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La creazione dei contenuti

Capitolo 1. I cambiamenti di paradigma dovuti a internet e i nuovi modi di comunicare

3.5 Il flusso pubblicitario del native advertising

3.5.1 La creazione dei contenuti

Al netto del fatto che i diversi creatori di contenuti adottano logiche organizzative diverse tra di loro, in questo periodo storico si sta assistendo a un passaggio in cui questa attività creativa non viene più presidiata soltanto dalle agenzie di comunicazione, tradizionalmente dotate delle figure necessarie e costruire un progetto di comunicazione, o da copywriter o grafici che collaborano con le aziende o le agenzie.

Stanno avvenendo, infatti, due importanti trasformazioni di competenze:

• Le aziende stanno iniziando a dotarsi di competenze creative direttamente al loro interno, senza delegare in completo outsourcing le attività operative di comunicazione. In questo modo le fasi strategica e operativa sono in capo allo stesso soggetto, e vi può essere pertanto un maggiore legame tra identità aziendale e sua comunicazione;

• I centri media, dietro ai quali c’è sempre un editore, quindi una o più redazioni giornalistiche, stanno iniziando a dotarsi di unità di produzione creativa al loro interno, con le stesse logiche dell’agenzia creativa.

Questa premessa iniziale è fondamentale per chiarire che non esiste più un dualismo tra soggetti che producono i contenuti – tradizionalmente, le agenzie – e soggetti che li distribuiscono – tradizionalmente, gli editori.

Il contesto digitale da ormai più di dieci anni ha chiaramente ridefinito molte di queste logiche: basti pensare al fenomeno del word-of-mouth e del user-generated content. I risultati di questa ricerca esplorativa fanno intendere questi cambiamenti, e soprattutto quali scelte possono essere fatte in termini di allocazione delle attività pubblicitarie.

Nel caso degli editori, gli articoli sponsorizzati non sono altro che articoli scritti da un membro della redazione, dietro cui c’è un legame valoriale con il brand che sta sponsorizzando la tematica. La produzione del contenuto, quindi, è ad opera dei giornalisti, ma questo viene sempre condiviso con il cliente prima della pubblicazione.

“Gli articoli vengono scritti da persone che collaborano con la redazione: una volta che il contenuto è prodotto, viene condiviso con il cliente e con la redazione che lo approva. Quindi c’è una condivisione con il cliente, e anche un’approvazione editoriale, per cui comunque quel pezzo non può violare – anche se etichettato come pubblicità – le regole e le policy del giornale, la sua linea editoriale.”

[Alessandro Furgione] L’aspetto più importante, come sottolineato precedentemente, è comunque quello che il contenuto deve essere in linea con gli standard editoriali della testata dove verrà pubblicato il pezzo, prima di tutto, e solo successivamente condiviso con, più che approvato da, l’azienda inserzionista.

Lo stesso aspetto viene affermato anche da un editore concorrente.

“Di solito, il contenuto è realizzato dal cliente, e c’è solo un controllo da parte della redazione. Se poi il cliente ha l’esigenza, può realizzare il contenuto la nostra agenzia. La cosa più importante è che si rispetti il tono di voce del contesto editoriale. Altrimenti si può arrivare a una revisione a quattro mani. Oppure può essere il cliente realizza il testo, ma deve avere il linguaggio, ecc., e verrà controllato dalla redazione, in modo che non siano scritte incoerenze.”

[Editore anonimo] Questo editore si è persino dotato di un’agenzia esterna alla redazione, ma che crea contenuti per conto dei brand clienti, tra cui anche quelli che poi vengono pubblicati negli spazi editoriali. La cosa importante e sottolineata maggiormente è la “natività”, ovvero la creazione dei contenuti appositamente per un contesto editoriale specifico.

“Abbiamo un’agenzia esterna che crea contenuti e organizza i nostri eventi. Ad esempio organizza eventi sportivi, o quelli legati alle testate editoriali: è una struttura in grado di creare dei contenuti: in base alle richieste dei clienti, creano contenuti per il nostro contesto editoriale, sviluppati ad hoc.”

[Editore anonimo] Dal punto di vista editoriale è significativo il caso di Condé Nast Italia. Per introdurre alla spiegazione, è utile ricordare quanto detto da un esperto di settore, per cui gli inserzionisti

sentono sempre più forte l’esigenza di avere una maggiore integrazione tra produzione e diffusione del contenuto.

Think Content è un’unità di Condé Nast Italia dedita alla produzione di contenuti native per i brand, così spiegata dalle parole del Direttore Commerciale Digital Advertising di Condé Nast Italia.

