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I cambiamenti del mercato

Nel documento La Comunicazione Corporate: (pagine 28-41)

Per quanto attiene alla produzione, i mercati del XXI° secolo presentano profonde modificazioni. Le principali riguardano:

• la mass customization, cioè la possibilità di ottenere, senza rinunciare ai vantaggi della produzione di serie, un prodotto che risponda a bisogni di specifici segmenti di mercato, al limite di un singolo utente;

• l’eccesso di capacità produttiva in molti mercati dei paesi avanzati e quindi l’ipercompetizione:

• il ruolo spesso dominante in alcuni settori produttivi della Grande Distribuzione;

• la globalizzazione dei mercati.

Fonte: Dott.ssa Rossini L. – Corso di Comunicazione d’Impresa 2005/2006, Università degli Studi di Urbino IMPRESA

SISTEMA ISTITUZIONALE LEGISLATIVO

MERCATO DEL LAVORO MERCATO FINANZIARIO

SISTEMA DEMOGRAFICO SOCIALE

SISTEMA TECNOLOGICO MERCATI DI PRODUZIONE

SISTEMA ECONOMICO MERCATO DI VENDITA

Per quanto attiene all’ipercompetizione va ricordato che poiché le imprese competono nei mercati dei prodotti e in quelli della comunicazione tale situazione caratterizza entrambi e quindi spinge le imprese a farsi concorrenza, anche attraverso le scelte di comunicazione.

Per quanto riguarda il ruolo della Grande Distribuzione va rilevato come l’aumento delle dimensioni, in particolare delle grandi catene al dettaglio, abbia innescato alla fine degli anni Ottanta nel nostro paese e circa dieci anni prima negli Stati Uniti, in Inghilterra e in altri paesi avanzati, una competizione con la produzione per il controllo dei canali. Tale competizione si è sviluppata attraverso la marca commerciale. Con tale strategia il commercio compete con la produzione sul piano delle strategie e politiche di marketing, imponendo propri prodotti collocati in fasce prezzo interessanti, in molti casi con la promessa di pari qualità a prezzo inferiore, e che si avvalgono delle spinte di merchandising del distributore, facendo leva su un brand che può essere promosso attraverso campagne pubblicitarie e attività di comunicazione sia sul punto vendita sia istituzionali.

Il potere della distribuzione si basa inoltre sulla possibilità di catturare l’interfaccia con l’utente finale ottenendo, attraverso l’uso della tecnologia informatica (POS scanner e data mining), enormi quantità di informazioni che le accresciute capacità di trattamento dati nei computer permettono di catturare, archiviare, analizzare a livello di singolo cliente.

Per ciò che riguarda le conseguenze per il sistema di comunicazione, mentre nel periodo precedente il potere del canale era saldamente in mano al produttore e così pure era totalmente controllato dallo stesso il sistema di comunicazione, oggi al centro di tale sistema si colloca il distributore, da cui viene a dipendere il produttore per tutte le informazioni attinenti all’uso e alle scelte dei prodotti e a cui si rivolge il consumatore per avere informazioni sui prodotti stessi.

In concomitanza con l’affermarsi del mercato globale si afferma la comunicazione elettronica a carattere interattivo: Internet, E-Commerce ecc.2

Una volta risolti i problemi logistici e di consegna dei prodotti da parte del produttore, il consumatore può ora approvvigionarsi dei propri prodotti tanto presso il distributore quanto direttamente presso il produttore. Il produttore, a sua volta, può contattare il consumatore finale indirettamente, tramite il distributore o direttamente, tramite il sistema dei media. In tale situazione il sistema di comunicazione cambia significativamente, divenendo a due vie. Ovviamente, la globalizzazione dei mercati fa leva su tutte e tre le situazioni descritte, di controllo del produttore, di controllo del distributore e interattiva, con un possibile ruolo significativo da parte del consumatore non più passivo, e rende più complesso il contesto in cui deve operare la comunicazione.

Poiché alcuni consumatori possono privilegiare l’approccio del produttore altri quello del distributore, altri ancora il sistema interattivo via via che diviene accessibile Internet, e più verosimilmente lo stesso consumatore adotterà differenti modelli di acquisto secondo i prodotti (beni e servizi) di cui necessita e delle circostanze d’acquisto, crescerà l’importanza delle diverse forme di comunicazione.

