Il marchio è anzitutto un segno distintivo tipico dell’azienda e, come tale, deve essere idoneo a consentire al pubblico di distinguere prodotti e servizi di un’impresa da quelli più o meno simili di un altro soggetto. Il marchio:
• è il nome o il logo di un’azienda, di un prodotto o servizio;
• è il bene immateriale che viene iscritto in bilancio;
• può essere trasferito da un soggetto ad un altro.
Fonte: Brand.Ma quanto vale?, a cura di Predovic D. – EGEA, Milano, novembre 2004 Brand equity
Marca - brand
Marchio - Trade mark
Il passaggio dal concetto di marchio a quello di marca comporta anche il passaggio a un insieme più ampio di valori.
Aaker15 definisce la marca (brand) come un nome o un simbolo distintivo che serve a identificare i beni o i servizi di un venditore o di un gruppo di venditori e a differenziarli da quelli dei propri concorrenti e sottolinea come l’idea esplicita di differenziare tra le marche sia un concetto relativamente recente; prima del XX°
secolo infatti il marchio aveva lo scopo voluto dal produttore di segnalare la provenienza del prodotto a garanzia della qualità dello stesso.
Il brand non è però riconducibile a un unico elemento, non è un bene identificabile, ma è l’insieme di valori che ha scelto di rappresentare: se questo non avviene il brand altro non è che il nome di un prodotto ben pubblicizzato, ma verosimilmente destinato a perdere la propria controparte, il consumatore. Il brand è dunque un segno distintivo sviluppato dall’azienda venditrice, allo scopo di:
• identificare se stessa o il proprio prodotto;
• differenziare la propria offerta da quella dei concorrenti;
• offrire valore ai propri acquirenti.
Un brand può essere espressione di un singolo prodotto come nel caso del Model-T della Ford o della Nutella-Ferrero, o ancora riferirsi a un gruppo di prodotti aventi la stessa funzione come i prodotti Heinz. In maniera più generale, un brand può comprendere un gruppo di prodotti che assolvono a differenti funzioni, ma che hanno in comune caratteristiche chiave riconducibili all’appartenenza alla medesima realtà aziendale e in questo caso si parla di corporate brand (IBM, Gillette, Nestlè).
Il brand serve come simbolo inequivocabile per un prodotto o servizio e la sua funzione può essere assimilata a quella di un biglietto da visita che un’impresa presenta sulla scena competitiva su cui opera, per identificarsi e per differenziarsi dal resto del mercato. Sebbene non ci sia un’univoca definizione di brand la nozione di fondo che emerge è che il brand sia il segno/nome distintivo attraverso il quale il
sceglierlo sia pagando un prezzo superiore al prezzo medio per un bene simile, sia acquisendolo con maggior frequenza rispetto alla concorrenza.
Keller16 suggerisce che dal brand name l’azienda ricavi, rispetto a un prodotto con un brand più debole, benefici quali:
• maggiore fedeltà da parte dei consumatori, infatti una delle determinanti del valore della marca è proprio la fedeltà alla clientela (customer loyalty);
• minore vulnerabilità ad azioni di marketing della concorrenza;
• minore sensibilità a crisi di mercato;
• clientela meno elastica rispetto ad aumenti di prezzo, ma più elastica rispetto a riduzioni di prezzo;
• maggior potere contrattuale nei confronti della distribuzione. Un distributore, infatti, anche in momenti di contrazione del mercato, è probabile che scelga di tenere in magazzino un prodotto facilmente vendibile, aumentando indirettamente la percezione del valore del brand per il consumatore;
• maggiore efficacia della politica di marketing nei confronti di un consumatore già sensibile positivamente verso il brand;
• possibilità di valutare esperienze di licensing e di incrementare così i flussi generati dalla marca per l’azienda che la possiede;
• maggior opportunità di brand extension.
