4. DAL DRAMA ALLA DRAMMAPEDAGOGIA
4.4 Le metodologie specifiche per l’apprendimento delle lingue straniere attraverso il
4.4.4 Drama Grammatik
Sulla scia della legittimazione didattica dell’approccio drammapedagogico, legato in particolar modo alla tradizione inglese del drama in education e al collegamento fatto da Manfred Schewe in ambito glottodidattico, si sviluppa un altrettanto interessante dispositivo per l’apprendimento della grammatica. Susanne Even, nel 2003, pubblica la sua opera più importante in cui illustra la Drama Grammatik, un approccio olistico all’insegnamento della grammatica in contesti reali, che pone l’attenzione non soltanto sui contenuti che i discenti esprimono, ma soprattutto sulla loro forma linguistica e grammaticale.
Nella fase di ideazione e sviluppo della Drama Grammatik sono stati presi in considerazione le opere più rilevanti che, in un certo qual modo, hanno affrontato anche l’ambito della grammatica seguendo un approccio teatrale. Tra tutti, Maley e Duff (1978), il cui libro rappresenta tutt’oggi un punto di riferimento per gli studiosi del settore, propongono delle attività teatrali caratterizzate da una marginalità della componente grammaticale. La medesima situazione la ritroviamo anche nell’opera Grammar in Action di Frank e Rinvolucri (1991), i quali si limitano ad elaborare una raccolta di giochi grammaticali che prevedono l’uso del corpo e del movimento nella lezione di lingua straniera, ma che non contemplano la progettazione di obiettivi in relazione a specifici contenuti, né tanto meno il potenziamento delle strutture affrontate (Even, 2003, p.64). Al contrario, Even non limita l’efficacia dell’approccio drammagrammatico al raggiungimento di un obiettivo educativo-disciplinare, ma propone un’innovativa visione della grammatica, quale ambito centrale dell’intervento didattico, che non
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pone limiti eccessivi, ma che lascia ai discenti la libertà necessaria al fine di realizzare un meta- apprendimento.
È opinione dell’autrice ritenere le competenze grammaticali una delle priorità nell’apprendimento linguistico, che nella didattica tradizionale, tuttavia, non vengono affrontate in maniera efficace, in quanto l’apprendimento della grammatica non è strettamente collegato all’acquisizione del linguaggio autentico, rimanendo quindi difficoltoso da usare in situazioni di vita quotidiana, all’infuori della pratica ripetitiva e semplificativa esercitata a scuola. Attraverso questa metodologia viene sollecitato l’apprendimento per scoperta orientato all’interazione e all’inclusione della sfera affettiva, il docente aiuta l’allievo a creare contesti immaginari di vita quotidiana in cui praticare la lingua, vengono impiegate in maniera diretta e immediata strutture grammaticali senza paura di sbagliare, promuovendo un atteggiamento personale positivo nei confronti delle regole che disciplinano la correttezza linguistica. Proprio secondo tale prospettiva, la Drama Grammatik si inserisce nel fervente dibattito tra gli approcci focus on form e focus on forms che ha messo in luce come la didattica orientata ai contenuti grammaticali debba riferirsi a precisi contesti significativi per il discente, che prevedano un’integrazione tra forma e significato (Vettorel, 2009).
La Drama Grammatik prevede un’attenzione specifica rivolta alla progettazione dell’incontro, secondo quanto già delineato nell’approccio drammapedagogico e che si rende necessaria, al fine di non attribuire caratteristiche di casualità all’intervento. Il modello proposto da Even (2003, pp.174-175) prospetta differenti fasi:
di sensibilizzazione, necessaria a creare quelle situazioni in grado di richiamare l’attenzione verso determinate strutture e fenomeni grammaticali sui quali verte l’incontro;
di contestualizzazione, in cui vengono presi in esame contenuti volti all’analisi delle strutture grammaticali;
di inquadramento, dove vengono condivise sul piano teorico le regole sottese agli argomenti oggetto delle attività precedenti;
di intensificazione delle strutture e delle conoscenze apprese, fondamentali per essere rielaborate in forma drammatica;
di presentazione in plenaria delle performance;
di riflessione, per affrontare ed analizzare l’esperienza, con un occhio di riguardo agli aspetti linguistico-grammaticali.