In particolare, l’information technology mette a disposizione del consumatore una miriade di strumenti (Internet, telefono…) mediante i quali può acquisire un livello assai sofisticato di informazioni sui prodotti, sulle marche e sulle offerte per lui più vantaggiose, il tutto a scala globale.

La compressione del tempo e dello spazio subisce una forte accelerazione. Il consumatore attraverso l’accesso alla rete diventa più autonomo e indipendente nei confronti della produzione. In concomitanza anche della crescente insoddisfazione nei confronti di prodotti e servizi si ridimensiona la dipendenza dalla marca. Il livello di aspettative connesso ai nuovi prodotti e servizi diviene sempre più elevato. D’altra parte questa minaccia si trasforma in opportunità per l’impresa che è ora in grado di intrattenere un rapporto bidirezionale con il cliente e quindi di offrirgli prodotti e servizi personalizzati sulle sue esigenze e di concentrare la propria attenzione sui clienti più importanti, fidelizzandoli. In questo contesto la comunicazione di

marketing diventa il fattore cruciale tanto per i clienti quanto per gli operatori del mercato, siano essi produttori o distributori.

In ciascun paese la pubblicità, la promozione vendita, le P.R. di marketing, le sponsorizzazioni, la comunicazione in Internet e la comunicazione corporate diventano potenti e pervasive3. Soprattutto il direct marketing, reso più efficiente ed efficace dal data base marketing e da Internet, ha messo in condizioni le imprese di utilizzare altri strumenti di comunicazione oltre a quelli di massa, più selettivi e personali. Tutto ciò rende praticabili nuove strategie di segmentazione e di one-to-one marketing. Inoltre, ha reso evidente la necessità di orchestrare in modo unitario la comunicazione dell’impresa, facendo coesistere mezzi di comunicazione di massa e mezzi interattivi, enfatizzando ulteriormente l’ottica della comunicazione integrata.

La globalizzazione dei mercati pone altre sfide alle imprese. «Spesso, l’immissione di un prodotto in altri paesi implica una perdita di quei significati che lo caratterizzano nella cultura che lo ha originato. Questi non sono riconosciuti perché estranei al nuovo contesto in cui si diffondono e il prodotto, privato di senso, ha scarse probabilità di affermarsi se non riesce a sintonizzarsi con il nuovo contesto»4. Si tratta quindi di coniugare la strategia globale di comunicazione alle singole realtà nazionali e di acquisire una chiara consapevolezza che non si vendono solo prodotti ma anche significati, simboli, cultura.

Un’efficace strategia di comunicazione, per trasmettere al mercato i valori fondanti con cui si esprime, deve perciò poggiare da un lato su un’intensa attività di ascolto sia delle esigenze interne sia di quelle esterne e dall’altro su una forte cultura d’impresa. Il contesto attuale è ancora complicato da un altro fenomeno che si è manifestato negli ultimi anni: la crisi della marca. Se è innegabile l’importanza della marca, sembra sufficiente ricordare a questo proposito come molte marche leader di mercato siano state introdotte nel mercato molti decenni fa, e, in questi ultimi anni, siano entrate in crisi.

Molteplici sono le pressioni che la marca subisce:

• la più vasta scelta dei prodotti;

• la riduzione del grado di differenziazione degli stessi originata dalla facilità e rapidità di diffusione delle innovazioni tecnologiche, che permette di ottenere prodotti assai simili come performance tecniche e funzionali;

• la sofisticazione dei comportamenti di acquisto dei consumatori sempre più smaliziati, informati e scettici rispetto ai claims dei produttori;

• la crescente aggressione dei distributori, in particolare attraverso le marche commerciali, mediante campagne pubblicitarie e attività in store sono state dotate di brand personalities, che si scontrano con quelle dei produttori e l’azione dei discount per quanto attiene alla pressione verso la riduzione dei prezzi;

• la svalutazione dell’immagine, anche per effetto della riduzione dei livelli di investimento in comunicazione conseguenti al tentativo delle marche dei produttori di contrastare i distributori sullo stesso piano, abbassando i livelli di prezzo e promozionando in continuazione l’offerta;

