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III. Il mondo delle drag queen: famiglia, lavoro, mimes

2. Madrine, novizie e il decalogo

2.7 Il decalogo della travestita

2.7.2 Nancy madrina

Come madrina, Nancy Posh si può dire che fosse quella più didascalica delle due. Nei suoi insegnamenti non mancavano precetti ben precisi, recitati dalle sue “cavie” praticamente a memoria, su postura camminata e pose, anche se il suo insegnamento più importante pareva essere una sua particolare filosofia di

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vita e di performance di cui parlerò più sotto. Tra i precetti, chiamati da Rovyna “decalogo che si tramanda di madre in figlia” e descritti come “molto rigid[i]”, possiamo citare anche questa sua affermazione:

Io non ho nessun problema ad uscire in tuta, ma Rovyna non uscirebbe MAI senza il rossetto o MAI senza un capello a posto. E quindi, cioè... […] poi ci sono delle cose molto rigide, delle... del mondo del trave-, delle travestite. Nel senso, MAI scarpe basse, MAI senza rossetto, MAI... (Intervista a Rovyna Riot, p. 305)

LaZelma, durante la sua intervista, fu ancora più precisa per quanto riguarda quelli che chiamò “i classici trucchi da travestita”:

Spalle indietro. […] Tette in fuori. […] Nancy è quella che mi ha insegnato oltre a truccarmi, a camminare sui tacchi, quindi a comportarmi da travestita. La travestita non sta mai gobba, in avanti – cosa che io invece da uomo, sempre. […] La travestita sta sempre petto in fuori e... spalle indietro, anche se all’inizio dici: “Ma no, ma mi si vede tutto!” – è così, punto. Sempre quando fai le foto, mento in avanti, leggermente aperta la bocca, stringere le guance, sempre, leggermente in fuori la mandibola […] una gamba avanti all’altra sempre leggermente di profilo. […] Di tre quarti […] con invece le gambe al contrario, in modo che si esaltino le forme… […] Camminare sui tacchi e slanciare sempre il peso in avanti. Mai, mai, così, il passo insicuro. Al limite passi corti, ma col peso, se ne va già in avanti, altrimenti sei Frankenstein, per inten- derci. (Intervista a LaZelma, pp. 22-23)

Oltre a questi norme di ordine pratico, per sembrare e muoversi come una tra- vestita, Nancy insegnò anche cosa vuol dire essere una travestita:

La percezione di immagine dell’esterno, cioè... hai gli occhi puntati addosso e puoi permetterti, da un lato in-, nel senso, sei non giudicato, perché ovviamente sei una travestita, quindi nessuno ti può giu[dicare]. […] Sarebbe ridicolo che uno ti additasse dicendo: “Ah! Ma è-, sei una travestita!”. Sì. Certo. È come […] additare una mora e dire: “Ah! Sei una mora”. Sì, logico. Dall’altra parte puoi permetterti di fare cose che da uomo non potresti mai permetterti di fare, è un’arma a doppio taglio, insomma. (Intervista a LaZelma, p. 24)

Anche Mirco mi raccontò abbastanza in lungo riguardo al ruolo di Nancy. Quel- lo che aveva fatto, in sostanza, era offrire (molto causalmente) il proprio guar- daroba a Mirko che un Halloween aveva mostrato di volersi travestire da qual-

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cosa ma non sapeva da cosa. Usando il richiamo: “Senti, io c’ho la roba. Se tu hai [bisogno]” (p. 16), come un bravo predatore che aspetta di agguantare una pre- da, Walter aveva captato le potenzialità di Mirco e lui accettò subito, decidendo di travestirsi proprio da Nancy Posh. I soliti consigli su postura e pose da tenere per le fotografie non mancarono. Le serate in cui Mirco si travestiva, sempre prendendo in prestito abiti di Nancy, andarono aumentando e con esse, crebbe anche il bisogno di scostarsi da Nancy Posh, di creare un personaggio originale, Mirkattiva. Questo passaggio venne incoraggiato da Walter, che anzi si prodigò per dare il proprio contributo di mentore e madrina:

