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La percezione del Native Advertising da parte dei consumatori

Capitolo 1. I cambiamenti di paradigma dovuti a internet e i nuovi modi di comunicare

2.2 Utilizzo e percezione del native advertising

2.2.2 La percezione del Native Advertising da parte dei consumatori

consumatori nei confronti del fenomeno del native advertising.

La ricerca di IAB e Edelman Berland (2014) ha appunto indagato maggiormente il punto di vista dei consumatori attraverso dei focus group e un questionario online rivolti a utenti

abitualmente frequentatori di siti di notizie generali (n = 1730), sull’intrattenimento (n = 1648) e sul business (n = 1622). A questi sono state mostrate delle unità pubblicitarie all’interno di un flusso editoriale, escludendo altre forme di native advertising e i social media.

I risultati più importanti riguardano il fatto che gli utenti di siti di business e di intrattenimento sono altamente ricettivi nei confronti dei contenuti sponsorizzati se questi sono rilevanti, autorevoli e ispirano fiducia. I contenuti sponsorizzati ben prodotti possono aumentare la credibilità dei siti, così come la credibilità dei siti può aumentare la credibilità dei contenuti, risultando in aumento del 33% della credibilità.

Figura 2.6 – Impatto dei brand e dei siti sulla credibilità percepita dei contenuti

Fonte: IAB e Edelman Berland (2014)

Secondo i risultati della ricerca, è più probabile che i contenuti sponsorizzati siano utili per i brand che hanno già un’alta awareness; è più difficile, infatti, che il native advertising possa essere utile per venire a conoscenza per la prima volta di un brand. Per i primi, inoltre, la migliore forma di native advertising è quella del contenuto che racconta una storia, e soddisfa il bisogno umano di immedesimarsi in uno schema narrativo. Risulta inoltre fondamentale essere “autorevoli”, nel senso di condividere il proprio expertise con i consumatori, resistendo alla necessità di vendere a tutti i costi.

Per quanto riguarda gli editori, invece, dalla ricerca emerge che è importante che venga controllata l’esperienza di navigazione all’interno del proprio sito, evitando in assoluto i contenuti sponsorizzati di quelle aziende che non siano autorevoli, rilevanti o che non

ispirino fiducia. Il metodo migliore per garantire questo risultato è quello di incoraggiare inserzionisti ed editori a lavorare insieme per raggiungere obiettivi comuni.

Altre due ricerche trattano il tema della percezione del native advertising da parte dei consumatori, nello specifico confrontando la percezione dei banner con quella delle pubblicità native: la prima è quella di IPG Media Lab e Sharethrough (2013), centrata sulle pubblicità da desktop, e la seconda è quella di Nielsen e Sharethrough (2015), che adotta una prospettiva di neuroscienze per confrontare l’efficacia della display advertising con il formato native calata nel contesto mobile.

La prima ricerca del 2013 si basa su uno studio comportamentale che ha coinvolto 4770 partecipanti, con lo scopo di esplorare l’efficacia delle pubblicità native – integrate all’interno di un flusso editoriale – confrontandole con delle pubblicità display di 300x250 pixel posizionate in alto a destra nella pagina web. I principali risultati di questa ricerca sono le seguenti:

• il native advertising è più “engaging” dei banner dal punto di vista visuale: i consumatori, infatti, hanno guardato le pubblicità native il 52% di volte in più rispetto ai banner. In una sessione, venivano notate 4,1 native ads e 2,7 banner. Inoltre, il 25% degli utenti ha notato le pubblicità native, mentre solo il 20% i banner.

• Il native advertising genera un brand engagement più alto dei banner, registrando un aumento del 9% per quanto riguarda l’affinità e la preferenza nei confronti di un particolare brand, e un aumento del 18% nelle intenzioni di acquisto dei prodotti di un determinato brand.

• La creatività del native advertising è più apprezzata: il 32% dei partecipanti all’esperimento (contro il 19% dei banner) ha ritenuto di avere visto una pubblicità che vorrebbe condividere con la propria cerchia di amici. Se gli utenti erano già clienti di un particolare brand, nel 71% dei casi hanno detto di identificarsi personalmente con il brand dopo avere guardato la pubblicità native.

• Il native advertising viene fruito e percepito nello stesso modo dei contenuti editoriali: confrontando invece il native advertising con i contenuti editoriali non a pagamento, il 26% degli utenti ha notato la pubblicità native all’interno della pagina web, mentre il 24% ha notato i contenuti.

Per quanto riguarda il mobile, è utile prima anticipare che secondo una ricerca Nielsen (2014) solo il 13% degli americani che utilizzano i dispositivi mobile hanno la volontà di ricevere pubblicità sui propri telefoni in cambio di servizi. Tuttavia, secondo lo stesso

studio, la pubblicità su mobile può generare un aumento del 45% sull’intenzione degli utenti, il che risulta in una probabilità più alta da parte degli utenti di avere interesse nei confronti dell’offerta aziendale comunicata. La criticità, soprattutto da mobile – e tenuto conto delle problematiche sulla display advertising – riguarda l’attenzione da parte degli utenti alle pubblicità, e i modi in cui l’attenzione viene misurata. Il click-through-rate sui banner, cioè il rapporto tra i click sulla pubblicità e il numero di volte in cui è stato visualizzato l’annuncio da parte degli utenti, è nei casi migliori dell’1%, ed è una metrica poco soddisfacente. La ricerca di Sharethrough e Nielsen (2015), così, ha confrontato l’efficacia delle pubblicità native rispetto a quella delle pubblicità su banner. Ai partecipanti all’esperimento è stato mostrato un video che simulava l’esperienza di scrolling attraverso una pagina editoriale, fermandosi poi in una schermata che mostrava o una pubblicità native o un banner. Le interazioni degli utenti sono state misurate attraverso la combinazione dei dati provenienti dall’elettroencefalogramma (che misurava l’attività cerebrale dei partecipanti) e l’eye tracking (per registrare dove si fermava lo sguardo degli utenti e individuare di conseguenza le aree di maggiore interesse).

I risultati di questa ricerca sperimentale sono i seguenti:

1) le pubblicità native ricevono il doppio dell’attenzione visuale rispetto ai banner: lo sguardo degli utenti era molto più concentrato nel caso del native advertising, coerentemente con i risultati ottenuti su desktop dalla precedente ricerca.

2) i banner vengono percepiti attraverso la visione periferica: gli utenti, quindi, non si soffermano sul testo, ma processano il testo all’interno dei banner in modo simile a quanto avviene per le immagini.

Figura 2.7 Aree di interesse: confronto tra pubblicità native (sinistra) e display (destra)

3. Le pubblicità native vengono lette: la maggior parte della concentrazione da parte dell’utente durante l’esperimento si sofferma sul testo della pubblicità più che sull’immagine in miniatura. Valgono le stesse considerazioni sia per i listati di articoli sia per i contenuti editoriali.

4. I titoli e le call-to-action possono essere ottimizzate per stimolare delle azioni specifiche, una più alta risonanza nei confronti del messaggio oppure la percezione nei confronti del brand.

Questa ricerca sembra confermare che il native advertising garantisca alle aziende inserzioniste una più alta attenzione da parte degli utenti che visualizzano il messaggio. L’attenzione visuale, infatti, viene riservata più alle pubblicità native che a quelle display, e in modo particolare sul testo.