III. Il mondo delle drag queen: famiglia, lavoro, mimes
2. Madrine, novizie e il decalogo
3.3 Rovyna una degli altr
3.3.2 Cos’avrà di tanto speciale?
Molti erano gli elementi che rendevano “speciale”, o perlomeno, inedito il col- lettivo di Rovyna una degli altri nel panorama politico suo contemporaneo. Il pri-
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mo a saltare all’occhio era ovviamente l’uso della forma del collettivo in politica. Non un candidato, un uomo o donna-immagine che si fa portavoce della linea politica di un partito, ma un insieme di candidati, per l’esattezza trenta. Anzi, il numero variò nel corso della campagna: partiti in una decina, man mano che il collettivo si faceva conoscere attraverso le azioni che organizzava e metteva in scena, nuove persone decidevano di unirsi, e tutti diventavano parte del col- lettivo, che aveva il ruolo di candidato effettivo.
Nelle campagne ordinarie, il candidato è uno e uno soltanto, e il numero non cambia. Coloro che decidono di unirsi a lui, rientrano nella sua squadra di aiutanti, specialisti, consulenti e segretari. La struttura che ne deriva è per- tanto gerarchicamente orientata. Così non era in Rovyna, poiché il candidato e il team coincidevano: ogni persona che si univa diventava parte del candidato e portava una sua techne particolare che metteva a disposizione del progetto. I grafici si univano e, oltre a partecipare alle azioni e a comparire sui cartelloni pubblicitari, curavano anche l’immagine coordinata della campagna; chi si oc- cupava nella vita di tutti i giorni di pubbliche relazioni, si occupava anche della parte logistica; chi faceva il DJ in drag, si occupava dei DJ set durante gli eventi in piazza.
La divisione all’interno di Rovyna era anch’essa alternativa: da una par- te si aveva Rovyna Riot, volto della campagna, che ricopriva lo stesso ruolo di rappresentanza (o di autorità) del suo avversario Formigoni; dall’altra, Stefano Villani compariva sulla lista dei candidati come firma della campa- gna, uno tra tutti nel collettivo, mentre il potere decisionale e creativo era spartito ufficialmente e anche effettivamente tra tutti i membri del collet- tivo e non era nelle mani del solo candidato. Un’altra divisione nel collet- tivo era quella tra il cosiddetto “zoccolo duro”, ovvero la decina di persone che si occupavano dell’immagine e della logistica della campagna (tra loro, Rovyna Riot e Alice) e che facevano parte del gruppo sin dalla sua nascita, e coloro che si unirono più avanti e il cui ruolo, oltre a partecipare agli in- contri del collettivo e a proporre le proprie idee, era di prestare le proprie energie durante le azioni e durante le cene sociali per raccogliere i fondi. Queste persone si inventavano cuochi e camerieri, e lasciavano volantini ai
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passanti mentre Rovyna Riot discuteva con le persone al mercato di viale Papiniano68.
L’aspetto di partitività dei membri del collettivo che agivano “come un’entità”, oltre al fatto di essere tutti parte di un unico, grande candidato col- lettivo, veniva alla luce anche per quanto riguarda la parte creativa, dai discorsi alle azioni. Rovyna, mi raccontò Alice, aveva un ruolo importante nell’ideare le azioni e nel dare loro nomi accattivanti, come Rovyna Sposati! e Rovyna piantala! per le attività di guerrilla gardening, ma era anche vero che quando chiesi a Rovy- na chi aveva scritto i testi che erano stati citati nelle interviste fatte, mi ripose così:
Adesso non ricordo perché era tutto scritto abbastanza a 4 mani... a 8 e a 12 mani, nel senso che chi c’aveva tempo scriveva le cose e poi condividevano […]… queste parole qua me le ricordo moltissimo, […] non so se ho scritto nel dettaglio quelle cose ma... […] Sì, sono idee mie, quindi... Sì, nel senso, buona parte, c’era una collaborazione di tutti, ma anch’io... (Intervista a Rovyna Riot, pp. 277-278)
Non solo. Rovyna Riot quando accettò di prendere parte al collettivo, lo fece a due condizioni: la prima era che la sua identità borghese non venisse rive- lata; la seconda, che insieme a lui partecipassero anche le sue colleghe e pa- renti Nancy Posh, LaZelma e La Fosca. I manifesti elettorali sono abbastanza esplicativi a riguardo: Rovyna Riot è il volto del collettivo, ma è spalleggiata da altri personaggi provenienti dall’ambiente dei locali alternativi di Milano che fungessero da cassa di risonanza per il messaggio e l’immagine di Rovyna,
68 http://www.youtube.com/watch?v=Y1St2430bBw Figura 7. Rovyna
Riot al mercato, con il cesto rosa dei diritti.
