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Dall’evitamento al blocco delle pubblicità: l’ad blocking

Capitolo 1. I cambiamenti di paradigma dovuti a internet e i nuovi modi di comunicare

1.4 L’evitamento delle pubblicità su internet

1.4.2 Dall’evitamento al blocco delle pubblicità: l’ad blocking

I contenuti e i servizi offerti gratuitamente su internet vengono monetizzati in primo luogo dagli editori e dai proprietari dei siti web attraverso la pubblicità online. Questo classico modello di business, parzialmente utilizzato in tutti i mezzi – dalla televisione alla stampa – si poggia su un patto implicito tra i fornitori di contenuti e gli utenti, per cui la visualizzazione delle pubblicità rappresenta il “prezzo” per la fruizione dei contenuti “gratuiti” (Berlin, Hohlfeld, & Feldmann, 2015).

Tuttavia, nella volontà degli utenti di avere un’esperienza di navigazione priva di distrazioni e senza pericoli per la propria privacy, sempre più utenti utilizzano i cosiddetti ad blocker, dei software installati come plug-in nel browser che hanno lo scopo di fare scomparire o di bloccare le pubblicità. Secondo le statistiche di Google e Mozilla (Human Highway, 2015), Adblock Plus è il software di questo tipo più utilizzato, che nella prima metà del 2015 aveva più di 30 milioni di utenti. Questo comportamento, ovviamente, rappresenta una minaccia sia per gli inserzionisti sia per gli editori.

Un sondaggio di IAB UK di febbraio 2016 svela che il 22% della popolazione inglese maggiorenne (+4% rispetto a ottobre 2015) utilizza software di ad blocking con le motivazioni di bloccare pubblicità troppo invasive e di migliorare la velocità di navigazione. In Italia la situazione è di poco diversa: un’indagine di Groupm di ottobre 2015 (Groupm, 2015) rivela che il 27% degli utenti italiani di internet blocca le pubblicità per ottenere una maggiore tutela della privacy e migliorare la propria esperienza di navigazione, soprattutto per limitare il consumo di dati da rete mobile e per migliorare la velocità di caricamento delle pagine web, e il 55% del campione è consapevole della tematica.

La crescita dei software di ad blocking è stata esponenziale dopo ottobre 2015, quando il sistema operativo dei dispositivi di casa Apple, iOS, ha permesso agli utenti di installare delle app di terze parti poter bloccare le pubblicità sul mobile browser Safari per iOS. Nello specifico, secondo una ricerca di Page Fair e Adobe (2015) l’ad blocking negli Stati Uniti è cresciuto del 48% rispetto all’anno precedente, fino a raggiungere 45 milioni di utenti attivi; mentre nel Regno Unito questa crescita è stata dell’82%, per 12 milioni di utenti attivi nel corso del 2015. Il costo stimato in mancato fatturato per gli editori di 21.85 miliardi di dollari in tutto il 2015. L’indagine stima inoltre il numero totale di utenti che bloccano le pubblicità in tutto il mondo, attestandosi a 198 milioni.

A livello globale, è utile andare a vedere quali sono le ragioni per cui gli utenti utilizzano gli ad blockers. Il 50% degli utenti li utilizza quanto sente che i propri dati personali non sono utilizzati in maniera appropriata per proporre delle pubblicità personalizzate; il 41% (ma la quota percentuale sale al 57% nei giovani tra i 18 e i 34 anni) se ha percepito che il numero di pubblicità visualizzate è più alto rispetto a quello cui è abituato; il 21% se viene notato che le pubblicità non sono in target con i propri interessi; solo l’11%, infine, non farebbe mai uso di ad blockers.

Figura 1.10 Motivazioni degli utenti per l’utilizzo di software di Ad Blocking

Fonte: Page Fair e Adobe (2015)

La ricerca di Berlin et al. (2015) ha evidenziato che il 22% degli utenti del campione indagato utilizza il software di ad blocking Adblock Plus. La scoperta interessante è però che solo una minima parte di questi utenti utilizza la funzione “EasyPrivacy”, che dovrebbe proteggere la privacy dell’utente bloccando i cookie di tracciamento. Inoltre, la maggior parte degli utenti non rimuove la propria iscrizione dalle “Acceptable Ads9”, il che farebbe

9 Secondo il sito di AdBlock (https://adblockplus.org/acceptable-ads#criteria), le Acceptable Ads sono quelle

pubblicità all’interno di pagine web che rispettano determinati criteri tecnici di non invasività della fruizione della pagina web stessa, come la presenza della pubblicità all’inizio o alla fine del contenuto e non in mezzo, la chiara indicazione che si tratta di pubblicità senza possibilità di fraintendimenti, e una percentuale di spazio non superiore al 15% rispetto al totale della pagina.

intendere che gli utenti non sono tanto interessati a proteggere la propria privacy, quanto a bloccare le pubblicità fastidiose.

