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III. Il mondo delle drag queen: famiglia, lavoro, mimes

2. Madrine, novizie e il decalogo

2.8 Contro il decalogo

Il rapporto tra madrina e novizia, come già illustrato più in alto nel caso di Lady Violet e Cassandra Casbah, in forza di coordinate quali la differenza di età e la differenza di esperienza, non può essere immune dalle dinamiche di potere di cui già parlai. Essere madrina e novizia non vuol dire solo insegnare/imparare un insieme di nozioni e un qualche tipo di techne, ma vuol dire anche trovarsi in una situazione in cui queste nozioni vengono messe in discussione. In cui, più in particolare, il decalogo viene messo in discussione.

La techne, dunque, si configura come un sistema elastico, che attraverso la riproduzione ingloba il mutamento (Lai, 1996) e anzi in un qualche modo non può sottrarvisi, soprattutto in un ambiente come quello dei performer in drag, dove il ricambio generazionale si misura in decine di anni se non meno. Ho po- tuto osservare in modo diretto questo scontro o scarto generazionale parlando con i miei interlocutori, in quattro occasioni in particolare. La prima è quella che vede Lady Violet e Cassandra come protagoniste; la seconda riguarda, sem- pre in ambito Gaudenzia, lo scarto tra l’approccio rigoroso al fare-performance di Lady O e quello più libero ma non meno professionale di Cassandra, come me ne parlò Huma:

Pericoloso. Se ti arriva un ceffone da Lady O, io... Ma basta il suo sguardo di disappro- vazione. Quando sa che Gianluca fa due numeri consecutivi con lo stesso vestito... sguardo glaciale. Non sia mai! Sì, ha questo rigore nel fare le cose, Lady O, che è ap- prezzabile. (Intervista a Niccolò Umattino, p. 16)

Lady O aveva delle regole precise: mai due numeri consecutivi con lo stesso co- stume, ogni costume ha il suo paio di scarpe abbinato. A questo decalogo di ri- gore professionale faceva da contraltare il mantra “Divertiti quando fai le robe” (p. 16), che certamente agli occhi di Lady O pareva davvero un segno della stessa

sciatteria32 di cui accusava Cassandra, ma che rivelava un passaggio da un mo-

32 Con sciatteria, Gianluca intendeva la propria mancanza cura formale nel conservare i suoi costu- mi di scena o nell’applicare il trucco, al contrario di Lady O, che si rifaceva a un ideale più glamour, o patinato, (seguendo Newton) di performance, dove la cura del dettaglio nel trucco e negli abiti è centrale, più dell’interpretazione.

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dello di fare-performance più patinato e mainstream – dominato dal numero in playback e simboleggiato dai lustrini e dalle piume degli abiti che Lady O aveva regalato a Cassandra ma che Cassandra solo raramente usava ma che, al con- trario dei propri costumi, qualche volte prestava anche alla novizia Huma – a una modalità di fare-performance più teatrale e attenta alla tecnica attoriale e alla costruzione del personaggio nel cercare di rendere efficace la performance. Come disse Ladalgisa:

Abbiamo questi brani, facciamo una prova con Gianluca e di solito noi abbiamo già un po’ provato, Gianluca ci dà degli accorgimenti di carattere coreografico, ci mette addosso degli oggetti, ci dice di utilizzare magari un carattere più negativo, o uno più positivo, oppure ci dice come interagire tra di noi in un certo modo... Tipicamen- te, non so, ti dice di riprovare a fare questa cosa con l’ombrello aperto, con la borsa in mano, con la chitarra, seduto, in piedi... oppure... ecco, è molto interessante perché Gianluca riesce sempre a trovare rispetto quello che facciamo noi, anche se io non lo so bene all’inizio, lui riesce sempre a trovare come un sentimento, come un’emozio- ne, che... in realtà tu hai un po’ dentro. (Intervista a Ladalgisa, p. 3)

Lo scarto nasceva dalla storia personale di Gianluca. Essere un attore diplomato influenzò il suo modo di fare-performance e, di conseguenza, modellò il suo modo di essere madrina. Aveva riposizionato i pesi sulla bilancia, dando più rilevanza a un aspetto che prima non ne aveva molta e relegando in secondo piano ciò che per la generazione di Lady O era considerato centrale: la cura del complesso trucco-parrucco-abito e il numero in playback come mezzo espres- sivo.