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nonché da cuscinetto per Rovyna Riot stessa, in modo da formare quasi una “isola di sicurezza” che la tutelasse. Come disse Erik:
[Scegliere una drag queen come volto del collettivo] è un messaggio molto forte, nel senso che visto quello che può essere la società, se ci sono quei tabu, quelle cose di cui uno ancora non parla perché... comunque il discorso... omosessualità, travestitismo... cioè: è una cosa che ancora fuori per la strada, mh. [Segno di: meglio di no] Quindi ci vuole anche un po’ quel-, quel pelo sullo stomaco, dire: “Vado io, in mezzo alla gente. Vado fuori dal mio ambiente, mi sento un attimino più vulnerabile, però voglio dare un messaggio”. Ed è fondamentalmente quello che ci stimola di più, fare questa cosa fuori. (Intervista a Erik Deep, p. 10)
L’unione fa la forza, soprattutto in una situazione di maggiore vulnerabilità, perché espiantata dal contesto abituale. Usando una metafora mutuata dalle parole de Ladalgisa, Rovyna è scesa dal palco, ma non lo ha fatto da sola. Tutte insieme partecipavano alle azioni, insieme distribuivano dépliants dal camion- cino dell’orto frutta con la musica ad alto volume dalle casse, insieme posavano per i servizi fotografici della campagna. Inoltre, sia Nancy che LaZelma che La Fosca erano e sono DJ, e misero questa loro techne a disposizione del collettivo, animando con i loro DJ set le azioni di Rovyna.
Oltre alla “collaborazione”, un’altra particolarità di Rovyna era l’interat- tività delle azione che metteva in scena. Tutte le azioni erano ideate in modo tale che non ci fosse solo Rovyna Riot, ad esempio, chinata sulle aiuole cittadi- ne a piantare ciclamini fotografata da tutti i giornali e ripresa dalle emitten- ti televisive, ma che promuovesse e guidasse queste azioni collettive. Rovyna, insieme al resto del collettivo e ai sostenitori si univano e organizzavano delle azioni di guerrilla gardening e piantavano di notte fiori nelle aiuole.69 Quando Ro-
vyna una degli altri si recò al mercato di viale Papiniano (MI) per fare propaganda,
si ritrovò nello stesso spiazzo dove si trovavano i banchetti del resto dei partiti
69 Per quanto si possa considerare un’azione che dimostra spiccata sensibilità ecologica nonché lodevole volontà di abbellire una città piena di grigio quale è Milano, il guerrilla gardening, come lascia intuire il nome stesso, è un’azione illegale, perché va a deturpare, o meglio: va a modificare suolo pubblico (le aiuole) che è di competenza del Comune. Per questo motivo, Rovyna piantala! fu un’azio- ne squisitamente notturna.
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(PD, PdL, Lega, SEL stesso, Radicali). Quel- lo che fece però, non fu piantare un ga- zebo, appendere qualche poster e cartello e aspettare che gli elettori venissero, ma ideò una “pesca dei diritti”. Una scatola della frutta dipinta di rosa tra le mani, Ro- vyna Riot avvicinava i passanti e chiedeva loro di pescare uno dei tanti biglietti dentro la scatola. Su ogni foglietto, come nei biscotti della fortuna, era contenuta una frase e indicava un diritto. In base a cosa veniva pescato, Rovyna interrogava i passanti: secondo loro, quel diritto era tutelato nella loro città?
Ancora: Rovyna sposati! era ideato in modo tale che qualsiasi persona pas- sasse da piazza Cordusio avesse la possibilità di potersi sposare, eterosessuale o omosessuale che fosse. Ma senza i passanti che arrivavano e decidevano di sposarsi, l’azione non avrebbe avuto significato né modo di esistere. In questo si trova la relazionalità della campagna elettorale di Rovyna una degli altri.