È interessante capire quali azioni stanno prendendo i player del mercato pubblicitario per evitare il fenomeno dell’ad blocking. Il punto di partenza potrebbe essere rappresentato dal rispetto dei principi di pubblicità “accettabile” contenuti nell’Acceptable Ads Manifesto (https://acceptableads.org), un’iniziativa di AdBlock. Questi principi sono:

1. Le pubblicità accettabili non sono fastidiose;

2. Le pubblicità accettabili non stravolgono né distorcono il contenuto della pagina web che gli utenti provano a leggere;

3. Le pubblicità accettabili sono trasparenti con gli utenti sul fatto di essere pubblicità; 4. Le pubblicità accettabili sono efficaci anche se non urlano;

5. Le pubblicità accettabili sono appropriate rispetto al sito in cui gli utenti navigano. Un altro ente che ha sempre fatto molto per preservare l’industria pubblicitaria ma allo stesso tempo ritenendo importante anche l’esperienza degli utenti è l’Internet Advertising Bureau (IAB). All’inizio del 2016 lo IAB ha aperto un gruppo di lavoro con l’obiettivo di comprendere il fenomeno dell’ad blocking, con il proposito di fornire all’intero settore gli strumenti, le linee guida e le informazioni necessarie a permettere alla pubblicità di svilupparsi consegnando ai consumatori finali dei contenuti e dei servizi di valore (IAB Tech Lab, 2016). Nel white paper prodotto, sono state presentate delle proposte sintetizzabili nell’acronimo “D.E.A.L.”:

• Detect: individuare l’ad blocking, con lo scopo di iniziare una conversazione; • Explain: spiegare lo scambio di valore consentito dalla pubblicità;

• Ask: chiedere di modificare il proprio atteggiamento, con lo scopo di mantenere uno scambio equo;

• Lift or Limit: sollevare restrizioni o limitare l’accesso in risposta alla scelta dei consumatori.

Anche per quanto riguarda l’Italia, è di inizio Marzo 2016 la notizia per cui IAB Italia si è impegnata a proporre a sua volta un “new deal” sulla pubblicità online, a partire da una presa di posizione sul fenomeno dell’ad blocking e schierandosi a favore degli advertiser che si impegnano a realizzare una “buona advertising”, che rispetti l’utente e renda piacevole la user experience. Questo tavolo di lavoro dovrebbe arrivare alla produzione di un white paper da parte di tutti gli attori coinvolti, sulla scia di quanto già pubblicato da Iab Tech Lab (2016).

A livello generale, il comportamento che inserzionisti ed editori possono adottare per cercare di frenare la potenziale minaccia costituita dall’ad blocking dovrebbe seguire quello indicato dalle linee guida dello IAB (2015), che hanno lo scopo di prevenire la degenerazione dell’esperienza degli utenti con i mezzi digitali:

• È necessario utilizzare in maniera ottimizzata i dati degli utenti, senza usarne di troppo sensibili e su un patto basato sul consenso tra siti, aziende e consumatori; • Le pubblicità devono essere visualizzate solo quando sono effettivamente

visualizzabili, senza che rallentino il caricamento delle pagine web;

• Gli inserzionisti dovrebbero abbandonare le pubblicità “auto-play”, che stravolgono l’esperienza dell’utente e infastidiscono la navigazione;

• Gli editori devono prendere il controllo della user experience dei propri siti, e non accettare che venga mostrata pubblicità che non incontri gli standard del proprio audience.

Una delle prime esperienze pubblicitarie che prova a risolvere questi problemi con un beneficio per tutte le parti coinvolte – inserzionisti, editori e utenti – è il native advertising, oggetto di ricerca del presente elaborato. In attesa di trattare nel dettaglio questa tematica nel secondo capitolo, può essere utile indicare per il momento che secondo alcuni studiosi (Simpson, 2015) questa nuova forma di pubblicità online potrebbe essere la “risposta” all’ad blocking. Per gli editori, infatti, il native advertising potrebbe essere il modo per incoraggiare sempre meno persone ad utilizzare i software di ad blocking, in quanto il suo scopo è quello di fornire dei contenuti pubblicitari realmente di interesse per i consumatori, che si adeguano naturalmente al contenuto della pagina che sono andati a visitare e non presentano tratti di invasività.