• la crisi della pubblicità, spesso inefficace specie nel costruire ed affermare forti e distintive identità di marca e incapace di trasmettere emozioni, funzione questa che oggi riveste un ruolo prioritario nella comunicazione5;

• la stessa strategia attuata da molti grandi produttori che per mantenere economie di scala produttive sono diventati fornitori delle marche commerciali, creando scarsa differenziazione con i prodotti di marca propria;

• in particolare per prodotti di largo e generale consumo, il miglioramento nel livello di packaging dei prodotti di marca commerciale che, assieme a quello qualitativo, li sta sempre più avvicinando a quelli di marca del produttore.

Per quanto attiene al mercato della comunicazione, in particolare della pubblicità, va anche considerato che dalla fine del 2000 si è arrestato il circolo virtuoso della pubblicità.

Nell’era del boom di Internet, 1999/2000, sono nate molte aziende che, per farsi conoscere dal grande pubblico, hanno avuto l’esigenza di lanciare nuove marche. Sarà molto difficile far rinascere questo tipo di mercato, perché si è trattato di un evento a carattere eccezionale, difficilmente ripetibile nel breve periodo. Oggi il lancio di nuove marche è sempre più costoso e di difficile ritorno economico; avviene quindi raramente che si lancino nuove marche, non solo nel mondo di Internet ma anche nel largo consumo dove la Grande Distribuzione organizzata è il grande nemico della pubblicità. Per lanciare una nuova referenza di prodotto un’azienda spende in media 20.000/25.000 euro per punto di ponderata (quota di vendita dei distributori trattanti data da acquisti dei distributori trattanti/vendite totali della categoria).

La Grande Distribuzione inoltre, al fine di appropriarsi del mercato dei prodotti di marca, sta facendo crescere a dismisura il numero delle private labels, sottraendo così risorse alla pubblicità. Le aziende di largo consumo sono strangolate dalla Grande Distribuzione e per difendere la redditività tagliano la pubblicità creando un avvitamento negativo che ha la conseguenza di recidere il rapporto consolidato tra la marca e il consumatore.

Inoltre, per le aziende l’investimento in pubblicità non gode di vantaggi fiscali e di finanziamento a tassi agevolati come accade invece per i macchinari o gli immobili e il sistema creditizio non ha creato degli strumenti finanziari puntuali per sostenere lo sviluppo delle aziende attraverso la pubblicità. Se non ci saranno dei provvedimenti legislativi e creditizi per sostenere lo sviluppo anche mediante la comunicazione sarà sempre più difficile creare nuove imprese che si affermino attraverso nuove marche, mentre si consolideranno le rendite di posizione della Grande Distribuzione, che sta applicando il sistema di licensing del proprio marchio ai prodotti che sono stati prima sviluppati con grandi costi di ricerca e sviluppo, di listing e di pubblicità dalle aziende di largo consumo.

Non solo le aziende escono perdenti dal proliferare delle private labels ma

la differenziazione dell’offerta, ha portato sulle tavole degli italiani prodotti qualitativamente sempre migliori, garantiti da marche forti e serie che hanno creato una nuova occupazione, aumentando le esportazioni e divenendo marche globali.

Per riottenere successo dalle proprie marche i produttori oltre ad investire nell’innovazione di prodotto, tenendo conto che un ruolo importante nell’acquisto è svolto dall’identità della marca, devono creare e mantenere un vantaggio differenziale rispetto ai concorrenti, continuare ad investire in comunicazione, dotando e differenziando la personalità distintiva della marca. Ciò richiede una crescente attenzione ai processi di branding, alle strategie di comunicazione sia al consumatore, sia al trade e, con il trade, attraverso azioni concertate di pubblicità sul punto vendita, di produzione e di merchandising.

4.I PUBBLICI DELL’IMPRESA

La gestione dell’immagine si esprime attraverso la capacità dell’impresa di far percepire ai diversi pubblici le proprie competenze distintive, così da ottenere credibilità e un elevato consenso riguardo alle sue attività. Contribuiscono all’affermazione di un’immagine forte non solo le diverse attività di comunicazione realizzate dall’impresa ma anche i prodotti, il personale, le tecnologie, gli ambienti di lavoro, il rapporto con l’ambiente, in altre parole l’impresa nel suo complesso.