Bisognava sempre un pochino più scostarsi. Quindi, con Walter una volta io gli ho detto: “Walter, guarda che mi sa che qui bisogna che mi crei un personaggio”. Allora lui mi ha detto: “Ma tu chi vorresti imitare”, così. Imitare, cioè, mi permetto – no, non è corretto imitare, però mi diceva: “Chi vorresti-, da chi vorresti trarre spun- to magari”, poi con che cosa e via dicendo. Io mi son fatto due o tre idee, ho visto che molte cose comunque mi tornavano e vedevo che richiamavano sempre un po’ quell’aspetto, un po’ anche da fumetto giapponese, che ogni tanto usa anche Nancy Posh con alcuni. (Intervista a Mirco, p. 19)

L’unica cosa che non toccò mai a Nancy, con Mirkattiva, fu truccarla. Mirco, che da solo non sa truccarsi, ha un’amica che fa la truccatrice ed è lei che lo aiutò durante tutte le serate, anche se il suo proposito è quello di imparare un giorno “anche per essere un po’ più autosufficiente” (p. 19).

Con Rachele, invece, l’ultima “cavia” di Nancy, ci fu bisogno oltre che di insegnare i precetti fondamentali, anche di truccarla, sebbene, come mi disse durante l’intervista “pian piano, [avesse] anche imparato come ci si trucca” (in- tervista a Rachele De Niro, p. 18). Era esattamente quella la scena che vidi al pri- ma volta che partecipai allo Squat e mi fu concesso di vedere i preparativi per la serata. Nancy e Rachele erano arrivate insieme, già vestite, ma Rachele non era ancora completamente truccata. Si erano allora accomodate su due sgabelli alti e Nancy si era messa al lavoro, con attenzione e cura. Rachele, dalla sua, però, aveva di sapere cucire a macchina, capacità da non sottovalutare in un ambiente come quello dei performer in drag, dove la necessità di abiti disegnati appositamente per il proprio corpo è sempre grande, e pressoché unico nel circolo del Toilet.

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Anche Rachele mi parlò della necessità di creare un personaggio proprio, senza lasciarsi influenzare dagli altri, dai cognomi pornografici di Rovyna, né dal mantra di Nancy Posh, “Nuda!”. Walter, forse per una deformazione pro- fessionale, è abbastanza abituato agli aforismi. Durante la nostra intervista, infatti, ne producemmo sia lui che io una quantità smodata, e tra questi molti riassumevano la sua filosofia sul fare-performance e sulla vita:

Le nuove drag crescono. E quindi è anche divertente vedere come diventi un po’ un punto di riferimento. Da chi ti chiede i vestiti, a consigli, dal suggerimento per il nome, a come fare, come camminare, la musica da mettere. E anche perché spunta- no tipo, una dietro l’altra, quindi no: fa anche piacere. C’è spazio per tutti e avanti il prossimo. Tipo te. (Intervista a Nancy Posh, pp. 344-345)

[Le nuove drag hanno visto che quello che faccio] non viene fatto con lo spirito del... la cula acida, ammazziamoci, la competitività... È una cosa che è nata per div-, intan- to, per me stesso, come piacere personale, artistico eccetera, e il messaggio è sempre stato quello. Così, come la musica che ho sempre messo: piaceva a me, poi se gli altri la volevano ballare, bene. Se no ciao. (p. 345)

La cosa vincente è che probabilmente penso, non so, di aver con-, trasmesso, è quella di che ci si può fare la figa, la super figa, la super star ma non essere necessariamente la regina cattiva delle fiabe. (p. 345)

Dove passa Nancy Posh escono solo travestite. (p. 345)

Han visto che è vincente il discorso di “Sii te stesso”, il discorso di “Anche meno funziona lo stesso” e ci si può divertire. Quindi ti vedono come punto di riferimento. Tipo la matrona del bordello. (pp. 346)

