2. APPRENDERE E INSEGNARE CON TESTA, CUORE E MANO
2.1 Come l’apprendimento modifica il cervello
2.3.2 Il corpo a scuola: per una pedagogia del corpo e del movimento
Nonostante oggigiorno sia possibile asserire che i processi cognitivi sono riconducibili a profonde interazioni del corpo con il mondo (Wilson, 2002), per un lungo periodo è stato condiviso il dogma secondo il quale la mente fosse un processore di informazioni, le cui connessioni con l’ambiente rivestissero un ruolo di marginale importanza. Questo punto di vista è prevalso per molti anni anche nel mondo dell’educazione, facendo sì che numerose componenti venissero trascurate, tra cui le emozioni, il corpo e il contesto. Finalmente, anche grazie all’aiuto di divergenti apporti disciplinari, come quello delle neuroscienze, il discente ha assunto una centralità indiscutibile nel processo di apprendimento. Tra le più recenti scoperte, ad esempio, le neuroimmagini corroborano scientificamente come l’attivazione e il movimento del corpo migliorino il processo di memorizzazione della lingua straniera (Sambanis & Speck, 2009, pp.111-115). Al tempo stesso, l’uso didattico del corpo ha rappresentato un oggetto di indagine scientifica anche per le scienze bioeducative, impegnate ad indagare le modalità in cui il sostrato biologico condiziona e viene condizionato dalle esperienze didattico-educative. Ne consegue che la divisione corpo-mente non è più contemplabile, i concetti si fondano sull’esperienza percettiva e motoria e sono rappresentati neuralmente; il movimento rappresenta quindi un elemento essenziale per la crescita e lo sviluppo di numerose funzioni mentali (Marchetti, 2010, p.16). Vita e movimento, mente e corpo si fondono nel processo di sviluppo della persona a partire dal linguaggio, per arrivare alle abilità più complesse, quelle metacognitive e riflessive. I movimenti infatti, non sono un mero meccanismo, ma assumono un ruolo fondamentale nella formazione
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della mente, condizionano l’apprendimento e sono alla base del linguaggio. Riguardo al rapporto corpo-linguaggio, con particolare riferimento all’aspetto non verbale, Galimberti (2009, p.353) afferma che
il corpo diventa il luogo privilegiato del linguaggio, perché se l’altro non “presta l’orecchio” alle richieste o alle lamentele verbali, che di solito non hanno altro effetto se non quello di mettere a nudo le proprie debolezze, non può non cedere il linguaggio del corpo che, invece di “chiedere” qualcosa, “esibisce” violente sofferenze che, istillando nell’altro sentimento d’amore o sensi di colpa, producono l’azione desiderata.
In chiave pedagogica, appare necessario soffermarsi sul ruolo delle relazioni che si instaurano tra i corpi all’interno dell’ambiente formativo. Ecco, dunque, che ogni scelta didattica, come ad esempio il setting, l’uso dei materiali, le componenti comunicative dell’interazione docente-studente, la consapevolezza che fra i corpi intercorrono dinamiche emotive, concorre a creare un ambiente sano di apprendimento o al contrario ostacoli nell’incorporazione delle conoscenze (Gamelli, 2013).
Il corpo non può essere relegato in spazi e tempi limitati, ma deve rappresentare il protagonista del complesso di relazioni ed esperienze attuate a scuola. La dimensione corporea, non può trovare il suo habitat naturale solo all’interno della palestra, bensì deve scorgere spazi adeguati anche all’interno dell’aula, attraverso una sapiente attenzione alla disposizione dei banchi, ancora troppo spesso poco conformi e funzionali alle caratteristiche evolutive degli studenti.
In tale contesto, l’approccio educativo di stampo costruttivista ha contribuito al percorso di rivalutazione del corpo e delle sue potenzialità nella costruzione e condivisione di significati, rilanciando di fatto la caratteristica multidimensionale propria dell’ambito didattico, in cui confluiscono differenti scienze in un contesto pluri- e interdisciplinare (Sibilio, 2011, p.57). Attraverso questa prospettiva è possibile delineare la significatività delle “corporeità didattiche” (Sibilio, 2011), quali componenti non verbali, fisiche, motorie, prossemiche ed emotive che si incontrano con altre forme comunicative nel processo di costruzione dei significati.