La decisione stessa di usare le “azioni”, ovvero il guerrilla gardening, i flash-
mob e i DJ set clandestini segnalava un’altra caratteristica di Rovyna una degli altri
di enorme interesse per la mia ricerca, ovvero la performatività. La campagna era organizzata come una staffetta le cui tappe erano le numerose performance organizzate dal collettivo e che assommate tra di loro costituivano una perfor- mance più grande ancora, la campagna elettorale stessa. Rovyna utilizzò espres- samente il termine performance per descrivere il proprio modo di fare politica:
Una candidatura come Rovyna, no? Un po’ che doveva essere un momento di rottura con tutto […]. Mi interessava […] dare uno sguardo, dare un occhio a tutto questo tipo di dinamiche, e mi piaceva come si potesse coniugare con... il travestitismo, no? Nel senso che, come-, come una performance legata a qualcosa di utile, fondamental- mente. (Intervista a Rovyna Riot, p. 267)
L’idea per me era di comunicare un appunto l’esperienza... politica... anche una sorta di performance ma non fine a se stessa, non mi interessava poi [che] la cosa ricadesse su Rovyna in quanto personaggio, ma appunto sul collettivo, e il collettivo era stato abbastanza un bel collettivo e mi piaceva avere la possibilità di fare delle cose con cui la gente potesse interagire. (p. 270)
Figura 8. Manife- sto elettorale per Rovyna una degli altri dal titolo Io sono Rovyna. Tutti i membri del colletti- vo sono ritratti con la parrucca leonina di Rovyna Riot.
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Le azioni messe in atto dal collettivo, anzi, per la loro spettacolarità se non ad- dirittura teatralità (basti vedere il flashmob eseguito per celebrare la Costituzio- ne), si iscrivono a pieno titolo nella categoria performance, e nel caso particolare di Rovyna Riot e delle sue colleghe, di performance in drag. L’unica differenza tra questa modalità di fare-performance e quella più comune per Rovyna e le altre è che si svolgevano all’aperto, sia di giorno che di notte, e in contesti molto lontani dai locali della vita notturna milanese. Erano tutte collocate, al contra- rio, in contesti urbani e in luoghi chiave per la quotidianità: le strade, la piazza del mercato, piazza Cordusio.
L’azione politica, il “fare le cose” diceva Alice, di Rovyna una degli altri, era in sostanza la cosciente reinterpretazione della campagna elettorale come un
fare-performance, ovvero un fare-campagna. Questo non per dire che anche i politi-
ci di professione come Formigoni, non siano coscienti di ciò che Jeffreys (1993, p. 187) chiama “the politics of performance and the performance of politics”. Semplicemente non usano degli strumenti durante le loro campagne elettorali che sottolineano questo aspetto, e anzi si attengono a un determinato codice di condotta durante tutti questi eventi – cosa possono o non possono fare, dove possono andare e come possono promuovere la loro candidatura. Rovyna una degli altri nasceva come un collettivo di “rottura degli schemi”, e decise di so- stituire questo codice con nuovi strumenti che permettessero alle persone di interagire e di prendere attivamente parte al fare-politica.
Il collettivo Rovyna, infine, come mi disse Alice, questa esperienza fu se- gnata da “errori” e “incertezze”, ma questo non toglie che fece un uso inaspetta- tamente acuto dei mezzi di comunicazione di massa per un gruppo così piccolo e non istituzionalizzato. L’articolo del 10 marzo fu il punto d’inizio vero e pro- prio: un giornale nazionale si era interessato al caso Rovyna, e di conseguenza, molti altre testate si rivolsero al collettivo in cerca di risposte. Si era creato un mistero, e subito prese piede una “caccia alle streghe” nel tentativo di dare un nome e in indirizzo a Rovyna Riot, a volte raccogliendo dati di alcuni membri del collettivo e spacciandoli per suoi. Il collettivo era sotto assedio telefonico, e ciò che Rovyna faceva era contrattare con i giornali:
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Ero bombardato al telefono, io e i ragazzi del collettivo, di queste di queste cose. L’ultima... penso l’ultimo patto che ho cercato di negoziare era di pubblicare il mio nome e cognome se avesse pubblicato il nome e cognome dell’intero collettivo, che erano circa venti persone. […] e lì, no, loro non hanno [accettato]. (Intervista a Rovyna Riot, p. 273)
Alla fine, uscì un’intervista in cui Rovyna rivelò la qualcosa di più preciso sulla sua biografia, ma il suo vero nome non venne mai reso pubblico. Rovyna una degli
altri, dunque, attraverso un uso strategico dei mezzi di comunicazione, riuscì a
tener fede ad alcuni punti ritenuti intoccabili (l’unità del collettivo nel rivelare le identità di Rovyna), concedendo solo determinate informazioni e sfruttando a proprio favore la visibilità ottenuta, senza subire in modo passivo l’azione e il potenziale mediatico portato da stampa e televisione.
Le peculiarità, ricapitolando, di Rovyna una degli altri erano il carattere partecipativo, la natura performativa della sua campagna, l’interattività delle “azioni” e un uso strategico dei mezzi di informazione.