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La diffusione dei contenuti

Capitolo 1. I cambiamenti di paradigma dovuti a internet e i nuovi modi di comunicare

3.5 Il flusso pubblicitario del native advertising

3.5.2 La diffusione dei contenuti

Il native advertising possiede in sé il concetto di distribuzione del contenuto sponsorizzato in uno spazio editoriale prestigioso, che possiede i codici di comunicazione e il tono di voce di una testata editoriale e integra una comunicazione aziendale al suo interno.

È utile ripartire da Ogilvy, perché la sua posizione di anello centrale nella catena pubblicitaria ha permesso al soggetto intervistato di avere una visione chiara sia a monte sia a valle.

“Il nostro obiettivo è sviluppare dei progetti di comunicazione contemporanei che siano in grado di fare leva su tutta una serie di componenti – tra cui sicuramente c’è il contenuto e il ruolo centrale che oramai i publisher stanno acquisendo.”

[Luca De Fino] Come detto nel sottoparagrafo precedente, 3.5.1, Ogilvy ha grande consapevolezza della centralità dei contenuti, e quindi del ruolo di chi quei contenuti li distribuisce, gli editori. Ogilvy non si dedica sia alla produzione di contenuti per i brand clienti sia alla distribuzione di questi, ma fa entrambe le cose allo stesso tempo: progetta, cioè, dei contenuti che siano direttamente coerenti con lo spazio che andranno a occupare. L’agenzia, cioè, ha capito che per produrre contenuti efficaci, questi devono essere prodotti per un particolare mezzo.

“Il segreto è incorporare la creazione e lo sviluppo del contenuto insieme alla sua distribuzione. Quando arriva un brief, cerchiamo di capire qual è l’obiettivo del cliente e quali sono le caratteristiche della marca, e sviluppiamo un progetto in cui contenuto e sua distribuzione sono incorporati. Questo è il concetto.”

[Luca De Fino] Un caso di differenziazione nel mondo delle agenzie dedite alla produzione dei contenuti, come detto prima, è quello di BizUp, che ha creato UpStory per presidiare la fase a valle di distribuzione dei contenuti. Questo processo non riguarda solo i contenuti dei suoi clienti, ma di qualunque azienda che si vuole affiliare al network, il cui contenuto in base al tipo di obiettivo e al target verrà pubblicato nel sito di un determinato publisher, anch’esso affiliato alla piattaforma.

“La piattaforma UpStory è un incontro tra brand inserzionista e publisher, per poter creare un contenuto che verrà inserito all’interno del sito del publisher. È una specie di circuito di affiliazione legato al contenuto.”

[Claudio Vaccaro] Un’azienda inserzionista intervistata, KIA, ha avuto modo di utilizzare la piattaforma di distribuzione di UpStory, anche se questa attività non è stata considerata di native advertising ma di PR.

“Abbiamo utilizzato UpStory per la diffusione della campagna sul lancio della KIA Soul Eco Electric, che aveva come testimone Joe Bastianich. Però è un’attività che

abbiamo considerato come seeding e Digital PR, ma non come native advertising. Non c’è stato un lavoro a 4 mani coordinato come abbiamo fatto con i progetti de Il Sole 24 Ore e di Condé Nast.”

[Giuseppe Mazzarra] Outbrain, invece, il cui funzionamento di base è stato spiegato nel paragrafo 3.2.4, è un widget di raccomandazione che permette la “scoperta” di contenuti, quindi di fatto è un network di distribuzione. Outbrain considera due tipi di contenuti per la distribuzione: quelli

paid media, cioè dei contenuti sponsorizzati che vengono linkati all’interno del suo motore

di raccomandazione, e quelli earned media, cioè degli articoli spontanei su un brand (ad esempio la recensione di un brand loro cliente, Peugeot, su un sito editoriale specializzato, Quattroruote), anch’essi trovabili nel widget.

“In questo caso un cliente, ad es. Peugeot decide di linkare un contenuto e lo fa senza bisogno di autorizzazione di Quattroruote, perché comunque ha il diritto di link. Quel contenuto è stato già prodotto, semplicemente Peugeot si limita a suggerire quel contenuto, perché parla bene di un loro prodotto. Quattroruote non interviene: ha scritto il suo pezzo e ottiene il beneficio di essere consigliato.”