È inutile che ti vesti come quel personaggio; puoi iniziare così, poi devi però svilup- pare. Devi avere il tuo nome, il tuo look, la tua personalità. E l’emulazione, no, i vari snatch game di RuPaul sono snatch game, punto. Però non funziona. Perché poi queste cose le devi portare fuori. Ti vedono come un punto di riferimento, quindi ti chiedono... io li incoraggio sempre a vestirsi come vogliono, comprare un po’ le cose che vogliono, ad essere sé stessi, a non imitarsi tra di loro e a portare la loro personalità... fuori. Fuori su un palco, ma anche in un locale, quando lavorano o non lavorano. E ti prendono un po’ come... veramente la mamma che li-, le incoraggia, insomma. (p. 346)

Ecco, un’Alaska [una concorrente della quinta stagione di RPDR], che comunque, cioè, se la vedi, le ciglia se le attacca tipo qua [in fronte] perché non è capace. Si trucca di merda... però, cazzo! Cioè, viene fuori la personalità. […] Oppure, i vestiti che cadono a pezzi – benissimo! Cioè, ti cade a pezzi il vestito? Fallo vedere! Dillo! Perché è il tuo punto forte. E quindi ti guardano con-, cercano forse sempre un po’ l’approvazione nel fatto che le-, le conforti nel farle essere sempre quello che sono. Sempre sotto di me. (p. 347)

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Nel senso che ti aiuta tantissimo, quando poi torni in borghese,31 a... prendere e dare

forza a quelle che tra virgolette sono i difetti. Per cui i difetti a volte sono le tue qualità messe un po’ nell’ombra. Quindi come diceva Andy Warhol: “Quando hai un difetto, fallo vedere”. Hai un brufolo? Incontri una persona: “Guarda! Hai visto che brufolo?”. Tolto il dente, tolto il male. Lo sanno. (p. 348)

Diciamo che hanno iniziato perché comunque supportate da me. E che... questo messaggio l’hanno ben recepito. Nel senso che hanno visto che lì – veramente l’a- forisma ancora, quando uno dice: “Ma, Everybody is a star”. […] Cioè, puoi davvero essere un cesso incredibile, non saperti vestire, non saperti truccare, ma puoi essere qualcuno davvero. E... e funzionare! (p. 358)

Anche nel caso di Nancy Posh, il complesso trucco-parrucco-abito non era la parte più significativa del suo insegnamento di madrina. Quello che voleva trasmettere è l’idea che attraverso la creazione di un personaggio si possono trasformare quelli che consideriamo nostri difetti in punti di forza; che una personalità originale, più che una certa perfezione stilistica, risulta vincente. E che tirare fuori queste debolezze per farne punti di forza non è un’azione solipsistica, ma sociale. È attraverso la risonanza con gli altri, è mettendo in chiaro quelli che crediamo essere i nostri limiti che scopriamo che sono anche degli altri e che forse non sono affatto limiti.

Nancy cominciò a suonare la musica che piaceva a lei, mescolando pop e metal, rock e funky, perché non c’era nessun locale a Milano che osasse fare altrettanto, e si era fatto l’idea di essere l’unico a cui piacesse questa commi- stione di generi. Come comprese subito, non era l’unico, e anzi tante persone gradirono questa operazione ardita che premiò lui e la sua serata per molto tempo. Il tipo di fare-performance portato avanti da Nancy, nelle sue parole, si configurava come una “seduta terapeutica micidiale” che consiglierebbe a tutti di travestirsi “almeno una volta nella vita e non solo a carnevale” (p. 358).

[Quella che percepisci come un tua debolezza] è quel lato oscuro che sembra tipo una malattia piuttosto che un fantasma, che ti fa crescere. Cioè, è quel bambino che è sempre lì... è la tua insicurezza, è il bambino insicuro che è in tutti noi, che è lì che vuole uscire, tu non vuoi farlo uscire. Quando lo fai uscire da drag… […] Eh, beh, dici: “Cazzo, è vincente questa cosa!” (pp. 358-359)

31 Essere in borghese è un’espressione che ritornò spesso durante molte delle interviste. Indica il look quotidiano, proprio della persona, in contrasto con quello “in armi” tenuto dal personaggio.

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