La marca non è solo una proprietà dell’azienda ma essa ha significato, vive e crea valore svolgendo un ruolo anche per il consumatore. Le funzioni della marca per il consumatore possono essere così riassunte:
1. la marca offre una guida nella scelta e accompagna le aspettative sulla qualità del prodotto di marca. Offre dunque un supporto nella formulazione della scelta d’acquisto (componente identificativa);
2. il rischio percepito nella fase d’acquisto, l’incertezza della bontà della scelta possono essere ridotti dalla marca e tale sensazione contribuisce alla creazione di un rapporto di fiducia (componente fiduciaria);
3. la scelta o la non scelta di alcune marche rispetto ad altre può diventare un modo per esprimere la condivisione di alcuni valori, un modo per costruirsi un’identità e manifestarla. Una marca può essere un segno di appartenenza sociale: alcune marche in taluni settori possono generare nell’acquirente un senso di autostima e prestigio (componente valutativa).
La marca è importante per le funzioni che assolve e soprattutto per la sua capacità di produrre valore sia per l’azienda che la possiede, sia per il consumatore, sia in generale per tutti gli altri soggetti esterni all’azienda, ma legati alla marca, i cosiddetti portatori di interessi (stakeholders).
Quando dunque avviene l’incontro tra le funzioni che la marca svolge per l’azienda e le funzioni che svolge per il consumatore nel mercato di riferimento dell’azienda, la marca crea valore e si ha brand equity. Questo termine nasce in occasione delle grandi acquisizioni avvenute alla fine degli anni Ottanta: fu il periodo della corsa all’acquisto di grosse società, o divisioni delle stesse con brand noti. A partire da questo periodo l’attenzione degli studiosi di finanza e marketing si è spostata dal concetto di marca, quale strumento da utilizzare nelle politiche di prodotto e di comunicazione, al concetto più ampio di brand equity, intesa come risorsa da gestire per accrescere il patrimonio aziendale.
Numerose sono le definizioni di brand equity offerte dalla letteratura: la più generale è quella di Farquahar17, ripresa successivamente da Srivastava e Shocker18, secondo i quali la brand equity è il valore finanziario incrementale di un prodotto dovuto al brand.
Aaker19 definisce la brand equity come una risorsa strategica costituita da «un insieme di attività e passività legate al marchio, che accrescono o diminuiscono il valore di un prodotto o servizio per un’impresa e/o per i clienti di quell’impresa»: i fattori determinanti la brand equity sono quindi le risorse e le capacità dell’organizzazione.
Il termine brand equity ha assunto nel tempo un doppio significato:
• consumer-based brand equity. Dopo i lavori di Aaker e Keller gli studiosi di marketing hanno continuato a occuparsi molto di brand equity, intesa però nel senso di consumer-based brand equity, come definita da Keller: «l’effetto differenziale che la concorrenza del brand determina sulla risposta del consumatore al marketing del brand». Le misurazioni della brand equity in questo filone di studi si basano su:
- la percezione che del brand hanno i consumatori;
- il comportamento dei consumatori conseguente a cambiamenti del marketing mix con cui i prodotti branded vengono presentati sul mercato.
• Valore finanziario della brand equity o financial brand equity. Dal punto di vista degli studi di finanza, i primi tentativi seri di stimare il valore del brand furono quelli di Farquahar20 (1989) e Lipman21 (1989). Negli anni Novanta ci si rende conto che il brand va assumendo un valore sempre crescente, ma si diffonde anche la sensazione che i brand stessi non vengono gestiti bene. I responsabili del marketing avvertono che nei sistemi di misurazione del brand più diffusi, viene posta troppa enfasi ai risultati di breve.
Tale forzata propensione a ottenere risultati di breve termine infatti, spesso distoglie il management dall’intraprendere investimenti sul brand, per natura non di breve periodo. Per questo motivo vengono spesso privilegiate attività di promozione che facilitano il temporaneo aumento delle vendite, migliorando i dati di profitto trimestrali, ma minando le potenzialità di generazione del valore della marca. Secondo Aaker una delle ragioni per cui le aziende adottano sistemi di misurazione del valore del brand che si concentrano sul breve termine è da ricercarsi nell’obbligo per le società quotate di rendere pubblici i dati finanziari trimestralmente.
Oggi nella prassi aziendale il termine brand equity non viene quasi mai utilizzato per fare riferimento al valore monetario di un brand, ma per indicare un concetto più
vicino a quello di potenzialità del brand o di semplice forza del brand. Il termine brand equity viene infatti utilizzato per significare un concetto che è più vicino a quello di brand awareness e che comunque non ha sicuramente nulla a che fare con il valore finanziario del brand.