È oramai risaputo, anche grazie alla scoperta dei neuroni specchio, che percezione, cognizione e azione rappresentano tre funzioni coincidenti e non una semplice sequenza. Azioni e movimenti assumono una connotazione essenziale nei processi di rappresentazione mentale sin dalle fasi embrionali, in cui l’azione precede la sensazione e non il contrario, come ritenuto precedentemente (Oliverio, 2015). La comunità educante non può esimersi dal recepire
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l’importanza di simili scoperte scientifiche nel ridefinire il ruolo del corpo e del movimento, quali elementi non più arginabili a marginali esperienze ricreative e orientate al mero benessere fisico. L’apprendimento esperienziale è indubbiamente più efficace rispetto a quello trasmissivo tradizionale, in quanto induce un processo integrato tra la sfera cognitiva, quella affettiva e motoria, simile all’apprendimento per scoperta del neonato. La pedagogia, infatti, deve tenere in considerazione le differenti valenze simbolico-comunicative che il corpo trasmette, rivendicando la pluralità di linguaggi.
Per comprendere meglio la concezione olistica del corpo-movimento in educazione, Gamelli (2001) parla di pedagogia del corpo, quale attitudine formativa trasversale orientata alla scoperta e alla relazione. In primo luogo, essa deve riconsiderare il ruolo che per molti secoli e in alcuni casi ancora oggi assume di assenza della dimensione corporea, di scollegamento del sapere con l’esperienza. A tal fine, la pedagogia del corpo si serve di tecniche e linguaggi propri di altre discipline, come la danza, la psicomotricità, il teatro, andando ad intervenire nei differenti contesti mediante percorsi progettuali.
L’educazione corporea, vista in quest’ottica, assume una valenza più ampia, rappresenta un veicolo di modelli di comportamento e valori orientata all’accettazione di sé, al senso di autoefficacia e alla socializzazione. Nel corso dei delicati anni della fase di sviluppo, soprattutto durante il periodo adolescenziale, il corpo assume un valore ancor più importante, in quanto l’identità del fanciullo si basa anche sulla percezione dell’immagine corporea. Non a caso, assai frequenti sono i fenomeni di disagio dovuti alla bassa autostima e alle difficoltà di adattamento, in parte condizionati dai disadattamenti verso la propria immagine durante l’infanzia e dai cambiamenti percepiti a livello corporeo. Tali espressioni di disagio vanno a ripercuotersi anche sulla sfera emotiva, direttamente connessa a quella corporea, così come su quella relazionale. È proprio per queste ragioni che la pedagogia del corpo e del movimento non può identificarsi unicamente con l’ora di educazione fisica, ma deve assumere un carattere interdisciplinare, attivo e socializzante, volto all’acquisizione e alla rielaborazione dei saperi in chiave partecipativa e collaborativa (Sarracino, 2011). È necessario riconoscere alle funzioni motorie un valore educativo determinante, mediante un agire didattico, volto al perseguimento di obietti intrinseci dello sviluppo e dell’apprendimento motorio, ma anche trasversali, correlati al movimento e alla corporeità, riscattando i relativi differenti significati, cognitivi, emotivi, comunicativi e identitari. I benefici del movimento sono rintracciabili in tutti gli attori del processo formativo, siano essi discenti, docenti o genitori. Se si pensa agli studenti, imparare muovendosi, attività ampiamente praticata sin dai tempi dell’antica Grecia, significa utilizzare tutti i canali sensoriali
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ed incrementare la capacità di prestazione, in quanto aumenta l’irrorazione del cervello e la connessione delle cellule nervose (Hollmann & Löllgen, 2002). Oltre che ripercuotersi positivamente sulla sfera psico-fisica, il movimento promuove competenze sociali, quali il rispetto, il senso di fiducia, appartenenza e responsabilità.
I docenti possono utilizzare il movimento per migliorare l’ambiente di apprendimento e, di conseguenza, l’immagine della scuola stessa, ma anche per potenziare la concentrazione e la motivazione degli allievi, nonché la propria soddisfazione personale.
Per i genitori, invece, il movimento assume un ruolo importante nella promozione dello stato di salute e di benessere dei propri figli, dello stile di vita sano e nella facilitazione dei processi di apprendimento.