«La complessità che caratterizza gli attuali contesti socioeconomici, il prevalere di strutture policentriche (la rete) rispetto alle gerarchie strutturali fanno emergere una dimensione “locale” dell’impresa e accrescono l’importanza della visibilità e della dimensione “relazionale”: non è più sufficiente per avere successo il

“saper fare” ma occorre anche “farlo sapere” al fine di far emergere le competenze distintive e intangibili dell’impresa sviluppando un alto livello di consenso, o meglio, di credibilità nei confronti dell’impresa stessa. Tutto ciò vale sia con riferimento ai prodotti sia all’impresa nel suo complesso»6.

Quando si pensa all’attività di comunicazione delle imprese, si tende a pensare che esse si rivolgano esclusivamente al pubblico dei consumatori. Ma non è così: i pubblici dell’impresa sono più di uno, e anzi gli specialisti di comunicazione li dividono in pubblici interni, vicini ed esterni.

All’interno, ogni azienda comunica (o dovrebbe comunicare) con:

• gli azionisti e i conferenti capitale di rischio, che sono interessati all’aumento di valore dell’impresa e all’andamento delle azioni;

• gli altri finanziatori, che si aspettano informazioni sulla solidità della struttura economico-finanziaria dell’impresa;

• i dipendenti e i prestatori di lavoro, che guardano ai livelli retributivi, alla qualità del lavoro, alle possibilità di crescita professionale e di carriera;

Sbagliando, le imprese tendono a dimenticare spesso che il primo pubblico, e allo stesso tempo il primo strumento pubblicitario dell’impresa, è il pubblico interno formato soprattutto dai dipendenti: la qualità delle informazioni che essi possono diffondere all’esterno e i giudizi che danno dell’azienda nella quale lavorano hanno un valore di testimonianza autorevole per tutti quelli che entrano in contatto con loro.

Ci sono poi i pubblici vicini:

• rappresentanti autonomi di commercio;

• fornitori, che si aspettano di ottenere informazioni sulla stabilità della domanda e sulle capacità finanziarie di pagamento;

• banche con le quali si è in contatto.

All’esterno l’impresa comunica con:

• le altre banche;

• con i fornitori dell’opinione pubblica (specialmente i giornalisti) e i media, che devono trovare nell’impresa una fonte di informazioni attendibile, capace di segnalare tutti i fatti e gli eventi che possono consentire loro di confezionare notizie interessanti per i lettori, gli ascoltatori, ecc.;

• con particolari gruppi d’opinione (ad esempio, i medici per le aziende farmaceutiche);

• con le autorità locali o statali, dalle quali possono dipendere molte decisioni che facilitano o rendono difficili le attività aziendali;

• con il mondo politico-istituzionale-sindacale che a seconda del ruolo ricoperto dall’impresa nel territorio locale vuole essere rassicurato sui livelli occupazionali, sul rispetto delle normative relative al lavoro, alla sicurezza, all’ambiente, sulla partecipazione dell’impresa alla vita della comunità locale;

• con il mercato del lavoro, per trovare personale già qualificato o giovani brillanti da destinare a importanti carriere.

Infine, fondamentale per ogni tipo di azienda, è il pubblico dei consumatori.

Fonte: rielaborazione con integrazioni su schema di Rampini (da Semiotica della comunicazione d’impresa, a cura di Bettetini G., Studi Bompiani, Milano, 2003)

Agenti di vendita e distributori

5.LA MARCA

Per la maggior parte del XX° secolo le attività tangibili venivano considerate come la fonte principale di valore d’impresa. Tra esse venivano considerate come particolarmente rilevanti le immobilizzazioni tecniche, i terreni e fabbricati o le attività finanziarie quali i crediti e le partecipazioni.

Il mercato era cosciente dell’esistenza dei beni immateriali, ma il loro valore specifico rimaneva incerto e quindi non espressamente quantificato. I marchi, la tecnologia, i brevetti e le risorse umane sono sempre stati il cuore del successo delle aziende, raramente però sono stati valutati in maniera esplicita. Il valore degli intangibili veniva ricompresso nel valore complessivo dell’azienda.

