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2. APPRENDERE E INSEGNARE CON TESTA, CUORE E MANO

2.1 Come l’apprendimento modifica il cervello

2.3.1 Il dualismo corpo-mente

Gran parte della cultura scientifica dello scorso millennio è stata attiva protagonista di un percorso di alternanza tra l’esaltazione e la mortificazione della dimensione corporea, imprigionandola all’interno di un limitato approccio dualistico, di una logica disgiuntiva rappresentata dalla divisione del corpo dalla mente. Questa separazione, dovuta a ragioni religiose ed etiche, ha promosso una cultura incentrata sull’ideale dell’anima, quale entità

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immortale e del corpo, come strumento materiale di cui l’anima può servirsi. Di contro, antecedentemente alla cultura classica, corpo e anima rappresentavano un’unitarietà, un insieme unico di elementi appartenenti alla stessa natura cosmica.

Nell’antica Grecia il corpo ha rivestito un ruolo fondamentale; il modello ideale da raggiungere era quello di perfezione dell’atleta, basti pensare ai numerosi rimandi letterari provenienti dall’Iliade e dall’Odissea, alle raffigurazioni di eroi attraverso le sculture, o ancora, alla nascita delle Olimpiadi. Testimonianza di ciò va fatta risalire anche al modello educativo vigente a Sparta, in cui i discenti, sia maschi che femmine, venivano avviati all’attività militare, dovendo conseguentemente fortificare il proprio corpo, anche a discapito delle attitudini personali. Il modello ateniese, al contrario, anziché avere una connotazione bellica, ha prediletto la valorizzazione dell’atleta, identificando nel concetto di kalokagathìa la bellezza estetica e il valore morale come ideale di perfezione. Il potenziamento delle doti fisiche, infatti, doveva venire associato a qualità morali ed etiche, in quanto la supremazia dell’atleta rappresentava la grandezza e la fama non solo dell’individuo, ma dell’intera collettività.

L’ideale di educazione corporea ellenica è stato progressivamente modificato, attribuendo sempre maggiore centralità all’anima. In tal senso, Platone ha segnato una netta separazione tra corpo e anima, considerandole due entità distinte e indipendenti, riconoscendo all’anima una posizione di superiorità, in quanto detentrice dei sentimenti più nobili. Tale concezione filosofica ha identificato il corpo unicamente con la fisicità e la materialità, come luogo in cui l’anima veniva imprigionata e dal quale sarebbe stato necessario liberarla (Galimberti, 2001, p.65). Al contrario di Platone, Aristotele considerava il corpo e l’anima due elementi costituenti dell’essere umano e, di conseguenza, non potevano essere contemplati come unità separabili. Secondo tale visione, l’anima possedeva capacità specifiche del corpo, necessarie all’organismo per vivere e, pertanto, non potevano essere divise l’una dall’altra.

Con l’avvento del Medioevo e del cristianesimo la connotazione del corpo ha recepito un significato estremamente negativo, andando a rappresentare un oggetto del peccato e del male, che nella logica religiosa doveva venire purificato mediante un percorso di sofferenza e nella vita quotidiana si traduceva in divieti e proibizioni. Tali condizioni hanno avuto importanti ripercussioni pedagogiche nel mondo dell’educazione, tanto da confinare la sfera corporea a spazi secondari ben delimitati, legati perlopiù ad azioni disciplinari (Frabboni & Pinto Minerva, 2001, p.164). Sulla concezione del dualismo finora espresso, il celebre filosofo Cartesio ha privato il corpo del suo mondo e di tutte quelle informazioni di senso che si fondavano sull’esperienza corporea (Galimberti, 2009, p.69), trasformandolo quindi in una somma di parti

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senza un’interiorità e, al contempo, elevando l’anima a puro intelletto. L’esistenza, secondo Cartesio, assumeva un duplice significato: come cosa o res extensa e come coscienza o res cogitans. Solamente la res cogitans rappresentava la parte deputata all’intelletto, l’essenza della vita, poiché l’uomo veniva concepito come un essere unicamente pensante, che poteva vivere a prescindere dal proprio corpo (Descartes, 2009, p.72). Tale visione, oltre al mondo scientifico, ha caratterizzato fino al ventesimo secolo anche l’intero mondo dell’educazione, sempre più indirizzato al controllo del corpo e alla sua separazione dalla sfera cognitiva.

Nel corso del ‘900, in Europa, è possibile ritrovare l’idea di perfezione fisica ellenica all’interno dei programmi di educazione fisica, soprattutto grazie al diffondersi dei regimi totalitari che hanno concorso alla strumentalizzazione del corpo, come strumento di propaganda politica per veicolare significati ben precisi: espressione di un aspetto sano, eccellenza muscolare, forza (Sarsini, 2008, p.471).

Nella scuola italiana, all’inizio del secolo scorso, il corpo rappresentò l’elemento primario da valorizzare attraverso l’esercizio, al fine di formare il giovane cittadino sul piano ideologico-morale, perpetuando la metafora del corpo-macchina, volta alla legittimazione del potere dello Stato sugli individui (Foucault, 2005). Successivamente, durante il fascismo, al corpo vennero attribuite la funzione di formazione del cittadino, procreazione e sostentamento della razza. All’interno dell’educazione fascista, così come di quella nazista, la ginnastica doveva promuovere specifiche abilità, quali la sincronicità e la simmetria, necessarie per le parate di massa, dimenticando la concezione di corpo come vissuto individuale, espressione dell’essere vivente e mezzo di comunicazione interpersonale.

È solo numerosi anni dopo la caduta del regime che nella società italiana si sviluppò l’interesse per lo sport secondo un’ottica ludico-ricreativa, volto a liberarsi dallo stato di prigionia che il corpo ha lungamente subito. Una svolta radicale avvenne nel 1985 con l’emanazione dei Programmi della scuola elementare, in cui veniva perseguito un ideale di formazione olistica con un conseguente riavvicinamento della sfera corporea a quella cognitiva. Nello specifico, appare estremamente significativa la concezione del corpo, quale elemento costitutivo della personalità e delle relazioni sociali, in quanto viene enfatizzato l’aspetto ludico- ricreativo della motricità, in cui il movimento è considerato alla pari degli altri linguaggi, in una prospettiva di esperienze motorie con modalità e finalità educative diverse, tali da garantire lo sviluppo integrale del soggetto (Sarsini, 2008, p.474). La scuola intesa come luogo fisico diventa, da questo momento, un ambiente di apprendimento in cui acquisire linguaggi ed esplorare il mondo mediante la valorizzazione delle attitudini personali di ciascun allievo.

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In conclusione, è possibile notare una convergenza di opinioni in letteratura che vede proiettare il significato dell’attività motoria in quello di educazione motoria, quale insieme di processi volti alla maturazione dell’individuo e all’apprendimento di abilità e competenze, privilegiando le dimensioni intellettiva, cognitiva, fisica, emozionale, motivazionale e socio- relazionale (Lipoma, 2014, p.11).

L’orizzonte pedagogico ha visto, dunque, un superamento del dualismo corpo-mente, abbracciando sempre più la filosofia di Merleau-Ponty che vede nel corpo un elemento intersoggettivo in costante relazione con il mondo (Merleau-Ponty, 2010) e l’idea piagetiana secondo cui attraverso il corpo avvengono le prime forme di apprendimento.