II. Drag queen, berdache, humour e festa
3. Storia e internazionalizzazione
Ricostruire una storia, o raccontare le storie, del drag (queening in special modo) è un’impresa pressoché titanica: alcuni hanno tentato (Perri, 2000; Se- nelick, 1989; Halladay, 2004; Rachamimov, 2006) ma i risultati rimangono non completamente soddisfacenti, poiché anche quando vengono presentati studi di stampo storico e situati con maggiore precisione (Halladay e Rachamimov) rimangono una manciata di episodi senza un senso di continuità. Il motivo risiede nella difficoltà di individuare un discrimine tra il complesso simbolico e culturale del drag per come è conosciuto in ambito euro-americano e in par- ticolare italiano, e il fenomeno del travestitismo tout-court. Quest’ultimo sem- bra particolarmente difficile da rintracciare perché forse, come Senelick (1993) sostiene, il travestimento è molto più antico delle civiltà a cui si fanno riferi- mento di solito le ricostruzioni sul drag: più antico del teatro vittoriano e del
vaudeville, più antico del teatro elisabettiano, più antico del kabuki e più antico
del teatro greco-romano. È anzi molto probabile, per dirla con Garber (1997), che il travestimento sia legato all’epoca, remota ma difficilmente individuabile a li- vello storico con precisione, in cui i vestiti cominciarono ad assumere un valore simbolico (il vestiario come codice di abbigliamento) e tramite essi iniziarono a venire elaborate le differenze tra i generi maschile e femminile (oltre che a livello di divisione del lavoro, di procreazione e di politica). Una volta definita una differenza, passare da una parte all’altra divenne possibile perché pensabi- le. Questa rimane tuttavia un’ipotesi, non provata, che condivido con Garber e che, nella pratica, pone chi si accinge a studiare il drag davanti a un necessario impasse: una ricostruzione storica accreditabile di un fenomeno così radicato a livello globale non è per nulla semplice.
Meno difficoltoso è ricostruire la storia del travestimento declinato nel- la forma del drag in ambito americano: in questo caso, di indubbia validità è
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l’ipotesi che prenda le mosse ora dall’ambito teatrale vittoriano del vaudeville, un genere di spettacoli di varietà in cui comparivano anche personaggi fem- minili interpretati da uomini e viceversa (Perri), ora da quello circense (Mau- rer e Clay High, 1980), e che da lì si sviluppi in una pratica performativa a sé stante diffusasi anche in ambito mitteleuropeo che, ancora oggi, è prodotta e consumata da un pubblico prevalentemente omosessuale. Anzi, è probabile che senza la nascita dell’omosessualità come categoria medica e poi psichia- trica e penale a cavallo tra il XIX e il XX secolo, e del conseguente svilupparsi di una coscienza dell’omosessualità come identità sessuale deviante che po- siziona chi vi si riconosce in una fetta della società separata dal resto, non si sarebbero mai nati locali e quartieri, nonché una cultura intesa sia a livello letterario che di pratiche, indirizzati a una clientela prettamente omosessua- le (si veda la Berlino durante Repubblica di Weimar) né il drag si sarebbe po- tuto sganciare dal teatro, o dal circo.
Una cosa tuttavia è sicura: il drag è legato al concetto di performance e alla cultura popolare, di cui il genere del vaudeville e il circo sono emblema- tiche esemplificazioni. L’ambito performativo teatrale e circense, purtroppo, non hanno mai attirato l’interesse di storici e studiosi se non in tempi molto recenti, perché considerati non rispettabili o degni di nota: il legame tea- tro-prostituzione, coniato in epoca romana, fu percepito come pienamente operante fino al XVIII secolo ed teneva bloccato l’accesso delle donne al palco, mentre il legame tra circo e etnie nomadi rom, tuttora esistente, lo posizio- nava al di fuori delle società stanziali e più spesso in una posizione di mar- cata inferiorità o forte esoticità (si veda, ad esempio, l’impiego negli spetta- coli circensi di freaks, personaggi a tratti meravigliosi e a tratti mostruosi). Si aggiunga a questi elementi, il fatto che il drag si pone come performance nicchia all’incrocio di questi due ambienti, traendo il proprio senso dal fatto di giocare con i generi – e che la società euro-americana è molto sensibile a tutto ciò che va ad intaccare la divisione tra i generi: si avrà così un quadro delle ragioni per cui una storia del drag è difficile da ricomporre. Fondamen- talmente, latitano le fonti.
