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La definizione dell’Internet Advertising Bureau e le diverse tipologie di native

Capitolo 1. I cambiamenti di paradigma dovuti a internet e i nuovi modi di comunicare

2.1 La definizione di native advertising

2.1.2 La definizione dell’Internet Advertising Bureau e le diverse tipologie di native

Secondo l’Internet Advertising Bureau (IAB, 2013), la confusione sulla terminologia e sulla definizione di native advertising è dovuta al fatto che questa forma di pubblicità viene vista ancora troppo parzialmente con gli occhi di chi la utilizza e dai propri obiettivi, per cui la sua definizione dipende dalla prospettiva dell’attore all’interno dell’ecosistema.

Dato questo presupposto, per cui c’è molta confusione attorno alla definizione di native advertising, nel 2013 l’Internet Advertising Bureau ha istituito una task force, composta da più di cento membri, con lo scopo di identificare precisamente i confini di questa disciplina, i suoi obiettivi e le forme in cui un’azienda può fare native advertising, permettendo così di parlare un linguaggio comune.

L’obiettivo era proprio quello di identificare delle forme univoche di native advertising a partire da quelle forme che nel mercato venivano vendute come tali. A livello metodologico, la task force ha proceduto identificando sei domande chiave che ogni azienda dovrebbe porsi prima di valutare le diverse tipologie di pubblicità online.

L’unico aspetto su cui l’unanimità dei membri della task force era d’accordo riguarda la

disclosure (una caratteristica chiave per il native advertising, come vedremo nel paragrafo

2.3): il native advertising deve apparire chiaramente come pubblicità, e non avere nessun aspetto di segretezza.

Per l’Internet Advertising Bureau il native advertising include forme di pubblicità (quindi, messaggi a pagamento) che sono così aderenti al contenuto della pagina web in cui si inseriscono, e coerenti con il comportamento degli utenti sulla piattaforma, che l’utente stesso sente che quella pubblicità è adeguata ad essere ospitata in quella piattaforma. Quando una pubblicità si conforma a queste caratteristiche, si può dire che abbia raggiunto un obiettivo “nativo”.

Le sei domande chiave per identificare il native advertising sono:

1. La pubblicità si adegua al design della pagina web in cui è inserita? Si inserisce nel flusso di navigazione dell’utente o al di fuori? Le risposte sono misurate da “nel

flusso” a “fuori dal flusso”. Questa domanda riguarda la forma della pubblicità.

2. La pubblicità funziona nello stesso modo in cui funzionano gli altri elementi presenti nella pagina in cui è posizionata? Garantisce lo stesso tipo di esperienza di fruizione del contenuto, ad esempio un articolo all’interno di una pagina che contiene altri articoli, oppure è diversa?

3. Quanto il comportamento dell’unità pubblicitaria si adegua a quello dei contenuti circostanti? È lo stesso, ad esempio il contenuto è collegato all’interno dello stesso sito, oppure invia a un altro sito?

4. La posizione della pubblicità è garantita in una pagina specifica o in una sua sezione o nel sito, oppure è presente in un network di siti? Che tipo di targeting è possibile effettuare?

5. Quali metriche sono tipicamente utilizzate per misurare il successo della pubblicità? È più probabile che vengano utilizzate metriche tipiche delle prime fasi del customer journey (visualizzazioni, coinvolgimento, tempo passato sulla pagina) oppure delle fasi finali (download, rilascio di un contatto, registrazione, vendita)?

Per agevolare l’identificazione delle pubblicità con il formato native, la task force ha quindi proposto uno schema che si basa sui continuum presenti in Figura 2.1, legati ai due estremi delle risposte alle domande riportate nell’elenco puntato. Più le risposte si posizionano nella parte sinistra del continuum, più la forma pubblicitaria risponde a un obiettivo “nativo”.

Figura 2.1 – Le caratteristiche del native advertising (IAB, 2013)

Fonte: IAB (2013)

Sulla base della risposta a questi quesiti, la task force dell’Internet Advertising Bureau ha definito sei tipi di pubblicità che si identificano con il native advertising e rispondono a un obiettivo nativo. Queste sono:

1. le unità pubblicitarie in-feed: si tratta del tipo di native advertising che presenta più varietà al proprio interno. Si parte, infatti, dagli articoli sponsorizzati all’interno dei siti editoriali, per arrivare fino al social advertising. La forma più “pura” di native advertising è però quella degli articoli sponsorizzati all’interno di un sito editoriale. Gli articoli sponsorizzati sono una forma endemica di pubblicità in-feed: si inseriscono, cioè, in modo naturale tra i contenuti di un editore. Spesso i contenuti vengono prodotti dalla redazione dell’editore per avere uno stile simile agli articoli circostanti, sono collegati a una pagina all’interno del sito così come avviene per ogni altro articolo al suo interno, vengono venduti con un posizionamento garantito

in modo che l’azienda sappia esattamente cosa si trova intorno, e vengono misurati con delle metriche di engagement (ad esempio, condivisioni della pagina sui social network da parte degli utenti).