“Noi stiamo diventando dei produttori di contenuti per i clienti. […] Andiamo a fare produzione video, shooting, creazione di contenuti, come infografiche o altro. E per farlo ci siamo dotati di una serie di professionalità che una volta non avevamo: illustratori, film-maker, registi, direttori creativi. Abbiamo assunto un po’ i ruoli dell’agenzia di comunicazione creativa, e uniamo la creazione del contenuto, estremamente ben fatto perché siamo bravi a farlo, insieme alla distribuzione. Queste due cose convengono da un punto di vista economico per chi le compra, e a noi conviene perché produciamo un contenuto per conto terzi che poi distribuiamo sui nostri mezzi. E oltre a monetizzarlo, ci fa da patrimonio editoriale.”

[Elia Blei] Il centro media – cioè l’unità di Condé Nast Italia dedicata alla degli spazi pubblicitari ai brand sulle testate editoriali proprietarie – lavora a stretto contatto con l’unità produttiva, nell’ottica di comprendere le esigenze di comunicazione delle aziende, comunicarle al meglio, e inserirle nello spazio editoriale più corretto e coerente in base alla tipologia di contenuto.

“Chi è sul mercato parla coi clienti, e capisce quali sono le necessità, facendo delle proposte, tra cui anche il native advertising. Quando viene poi richiesto, lavoriamo in modo integrato assieme a Think Content: assieme andiamo dal cliente, si parla e si capiscono gli obiettivi.”

[Elia Blei] Nella presente ricerca empirica è stata effettuata un’intervista anche a due brand che hanno lavorato con Condé Nast, quindi è utile indagare quali sono state le dinamiche di produzione dei contenuti.

Nel primo caso si tratta di KIA, che per il lancio dell’auto KIA Sportage ha utilizzato i canali di native advertising di Condé Nast, anche se quest’azienda aveva già fatto attività di native con Il Sole 24 Ore.

“Sia su Condé Nast sia su Il Sole 24 Ore noi abbiamo detto qual era l’obiettivo della nostra campagna e delle nostre operazioni di native. Dopodiché loro hanno avuto

carta bianca nel gestire il tutto; lo hanno realizzato e lo hanno condiviso con noi, ma è stato un lavoro di aggiustamento finale davvero basso. Era già tutto ben fatto da parte loro, e non abbiamo voluto interferire tanto sul concetto, altrimenti guastavamo l’obiettivo del native. Era tutto in linea con il brief iniziale, sono stati bravi entrambi i player a lavorarci.”

[Giuseppe Mazzarra] Un brand del settore fashion, invece, ha fatto un lavoro a quattro mani e di revisione più avanzato rispetto a KIA. Il flusso successivo di lavorazione ai contenuti è stato completamente gestito dalle redazioni delle testate di Condé Nast, fatta eccezione per la parte visuale, su cui c’è stato un forte coordinamento tra inserzionista ed editore.

“Il ruolo dell’agenzia è stato scavalcato, e abbiamo avuto il contatto diretto con le autrici delle testate che hanno scritto gli articoli. Queste ci hanno inviato quindi una presentazione con la descrizione di ciò che volevano fare, gli spazi che ci davano, le tempistiche e il tipo di articolo. C’è stata un’operazione di reworking e di fine tuning molto lunga: gli articoli sono stati modificati almeno quattro o cinque volte. Alla fine, si è trovato un compromesso, e ci hanno inviato gli articoli, e poi noi li abbiamo corretti e re-inviati. […] Una cosa interessante è che tutta la parte visual gliela abbiamo dovuta creare noi: i banner intorno agli articoli e i bottoni con la call to action. Non solo la scelta delle immagini, che doveva essere ovviamente coordinata da noi. Non saprei se loro facciano sempre così, però.”

[Digital Marketing Specialist – azienda settore fashion] Ma la produzione dei contenuti non viene sempre esternalizzata, o almeno non totalmente. Salewa, ad esempio, gestisce completamente al suo interno il flusso di creazione dei contenuti.

“I contenuti vengono fatti e gestiti internamente – abbiamo una divisione interna. Abbiamo poi un copywriter esterno per la revisione dei testi, e sono esterni anche tutti i traduttori. Ma anche nel caso di una campagna di native advertising che abbiamo fatto su gazzetta.it, i contenuti li abbiamo fatti noi internamente. Ci siamo poi rivolti a un copywriter per l’editing, e poi abbiamo trattato direttamente tra il nostro marketing Italia e gazzetta.it.”