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È un attimo. Relazionalità, performance e politica tra le drag queen di Milano
storia del drag dovrebbe trovare risposta. Nemmeno in ambito italiano man- cavano forme di travestimento culturalmente modellate. Il teatro italiano, soprattutto durante il periodo d’oro della Commedia dell’Arte, sempre in ma- schera, non vide che interpreti maschili, e questi ne rimasero gli indiscussi protagonisti fino al XVIII secolo. D’altra parte, esistevano altre tradizioni di non-conformatività di genere, come quella ormai quasi totalmente estinta dei femminielli napoletani, ovvero uomini che vivevano come persone di genere femminile e trovavano un loro posto nell’economia della “società di vicolo” rionale, dove si occupavano di riti per la fertilità durante i pellegrinaggi al santuario di Montevergine (ex tempio di Cibele), di comunicare con i mor- ti del purgatorio e di interpretare i sogni da quelli inviati secondo la smorfia napoletana. In questo, non si discostavano molto dagli hijras indiani, nel loro avere un ruolo sacrale legato alla fortuna e alla fertilità socialmente ricono- sciuto (Borruso, 2007, pp. 112-113), e ai travesti brasiliani, nel loro inserirsi in un contesto culturale dove il dimorfismo sessuale corrisponde a quello di genere e dove il recipiente in un qualsiasi atto sessuale (si tra uomo e donna che tra uomini) può costruirsi sessualmente “donna” (Cuomo et. al, 2010, pp. 182-185). La grande differenza tra il drag per come è conosciuto oggi e la tradizione dei
femminielli, è che i femminielli non si toglievano gli abiti femminili per tornare in
quelli maschili. Il loro passaggio era definitivo. La dimensione dello spettaco- lo, della performance come atto circostanziato e che ha un inizio e una fine, sembra mancare.
Il passaggio dai femminielli, se mai è esistito, al drag in ambito italiano comunque rimane non chiaro. Oserei addirittura dire che una relazione di de- rivazione o filiazione non sussista nemmeno. Più che altro, i due fenomeni pa- iono assimilabili a cugini. Ritengo molto più probabile che il drag per come è conosciuto ed esperito in ambito italiano, come performance che sfrutta il travestimento nei panni del genere opposto, sia di derivazione anglo-sassone e che la sua importazione fu agevolata e influenzata dalla presenza di tradizioni precedenti, come quella dei femminielli, seppure per me calcolare l’impatto di questa particolare tradizione non sia possibile. Ritengo, inoltre, che l’impor- tazione risalga a un momento non ben precisato successivo alla fine della se-
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conda guerra mondiale9 ma sicuramente precedente gli anni Novanta. Pongo
questo paletto ben preciso, gli anni ’90, sulla base dei dati da me raccolti. A Mi- lano, infatti, esisteva l’Alexander, “un celebre locale dove si esibivano travestiti e transessuali. Prima ancora che a Milano si usasse la parola drag queen […] una parola che arriva negli anni ‘90” (Intervista a Gianluca De Col, p. 2-3). La perfor- mance in drag era, dunque, già una realtà affermata anche in ambito milanese ed italiano. Ad essa negli anni Novanta si andò ad aggiungere l’importazione di un nuovo termine per definirne i performer, con le derive semantiche del caso.10
La più che succinta storia da me proposta è solo una traccia, in molti pun- ti ipotetica, di quello che potrebbe essere stato lo sviluppo del genere perfor- mativo del drag, a partire dagli Stati Uniti, passando per il Regno Unito e la Germania e poi arrivando anche in Italia, e del possibile apporto o sostituzione del drag a tradizioni di non-conformatività di genere e sessuali già presenti sul suolo italiano, come quella dei femminielli. Quello su cui, tuttavia, si concentra questa etnografia non è tanto la storia del drag in sé, quanto indagare le im- plicazioni culturali, performative e politiche dell’essere un performer in drag a Milano, nel 2013.
9 Non sono ancora emerse ricerche storiografiche sull’esistenza di performance en travesti duran- te il periodo fascista. È anzi noto come il regime italiano fosse assolutamente ostile nei confronti di ogni performatività di genere non conforme al binario maschio-femmina eterosessuale, che veniva punita con il confino.