Il terzo caso riguarda un dialogo, da me già citato in altro contesto, avve- nuto tra Rachele e Rovyna (che tecnicamente non era la madrina di Rachele, ma che ebbe un ruolo altrettanto importante nel convincere Rachele a trave- stirsi al prima volta), un giorno durante le due famose settimane di prepara- zione prima di uno Squat. Si stavano scambiando idee su Whatsapp, e questo è quello che successe:

Parlavamo di trucco, una roba del genere. E lei mi fa: “Mai! Mai una... una travestita dovrà fare una roba del genere!”, o una cosa così. E io […] gli ho scritto: “Ma Rovyna,

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ma guarda che non esiste più un protocollo!”. È questa la differenza: se prima c’era un protocollo, adesso non esiste più. Cioè, è... un’espressione libera […]sta diventando un’arte vera e propria. (Intervista a Rachele De Niro, p. 28)

Lo scarto in questo caso sopraggiunge perché per Rachele non esisteva più al- cun “protocollo” nel fare-performance en travesti. Fare drag era un’arte, e come tale, non ci dovevano essere più limiti o divieti, i “mai” di Rovyna. Questa vi- sione, mi disse Rachele, era stata influenzata dalla visione di RPDR. Il format del programma rendeva centrale quello che fino ad allora per il pubblico degli spettacoli in drag era quasi completamente sconosciuto: il backstage. Attra- verso la riqualificazione del backstage come spazio e tempo di creatività, dove si premiano l’originalità e la professionalità, si era potuto creare un nuovo im- maginario della drag queen come professionista dello spettacolo e ad elevare ulteriormente il livello di professionalità della categoria intera ad arte vera e propria, che richiede un insieme di conoscenza, esperienza, estro e serietà.

L’ultimo caso vede Nancy Posh protagonista. Lo scarto in questione non si aveva con una sua ipotetica e inesistente madrina, ma con un modo di fa- re-performance che Walter definì “old-school” e che esemplificò attingendo anche lui a RPDR:

Non c’è un... un protocollo: “Allora, la drag dev’essere così, vestita così, truccata così...”. Sì, probabilmente c’è, ma è veramente old school, quando fai la... Roxxxy An- drews [una delle concorrenti della quinta stagione del programma] della situazione. Sì, ok, tanto rispetto, ti stai truccare bene, ti sai vestire bene, sei bene, però... (Inter- vista a Nancy Posh, pp. 346-347)

Roxxxy Andrews diventava un simbolo di una modalità di fare-performance in cui la forma fa da protagonista. Uno stile démodé, dove la perfezione stilistica, una perfetta esecuzione di trucco e parrucco, crea ammirazione ma lascia a de- siderare sul versante dell’originalità e della personalità, rappresentata al polo opposto dalla concorrente Alaska Thunderfuck, e anzi spesso induce all’anti- patia. Al posto della perfezione formale, Walter poneva al centro il potere tera- peutico del suo fare performance, dove il performer attraverso la sua persona-

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lità carismatica superava le proprie debolezze mentre permetteva agli altri di specchiarsi nel suo personaggio e superare le loro debolezze. E per fare questo, essere vestito Lanvin, come mi disse, non serve a molto.

Il “decalogo” e la techne dei miei interlocutori erano intese come un in- sieme di conoscenze e standard a cui attenersi ma non fisse. Non erano leggi immutabili, ma parametri variabili che ogni performer accoglieva e riseman- tizzava secondo la propria sensibilità, seguendolo, creando a volte un decalogo totalmente nuovo che riflettesse le proprie modalità di fare drag deviante ri- spetto al modello dominante (Cassandra Casbah e Lady O, Nancy Posh e Roxxxy Andrews), o annullando direttamente il decalogo che veniva proposto all’inter- no del proprio gruppo di riferimento (Rachele De Niro e Rovyna Riot).