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4.4.5 Glottodrama
In Italia, in seguito ad una sperimentazione transnazionale che ha visto il sostegno anche da parte dell’Unione Europea, si è diffusa recentemente una particolare metodologia glottodidattica per l’insegnamento delle lingue straniere, il Glottodrama. Il metodo enfatizza da un lato l’approccio comunicativo così come quello umanistico-affettivo (Nofri, 2010, p.11) e dall’altro le tecniche di recitazione teatrale, basandosi su pratiche consolidate, come ad esempio la Psicodrammaturgia linguistica, il Teatro dell’Oppresso, lo Psicodramma. Incentrando l’interesse verso l’oralità e quindi, fornendo le competenze al discente su come comunicare in lingua, uno degli obiettivi della metodologia è lo sviluppo integrato di abilità linguistiche e recitative all’interno di un percorso che alterna forme glottodidattiche e valutative basate sui parametri del QCER. Proprio per questo, generalmente un percorso di Glottodrama si compone di moduli dalla durata di novanta ore ciascuno, in cui un docente di lingua insieme ad un esperto teatrale portano avanti l’intero percorso, sintetizzando l’unione tra il mondo del teatro e quello glottodidattico.
I corsi di Glottodrama sono composti da due parti: la prima è volta all’azione, al lavoro attoriale sulla base di micro-testi, mentre la seconda prevede l’uso di lavori teatrali, sceneggiature, prodotti dei discenti sui quali lavorare, al fine di apprendere e riflettere sulla lingua abbattendo il muro che intercorre tra scuola e vita (Nofri, 2010, p.31). A differenza della struttura degli incontri piuttosto comune tra le metodologie sinora presentate, il Glottodrama, dopo la presentazione al gruppo di un input (testuale, visuale, sonoro), prevede una prima fase di performance (prove di recitazione) e la riflessione linguistica, in cui vengono sviluppati argomenti lessicali e grammaticali emersi nella prima fase. Successivamente, avviene la fase actor studio in cui vengono affrontati in maniera critica gli aspetti recitativi, espressivi e pragmatici del testo, e un’ultima fase di performance in cui si interpreta nuovamente il testo (Nofri, 2007, pp.31-32). Tale metodologia, dunque, contempla l’uso della recitazione teatrale e della performance con uno specifico spazio nell’aula destinato ad essa, come strumento essenziale per il suo sviluppo e la sua riuscita, prefissandosi l’intento di coinvolgere l’apprendente sul piano emotivo e riducendo i fattori stressogeni che possono ostacolare l’acquisizione linguistica.
Alcune considerazioni appaiono piuttosto doverose. Il glottodrama, in netta discordanza con le differenti metodologie descritte in precedenza, è l’unica che contempla la presenza di una fase in cui si riflette sul lavoro teatrale (actor studio) all’interno di un corso orientato
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all’apprendimento delle lingue. Pensando alla spendibilità del metodo in ambito scolastico, inoltre, sembra evidente l’impossibilità di una sua reale applicazione, in quanto necessiterebbe di tempi (novanta ore) e di risorse professionali specializzate (compresenza di un docente di lingua e un esperto teatrale) al di fuori di ogni logica economica. Come ricorda Fonio, inoltre, il Glottodrama, per una sua più efficace riuscita, auspica un’omogeneità di livello linguistico dei partecipanti (Fonio, 2013, p.27), condizione assolutamente introvabile in alcuna classe scolastica e, altresì, poco incline alle teorie pedagogiche che riconoscono all’eterogeneità dei gruppi una delle risorse maggiori per produrre apprendimento.
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