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Cosa comunica l’impresa

Nel documento La Comunicazione Corporate: (pagine 116-119)

Qualsiasi impresa deve affrontare problemi di comunicazione, sia al suo interno che al suo esterno. Il fenomeno della comunicazione d’impresa, per quanto riguarda l’Italia, ha le sue origini intorno agli anni Cinquanta, «quando, in alcune grandi aziende, multinazionali del settore petrolifero, come la Esso, la Shell e la Mobiloil, pubbliche come la Italsider e private come la Montecatini e la Olivetti, venivano costituiti in modo autonomo, uffici e servizi di relazioni pubbliche»38.

Negli anni della ricostruzione politica, sociale ed economica nascono dunque i primi settori interni dedicati in qualche modo alla comunicazione e i primi studi professionali; nel 1952 a Roma, nasce la prima agenzia italiana di relazioni pubbliche: la SIPR, fondata da Piero Arnaldi e da Vittorio Crainz.

FEEDBACK

CODICE

EMITTENTE MESSAGGIO CANALE MESSAGGIO RICEVENTE

- ecc.

- STATUS SOCIALE - POSIZIONE - GERARCHIE - CONOSCENZE - ATTEGGIAMENTI - VALORI

- ATTESE CODIFICA

CONTESTO

DECODIFICA

Con un pesante ritardo rispetto alle esperienze anglosassoni, soprattutto statunitensi, si cominciò così a concentrare l’attenzione sul prodotto, cercando di farne «conoscere e qualificare gli elementi distintivi sul mercato»39. Fu, questo, un trend caratteristico della comunicazione aziendale italiana (ed europea) per tutti gli anni Cinquanta e per buona parte degli anni Sessanta, con l’eccezione della “Guida di Identificazione Olivetti” (1967) che, frutto delle intuizioni dello stesso Adriano Olivetti, aiutato da Renzo Zorzi, costituì un decisivo passo avanti nella direzione della politica di immagine: si trattò di un sistema di identificazione «ante litteram, completo nella serie degli items codificati e dettagliato nella descrizione delle modalità applicative»40.

Con il verificarsi di situazioni di tensioni che misero in crisi il ruolo sociale dell’impresa, a cavallo fra gli anni Sessanta e gli anni Settanta, l’attenzione al problema comunicativo si spostò dal prodotto e dalla pubblicità verso considerazioni di carattere globale sotto il profilo dei pubblici di riferimento e dei contenuti: la

“comunicazione globale” divenne un obiettivo centrale nella pianificazione delle imprese, con il conseguente ingresso negli stessi organigrammi aziendali della funzione di relazioni esterne41. La comunicazione globale intende esprimere la totalità dei pubblici che si vogliono coinvolgere e la pluralità degli obiettivi per cui si opera.

In pochi decenni, nonostante molti ritardi e tentativi di assorbimento di modelli stranieri, si è dunque passati da forme di consulenza (che tuttora permangono, al livello personale e soprattutto a quello di agenzia) concentrate sulla pubblicità e sul prodotto alla diretta responsabilizzazione del management in una funzione che è divenuta componente strutturale dell’organigramma aziendale.

Dalla pubblicità e dalla comunicazione orientata sul prodotto si è passati dunque a quella finalizzata al marchio e poi si è estesa l’area delle relazioni

“pubbliche” all’interno dell’impresa, per accedere a una concezione totalizzante, globale e sistemica dei diversi processi di interazione simbolica che sono coinvolti

Di norma, allora, cosa comunica un’impresa? Quali sono le forme dei contenuti dei suoi messaggi? Ad un livello elementare un’impresa o un’organizzazione comunica di produrre qualcosa (uno o diversi prodotti, uno o diversi servizi), caratterizzata da certe qualità: il primo piano sul quale si è collocata storicamente e si colloca tuttora la comunicazione aziendale è quello di un’affermazione degli elementi finali della sua attività e di una loro presentazione di valore, di efficacia, di utilità, di rendimento. Si tratta, in via più generale, della comunicazione pubblicitaria, ma anche dell’effetto di tutte le relazioni sociali che l’impresa instaura per il fatto di esserci e di produrre informazioni, rapporti con i rivenditori, ecc.

Quando la comunicazione riguarda il prodotto o il servizio che costituiscono il fine concreto dell’attività di un’impresa, le funzioni operanti nei suoi messaggi tendono a collocarsi in una zona di sovrapposizione e di incrocio fra una tendenziale referenzialità (informazione, descrizione, comparazione) e una più o meno accentuata acquisizione di valori simbolici, presenti soprattutto nel flusso pubblicitario. Si tratta di costruzioni simboliche vive al livello espressivo, a quello delle modalità significanti, ma anche finalizzate alla costruzione di immagini e di valori destinati a organizzare l’universo affettivo e mentale dei possibili utenti: il loro immaginario collettivo.

Il prodotto e il servizio si trasformano in discorsi, spesso in “storie”, che, per quanto ancorate alla concretezza dei loro presupposti di origine, se ne possono allontanare, avviando una produzione di senso sempre più libera, sempre meno materializzata, sempre più orientata in una prospettiva simbolica. Dove il simbolo tende a prendere il sopravvento è invece nell’ambito dei secondi contenuti comunicati da un’impresa, quelli relativi ad una marca (o ad un marchio).

La marca, che, come ricorda Kapferer, «vive solo se apporta un vero valore aggiunto» e che può essere considerata come «il certificato di cittadinanza delle merci in questo mondo, la loro carta d’identità», sostituisce il prodotto nell’immaginario e nel sistema cognitivo dell’eventuale consumatore. È un intreccio simbolico vivo, continuamente “messo alla prova” dal mercato e dalla concorrenza:

un impegno gravoso per l’imprenditore, perché «definisce i suoi compiti e le sue responsabilità nei confronti del consumatore»42. Dalla product image si passa alla cosiddetta brand image, sulla quale si gioca buona parte del fascino dell’azienda, del suo eventuale carisma, della sua capacità di dimostrare efficienza, modernità, adeguamento immediato e, a volte, anticipato rispetto alle esigenze del mercato.

Secondo Floch43, le comunicazioni di marca «cercano di creare o di conservare una relazione originale e specifica tra il senso e i sensi, ovvero cercano di associare la marca a una corrispondenza particolare di suoni, di colori e di profumi». Sempre secondo l’autore la marca «è un messaggio: l’instaurazione di una relazione.

Impegno, garanzia, promessa o responsabilità da un lato, fiducia, attaccamento o anche ostentazione dall’altro: bisogna essere in due per creare una marca».

Rifacendosi al già citato Kapferer, Floch afferma che «il vero valore aggiunto della marca è nel prodotto; la ricerca continua del miglioramento dei prodotti è la condizione stessa della sopravvivenza di una marca in una economia liberale dove la marca è un sistema di libertà: i consumatori votano ogni giorno».

Un altro livello di contenuti della comunicazione di impresa riguarda invece la corporate identità (cfr. pag. 131) e la conseguente corporate image (cfr. pag. 130). Si tratta rispettivamente della produzione e del vissuto pubblico di un’immagine globale di un’azienda attiva al suo interno e al suo esterno: un’immagine derivante da strategie e da tattiche di comunicazione, ma anche da comportamenti e da atteggiamenti, da tutto il complesso di segnali, di tracce, di messaggi, di simboli e di discorsi che si costruiscono volontariamente e involontariamente attorno al soggetto

“impresa”.

Nel documento La Comunicazione Corporate: (pagine 116-119)