome comune delle persone unite civilmente, in Famiglia e diritto, 2016, 10, pag. 911.

101

ipotizzata è quella, riconosciuta esclusivamente alla volontà del singolo il cui cognome non è stato eletto a quello comune, di posporre o anteporre il proprio cognome a quello comune. Si tratta, quindi, di scelte che la legge demanda esclusivamente alla volontà delle parti, indipendentemente dall’intervento impositivo della legge.

Questo il quadro normativo che ha contraddistinto e diversificato il matrimonio dalle unioni, almeno fino alla legge Cirinnà. Dico così in quanto la disciplina non si è esaurita con la normativa in questione, ma è stata oggetto di un successivo intervento ad opera del legislatore delegato in applicazione della delega operata al comma 28 lett.a) L.76/201695. Tuttavia, si tratta di un intervento privo di una

ragione logica, che tende a rendere vana l’introduzione di una disciplina, quale quella sul cognome introdotta dal comma 10 di cui sopra, che si presentava particolarmente innovativa. Nello specifico, il legislatore delegato per mezzo del d. lgs. n.5/2017 introduce la previsione in base alla quale il cognome comune eletto dalle parti costituenti l’unione non

95 Per completezza di informazioni va fatto cenno al d.p.c.m. n. 144/2016(decreto ponte) ha introdotto una disciplina transitoria particolarmente problematica prevedendo che “a seguito della dichiarazione di cui al comma 1 i competenti Uffici procedono alla annotazione nell’atto di nascita e all’aggiornamento della scheda anagrafica”.La previsione così formulata comporta una modifica della situazione anagrafica della parte che ha adottato il cognome comune e quindi la rettifica del codice fiscale con conseguenze notevoli sul piano burocratico, ponendosi, contestualmente in contrasto con la previsione di temporaneità della scelta del cognome comune. Ci si troverebbe, così, in caso di scioglimento dell’unione civile, nel paradosso di dover modificare nuovamente i propri dati anagrafici.

102

avrebbe alcuna rilevanza anagrafica. La scelta del cognome comune, quindi, non avrebbe alcuna importanza concreto ai fini documentali, ma sarebbe esclusivamente eletto a “cognome d’uso”. Si viene così a determinare l’assurdo risultato di non dar alcun rilievo alla più garantista disciplina della L.76/2016 e contestualmente di applicare una regolamentazione che riprende quella matrimoniale, posto che l’impossibilità di utilizzare il cognome comune nell’ambito anagrafico e conseguentemente documentale, rende la previsione di cui al comma 10 della legge Cirinnà concretamente inutile, se non a fini meramente sociali. A questo punto bisogna ragionevolmente chiedersi quale sia l’utilità dell’intervento del legislatore delegato nell’ambito della riforma delle unioni civili. Limitandoci a considerare il dato testuale dei decreti attuativi sembrerebbe di trovarsi di fronte ad una scelta priva di senso. Tuttavia, così non è. Il legislatore della Cirinnà ha compiuto un ragionevole passo in avanti nella regolamentazione dei rapporti di coppia, purtroppo applicabile solo alle coppie same sex. Sembra, invece, che l’assurdità dell’intervento deve essere riconosciuta in capo al legislatore delegato, il quale non ha tenuto per niente conto della disposizione che istituisce il cognome comune. Un’incongruenza che, però, ha notevoli conseguenze dal punto di vista pratico determinando la cancellazione dell’ipotesi della creazione di un cognome

103

della famiglia omosessuale e la contestuale applicazione della normativa tradizionale già prevista per i coniugi.

Viene, così ad emergere il dubbio di legittimità della norma per eccesso di delega.