Oggi, invece, è possibile affermare che la maggior parte del valore di un’azienda deriva dagli intangibili e di conseguenza anche l’attenzione del management verso tali attività è cresciuta in maniera sostanziale.

Il brand è un intangibile molto speciale e in molte tipologie di attività è il bene principale posseduto da un’azienda a causa del suo impatto economico. Il brand infatti influenza le scelte dei consumatori, dipendenti, investitori e organi di governo.

In presenza di un’abbondanza di scelte alternative, l’influenza esercitata dal brand diventa di cruciale importanza per il successo di un’azienda e per la creazione di valore per gli azionisti.

Numerosi studiosi hanno cercato di stimare il contributo dei marchi al valore aziendale. Tra i primi è il lavoro di Aaker e Jacobson7 che hanno condotto un’analisi per capire se le misurazioni della brand equity forniscano una spiegazione aggiuntiva, rispetto a quella fornita dal ROI (Return On Investments), riguardo al valore di un’azienda.

Anche altri studiosi confermano i risultati di Aaker e Jacobson evidenziando una relazione tra la forza del brand e il valore dell’azienda, anche se ovviamente non è possibile stabilire una qualche relazione di tipo matematico.

Un altro studio degno di nota è anche quello di Frieder e Subrahmanyam8 che indaga sulla relazione tra percezione del brand da parte dei consumatori e decisioni di investimento. La ricerca evidenzia una propensione degli investitori a detenere azioni di società con brand noti e questa propensione viene spiegata alla luce delle più recenti teorie di finanza comportamentale. In pratica gli individui preferiscono investire in società i cui prodotti sono facilmente riconoscibili.

Un altro recente studio condotto da Interbrand e JP Morgan illustra come in media i brand pesano più di un terzo del valore azionario.

Tab. 1: Il contributo del brand al valore azionario

Azienda 2002 valore del brand (mld di $)

Contributo del brand alla capitalizzazione della società che lo detiene (%)

2001 valore del brand (mld di $)

Coca-Cola 69,9 51 69,0

Microsoft 64,1 21 65,1

IBM 51,2 39 52,8 GE 41,3 14 42,4 Intel 30,9 22 34,7

Nokia 30,0 51 35,0

Disney 29,3 68 32,6

McDonald’s 26,4 71 25,3

Marlboro 24,2 20 22,1

Mercedes-Benz 21,0 47 21,7

Fonte: Business Week, Interbrand/JP Morgan League Table, 2002

Appendice: anno di nascita di alcuni brand internazionali

Marca Anno Marca Anno Marca Anno Marca Anno

COLGATE 1806 STEINWAY 1853 CHURCH’S 1873 MICHELIN 1889 BROOKS

BROTHERS

1818 LOUIS VUITTON

1854 COINTREAU 1875 DAIMLER 1890

CLARKS 1825 BURBERRY’S 1856 BUDWEISER 1876 PHILIPS 1890

EVIAN 1826 BORSALINO 1857 HEINZ 1876 PIRELLI 1890

BALLANTINE’S 1827 CHIVAS REGAL

1858 BARILLA 1877 PEPSI 1893

BUITONI 1827 TAG-HEUER 1860 MARTINI &

ROSSI

1879 BARBOUR 1894

HERMES 1837 HEINEKEN 1864 WELLA 1880 PIAGGIO 1894

GLEN GRANT 1840 BASF 1865 GALBANI 1880 LAVAZZA 1895

CARTIER 1847 NOKIA 1865 MAGGI 1883 SWAROVSKI 1895

HARROD’S 1849 CAMPBELL’S 1869 COCA-COLA 1886 AVON 1896

AMERICAN EXPRESS

1850 ESSO 1870 DEL MONTE 1886 FORD 1896

LEVI’S 1850 KNORR 1870 KODAK 1888 BAYER 1899

SINGER 1851 MITSUBISHI 1870 DUNLOP 1888 FIAT 1899 AQUASCUTUM 1853 SHISEIDO 1872 BAHLSEN 1889

BONDUELLE 1853 AGFA 1873 LIPTON 1889

Fonte: Valore e valori della marca, a cura di Fabris G., Minestroni L., Franco Angeli, Milano, 2004

Nel documento La Comunicazione Corporate: (pagine 28-41)