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Le caratteristiche del native advertising

Capitolo 1. I cambiamenti di paradigma dovuti a internet e i nuovi modi di comunicare

2.2 Utilizzo e percezione del native advertising

2.2.1 Le caratteristiche del native advertising

Le prime statistiche di utilizzo sul Native Advertising sono reperibili da report del 2014, dopo qualche mese che gli addetti ai lavori si stavano interrogando sulla reale diffusione di questo nuovo fenomeno.

Una ricerca della Association of National Advertisers (2015) si basa su un questionario somministrato a 127 membri dell’associazione, con un’esperienza media di 14 anni nel marketing, che aveva l’obiettivo di comprendere il fenomeno del native advertising nel corso del quarto trimestre del 2014.

Emerge così che ben il 58% dei rispondenti nel 2014 ha avuto a che fare con il native advertising. Di questi, il 31% lo ha sperimentato soltanto nell’ultimo anno, il 45% tra uno o tre anni prima, e il 24% più di tre anni prima. Alla domanda “la Sua azienda inizierà a fare attività di native advertising nel 2015?” il 30% ha risposto di sì, il 10% di no, e il 60% che non ne è sicura.

Le principali barriere all’utilizzo del native advertising riguardano la poca familiarità con l’argomento: ben il 55%, infatti, non è abbastanza sicuro di sapere a cosa può servire il native advertising alla propria azienda. Le altre barriere riguardano i budget limitati, la possibilità di raggiungere un audience limitato, e le preoccupazioni sulla trasparenza di questa forma pubblicitaria. In generale, tuttavia, il budget dedicato al native advertising è aumentato dal 2014 al 2015: se nel 2014 il 59% delle aziende avevano aumentato l’allocazione di budget per il native, nel 2015 si prevedeva aumentasse del 63%. La maggior parte delle aziende, tuttavia, dedica ancora il 2% o meno del totale del budget pubblicitario al native.

Oltre che per le statistiche sull’utilizzo, questa ricerca è molto utile per comprendere quali siano le caratteristiche e i problemi percepiti come più importanti. Il 63% dei rispondenti al questionario, infatti, ritiene molto importante che il native sia coerente a livello contestuale con i contenuti editoriali circostanti; il 31%, invece, ritiene importante che il native venga posizionato all’interno della pagina editoriale. È ritenuto importante anche che il native advertising preveda le stesse interazioni nella pagina web dei contenuti ristoranti. Infine, per il 26% degli intervistati è risultato importante che i formati di native advertising assomiglino ai contenuti editoriali circostanti. I dettagli sono riportati nella figura 2.5.

Figura 2.5 – Importanza delle componenti del Native Advertising

Fonte: ANA (2015)

La ricerca dell’ANA dà inoltre conferma al Playbook dell’Internet Advertising Bureau (2013) esaminato nel paragrafo precedente. Il 95% dei rispondenti al questionario, infatti, crede che il mezzo più adatto ad offrire native advertising sia quello di rivolgersi gli editori digitali, e l’85% anche il mezzo dove le pubblicità native trovano il proprio spazio. Percentuali simili si riscontrano anche per i siti dei social network.

Anche il report di Hexagram e Spada (2014), sullo stato del Native Advertising nel 2014, muove le prime considerazioni proprio dal fatto che il native advertising è un fenomeno attuale e in crescita, ma gli addetti ai lavori ne confondono ancora l’ambito di applicazione e non sono sicuri della sua efficacia.

Per dare corpo a questo report è stato somministrato un questionario alle aziende e ai professionisti del settore, includendo sia aziende inserzioniste (n = 337), sia editori (n = 374), sia agenzie intermediare (n = 302). Le aziende (56%) e le agenzie (50%) vedono il native advertising come un buon sviluppo della pubblicità online. Ma sulla definizione di “native” c’è confusione, perché il 53% delle aziende identifica il native con i “contenuti sponsorizzati”.

Al 2014, il 62% degli editori offriva native advertising, e un altro 16% prevedeva di poterlo offrire nel corso dell’anno successivo. Per quanto riguarda il lato della domanda, invece, le aziende (41%) e le agenzie (34%) utilizzano il native advertising in percentuali minori, ma il 20% delle aziende e il 12% delle agenzie prevedeva di iniziare a farne uso nel corso del 2015.

Le forme più popolari di native advertising sono i post sui blog (65%), gli articoli sponsorizzati sui siti editoriali (63%) e i post sponsorizzati su Facebook (56%).

L’82% delle aziende intervistate ritiene che il native advertising aumenti il valore della pubblicità per i consumatori, a conferma di quanto riscontrato precedentemente. Il questionario di Hexagram ha infatti chiesto quale sia la motivazione alla base dell’uso del native advertising in luogo delle forme di pubblicità online più tradizionali. Secondo le risposte più popolari, il native advertising:

• fornisce un messaggio più rilevante (67%);

• aumenta il coinvolgimento dei consumatori (63%); • genera consapevolezza di marca e buzz (62%); • fa parlare dell’azienda e genera passaparola (48%);

• è una soluzione alla banner blindness (43%), cioè al fatto che i consumatori tendono ad evitare i banner, che di conseguenza hanno un bassissimo click-through-rate (come discusso nel primo capitolo).

In generale, le aziende coinvolte nella survey ritengono che il native advertising sia un modo per essere più allineati con i media digitali, e offre maggiore credibilità rispetto alla pubblicità online tradizionale. I vantaggi sono visti soprattutto nella non-intrusività della forma pubblicitaria e nell’alta qualità dei contenuti prodotti.

Per quanto riguarda l’investimento in native advertising, secondo una ricerca di Yahoo e Enders Analysis (2016) riferita al mercato europeo, è prevista una crescita degli investimenti del 156% entro il 2020, che stima che il native advertising rappresenterà il 52% del budget di display advertising. A livello assoluto, si passerà da una spesa di 5,2 miliardi di euro del 2015 a 13,2 miliardi di euro nel 2020.

Da queste statistiche di base è stato possibile desumere alcune caratteristiche del native advertising che saranno indagate nel corso del paragrafo 2.3. Prima, infatti, è utile affrontare il tema della percezione dei consumatori di questa forma pubblicitaria.

2.2.2 La percezione del Native Advertising da parte dei consumatori