Questa nuova posizione del legislatore delegato, pur prestandosi alle predette critiche, risolve un problema di particolare rilievo che viene ad emergere dalla lettura della regolamentazione sul cognome comune. In base al comma 10 le parti possono assumere un cognome comune la cui efficacia è limitata alla “durata dell’unione civile96”, dunque

ai casi di scioglimento o morte di uno dei soggetti costituenti il rapporto in esame. Questa previsione, come ben si può ipotizzare, comporta delicati problemi. Non si vede per quale ragione un unito civilmente che ha usato il cognome comune del partner, e sia socialmente identificabile per mezzo dello stesso, debba subire le conseguenze negative della perdita del cognome per il sol fatto dello scioglimento del legame. Ciò, soprattutto, in considerazione della parallela disciplina matrimoniale che invece si presta ad essere, in questo ambito, più garantista. In caso di matrimonio, infatti, la vedova può continuare ad utilizzare il cognome del marito fino alla celebrazione di nuove nozze, mentre dopo il divorzio

96 Va tenuta in considerazione anche quella parte della dottrina che ha interpretato il riferimento alla vigenza del cognome comune limitata alla “durata dell’unione civile” debba intendersi nel senso di escludere la possibilità di revocare l’uso dello stesso nel corso dell’unione, per cui le parti resterebbero vincolate alla scelta fino al momento della morte o dello scioglimento del rapporto.

104

l’ex moglie può continuare ad utilizzare il cognome del marito, ma solo in caso di interesse meritevole di tutela, cosa che, come si è avuto modo di vedere non è prevista per le coppie unite civilmente. Ma i problemi non finiscono qui. Diversi sono i dubbi interpretativi relativi al momento in cui la parte perda il diritto all’uso del cognome comune; si è concordi nel ritenere che nel caso di scioglimento i termini devono decorrere dal momento del passaggio in giudicato della sentenza di scioglimento; nell’ipotesi di morte, invece, ci si domanda se l’unito civilmente ancora in vita debba porre in essere una dichiarazione all’ufficiale dell’anagrafe o se, invece, si sia in presenza di un automatismo.

La previsione del cognome comune quale cognome d’uso ha comportato diversi problemi concreti, posto che nella realtà diverse coppie hanno da subito proceduto ad eleggere un cognome comune in attuazione della previsione contenuta nella legge Cirinnà. Sorgono, così, problemi di compatibilità tra la regolamentazione di cui al comma 10 e la normativa delegata. A riguardo è intervenuta la Commissione giustizia della Camera statuendo la necessità di introduzione di una norma di coordinamento volta a individuare le modalità per correggere le modifiche anagrafiche effettuate prima o dopo l’emanazione dei decreti attuativi ; a questo scopo è previsto che «entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore del decreto, l’ufficiale di stato civile annulli l’annotazione relativa

105

alla scelta del cognome effettuata a norma dell’articolo 4, comma 2 del D.p.c.m., seguendo la procedura di correzione prevista dall’articolo 98, comma 1 del D.p.r.»97.

La disciplina in esame è stata, così, sottoposta ad un percorso accidentato. Se anche il legislatore sia inizialmente intervenuto introducendo una disciplina di favore e più moderna rispetto all’istituto matrimoniale, questo intervento è stato reso vano dal legislatore delegato, apparentemente senza ragione plausibile. Viene così negato alla coppia omosessuale un diritto soggettivo che la legge n.76/2016 riconosce espressamente. Conseguentemente si potrà supporre che le coppie che vogliano far valere il diritto al cognome comune debbano necessariamente trovare tutela di fronte all’organo giudiziario.

Ad ogni modo, la legge Cirinnà prevede al comma 31 che il Governo possa adottare, nei due anni successivi all’entrata in vigore dei decreti attuativi, disposizioni integrative ai decreti stessi. Dunque, la legge individua un meccanismo volto a risolvere eventuali problemi che possono venire ad esistenza nel corso dell’applicazione dei decreti attuativi, correggendoli.

97 Giammarco C., Legge Cirinnà, l’attuazione della delega in materia di stato civile, in Questione giustizia, 2017

106

Nel documento Matrimonio e unione civile a confronto. (pagine 98-106)