I primi editori che hanno proposto questo formato pubblicitario native sono Buzzfeed, Forbes BrandVoice e Mashable.

2. gli annunci sponsorizzati sulle pagine dei risultati dei motori di ricerca: tipicamente si trovano all’inizio della pagina dopo che un utente ha digitato una chiave di ricerca, se un’azienda sta pagando per il posizionamento del proprio annuncio rispetto a a un determinato set di parole chiave. Questi annunci si considerano “native” perché hanno lo stesso aspetto dei risultati di ricerca “organici”, con l’unica differenza nell’aspetto che c’è una disclosure, in cui viene precisato che si tratta di un risultato sponsorizzato.

3. recommendation widgets: si tratta di integrazioni di link pubblicitari che solitamente si posizionano alla fine del corpo di un articolo in un sito editoriale, con lo scopo di consigliare altri contenuti simili o correlati a quelli appena letti, oppure a pubblicità del brand che possono risultare affini rispetto all’audience di riferimento del sito. Sebbene i link di collegamento rimandino a un sito esterno, si parla lo stesso di native advertising per la modalità in cui si inseriscono naturalmente nel flusso di navigazione della pagina. Mancano tuttavia tutti gli altri aspetti prima citati. È la forma di native advertising che più si avvicina al display advertising: la differenza non sta solo nella minore invasività del contenuto pubblicitario, ma anche negli obiettivi della campagna. Questi, infatti, diversamente dai banner pubblicitari, riguardano il coinvolgimento dei lettori, e la metrica utilizzata per misurare il successo della campagna pubblicitaria si basa sulle visualizzazioni invece che sul numero di clic. Proprio per la somiglianza di questo tipo di native advertising con la display advertising, l’intermediario non è un editore, ma un’azienda specializzata che gestisce un network e permette l’incontro tra i siti editoriali che offrono lo spazio e le aziende che cercano uno spazio per inserire la pubblicità. Le aziende più specializzate in questo tipo di attività sono Outbrain, Taboola e Ligatus.

4. liste sponsorizzate: si tratta di liste di prodotti di aziende che si trovano all’interno di siti che non hanno un contenuto editoriale e hanno un collegamento con una landing page dell’azienda, ma che tuttavia sono progettate per adattarsi all’esperienza di

navigazione del sito stesso. Degli esempi sono le promoted list all’interno di un marketplace.

5. in-ad: è un contenitore pubblicitario posizionato al di fuori del flusso di contenuti editoriali, ma ha dei contenuti contestualmente rilevanti al suo interno. Tuttavia presenta dei collegamenti esterni al sito, anche se per come viene misurata l’efficacia della pubblicità e per come viene targetizzato, è inserito all’interno delle pubblicità native.

6. pubblicità “custom”: si tratta di tutte quelle forme di pubblicità native che stanno al confine, che come caratteristica di inclusione devono assolutamente avere quella della chiara targetizzazione.

I sei tipi di pubblicità native sono stati presentati in ordine decrescente di rilevanza rispetto alle caratteristiche chiave del native così come definite dall’Internet Advertising Bureau. Ciò ha reso evidente che una pubblicità native è tale quando:

• presenta un formato che si adegua al design della pagina ed è all’interno del flusso di navigazione dell’utente, facendo percepire la pubblicità come organica;

• è inserita all’interno di un contesto dove potrebbe non essere riconoscibile come tale, ed è coerente con gli altri elementi all’interno della pagina;

• è circondata da contenuti dello stesso tipo e non è irrispettosa della user experience; • è posizionata all’interno di una pagina, di una sezione o di un sito che è coerente

con il target pubblicitario dell’azienda inserzionista;

• viene misurata con metriche di brand engagement relative alle prime fasi del customer journey, quali visualizzazioni, apprezzamenti, condivisioni, e tempo passato all’interno della pagina.

Alla luce di queste caratteristiche, la forma di native advertising più nativa delle altre è senz’altro quella dei contenuti sponsorizzati all’interno dei siti editoriali, una sottospecie del primo formato individuato dall’Internet Advertising Bureau e definito come unità pubblicitarie in-feed.