[Alberto Mari] Sulla base di cosa avviene la raccomandazione di un particolare tipo di contenuto a un utente? Outbrain utilizza un algoritmo che, attraverso i cookie, traccia il comportamento di navigazione dell’utente, e riesce a restituire all’utente solo contenuti che possono essere di suo gradimento, perché correlati ad interessi che ha manifestato nel corso del tempo navigando particolari siti, oppure cliccando su determinati link sponsorizzati.

“Tracciamo l’interesse dell’utente a prescindere dal sito che sta navigando. […] Non ha importanza la pagina in cui sei, ma il tuo comportamento di navigazione in generale. Il sistema prevede che tu abbia una certa probabilità di cliccare su quel contenuto, quindi te lo mostra. Poi se clicchi, il sistema apprende che quel contenuto è un contenuto buono e migliore di altri simili, e ti proporrà contenuti simili; se non clicchi, diversamente imparerà che non ti interessa e andrà su altri contenuti diversi.”

[Alberto Mari] In un’ottica di distribuzione, quindi, Outbrain è uno strumento che può essere utilizzato dalle aziende, o dalle agenzie che lavorano alla strategia di un’azienda, per diffondere i contenuti in base agli interessi degli utenti.

“C’è anche tutto un mondo di agenzie, che si divide in agenzie media, agenzie PR e agenzie social, che gestiscono per conto dei loro clienti dei progetti di comunicazione, e per amplificare i loro contenuti si rivolgono ad Outbrain.”

[Alberto Mari] Sono stati intervistati due soggetti inserzionisti che utilizzano Outbrain per i propri obiettivi di diffusione dei contenuti, cioè SodaStream e Pixartprinting. Nel primo caso si trattava di un contenuto video, pubblicato su Youtube e incorporato in un sito editoriale spontaneamente, che Sodastream ha scelto di utilizzare per creare awareness su questa specifica campagna.

“Si trattava di un pacchetto completo, all’interno della campagna “Heavy Bubbles”, coordinato a livello internazionale da un’agenzia. I risultati sono stati poi condivisi con tutte le filiali, e per quanto riguarda l’Italia, abbiamo visto come Outbrain ha performato sul nostro Paese e abbiamo deciso di perseguire su questo canale.”

[Francesco Favaro] Nel caso di Pixartprinting, invece, nella strategia di amplificazione dei contenuti che vengono prodotti dall’azienda rientra, oltre che alla social advertising, anche un tipo di promozione native in senso lato come Outbrain.

“In questo caso non c’è pubblicità, senonché poi in una fase finale di costruzione del progetto, abbiamo anche previsto l’inserimento di questo tipo di contenuti all’interno di piattaforme pubblicitarie che possono essere Outbrain o altro, in forma di sponsorizzazione.”

[Davide Turatti] Arrivando però alla diffusione di contenuti native in senso stretto, viene ora esaminato il caso degli editori. Questi, infatti, hanno iniziato a ospitare all’interno dei propri siti editoriali, come spiegato nel paragrafo 3.2 del presente capitolo, degli spazi specificatamente destinati al native advertising. Quello che fanno gli editori è semplicemente dedicare degli spazi all’interno dei propri siti agli articoli sponsorizzati da parte delle aziende. Valga un esempio su tutti, quello di Repubblica.it, per questo processo di diffusione, uguale per tutti gli editori intervistati.

“L’articolo non c’è solo sulla home page, molto spesso se l’obiettivo è specifico su un determinato tema – ad esempio di spettacoli – starà solo nelle pagine “Spettacoli” e da nessun’altra parte. E poi lo condividiamo anche sui nostri canali social.”

Questo aspetto si lega fortemente con quello della disclosure, ovvero della necessità di segnalare chiaramente che il contenuto editoriale proposto è sponsorizzato da un’azienda, quindi è una forma di pubblicità, per non trarre in inganno il consumatore. Ciò verrà analizzato nei risultati al paragrafo 3.7 del presente capitolo.

Dopo avere esaminato gli aspetti relativi alla creazione e alla diffusione dei contenuti, è arrivato il momento di spiegare quali sono gli obiettivi di comunicazione impostati dalle aziende per il native advertising, e come questi vengono misurati.