Nello specifico, l’azienda è organizzata con un team digital e di comunicazione per la coordinazione di tutte le attività di marketing digitale, compresa la creazione interna dei contenuti, avvalendosi dell’agenzia solo per attività di revisione o di traduzione dei testi.

“Oltre alla responsabile content marketing, c’è un communication manager che si occupa della parte testuale e di coordinamento, ed è la persona che più segue la parte di native advertising, il team leader di questo tipo di progetti.”

[Andrea Scroccaro] Anche Pixartprinting produce tutti i contenuti internamente, con un team che comprende art director e copywriter, nonché figure operative per declinare la comunicazione a livello digitale.

“Per fare i nostri contenuti siamo totalmente strutturati a livello interno. Non ci avvaliamo di nessuna agenzia esterna. Abbiamo un reparto grafico. Il concept e la parte grafica sono gestiti qua dentro; ma non necessariamente deve essere così. Decidiamo di volta in volta come fare, poi diciamo che l’idea, la struttura, il progetto, lo storyboard, l’attività di reach, è tutto gestito internamente.”

[Davide Turatti] Andando a vedere il lavoro delle agenzie, cioè di chi tradizionalmente crea i contenuti per le aziende, vi sono risultati che ben fanno intendere la consapevolezza da parte di questi soggetti del cambiamento di scenario, a cui ne consegue una precisa scelta per riposizionare il proprio lavoro, se non modificare il proprio modello di business. BizUp, agenzia di digital marketing, lo ha fatto creando la piattaforma UpStory, un punto di incontro tra aziende inserzioniste e siti publisher.

“Nell’agenzia BizUp creiamo dei contenuti per conto dei nostri brand per i loro owned media, per cui facciamo content marketing puro, con una redazione interna e con freelancer specializzati distribuiti sul territorio. Su UpStory, in realtà, il publisher è colui che scrive il contenuto che poi finisce sul suo sito. Quindi attraverso la piattaforma diamo un brief, scritto a quattro mani con il brand, che deve essere seguito per la creazione del contenuto che viene poi pubblicato sul sito del publisher.”

[Claudio Vaccaro] Ogilvy & Mather Italia, invece, si è dotata di una nuova divisione, “Content & Digital PR”, che ha la chiara mission di mettere in contatto la produzione e la distribuzione dei contenuti. Emerge una consapevolezza sul fatto che l’agenzia potrebbe essere “sacrificabile” da una

scelta dell’azienda inserzionista, a favore dell’editore, ora organizzato per produrre contenuti per i brand. Viene però riaffermata l’importanza dell’agenzia, non tanto come “intermediatore”, quanto come trait d’union tra il mondo del marketing e quello dell’editoria.

“Abbiamo da poco formato una unit dedicata a questo tipo di progetti – il mio titolo professionale è “Head of Content & Digital PR” – che mira a offrire un servizio nel mondo delle PR innovativo e diverso rispetto alla concorrenza. Qual è il valore di un’agenzia, in questo caso di un’agenzia come Ogilvy? Che è il perfetto trait d’union tra il mondo del marketing e della comunicazione e il mondo dell’editoria. Quindi, co- creando e co-producendo, sviluppando dei progetti insieme a soggetti terzi – publisher ed editori – sulla base degli obiettivi del cliente e i valori del brand, si riescono a sviluppare dei progetti che tendono a presidiare un territorio più ampio, che appartiene alla marca. In questo caso un’agenzia è fondamentale, perché è quella che meglio di tutti riesce ad interpretare generalmente i brand. Ci può essere una competizione tra gli editori e le agenzie in questo caso, perché gli editori possono andare direttamente dai clienti bypassando l’agenzia. Però dipende anche da come si pone un’agenzia: non si pone come un semplice broker, un intermediario che mette in relazione il cliente con l’editore, perché le agenzie di comunicazione non fanno il lavoro delle concessionarie. L’agenzia deve aggiungere valore, che sta nello sviluppo di piattaforme di comunicazione in cui il contenuto prodotto da terze parti ha un valore all’interno di un discorso più ampio.”

[Luca De Fino] Questa integrazione tra brand, valori di marca ed editore, riuscirebbe a permettere di presidiare un territorio che appartiene maggiormente al brand. E in questo è importantissima l’agenzia perché è l’attore che meglio di tutti riesce ad interpretare il mondo dei brand, e aggiunge valore sviluppando un’esperienza integrata di comunicazione, che ha senso all’interno di una strategia più ampia.

L’integrazione sta appunto tra la creazione dei contenuti e la loro diffusione, quindi adesso l’ottica verrà spostata sulla fase più a valle del processo di comunicazione.