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I. Il misto foro

3. I crimina mixti fori in Europa

Per quanto riguarda il misto foro nel contesto europeo si ripresenta la stessa situazione frammentaria che vale per gli studi relativi alla penisola italiana: u- sando un‟espressione di Elena Brambilla si deve ammettere come manchi «a tutt‟oggi una griglia di classificazione delle “costituzioni politico-ecclesiastiche” degli stati della prima età moderna che consideri il ruolo che vi assumono i tri- bunali sia ecclesiastici, inquisitoriali o episcopali ordinari, sia laici, incaricati di perseguire i delitti di fede».82 La situazione appare anche qui particolarmente

variegata anche se una prima distinzione può essere fatta tra la Francia e l‟Inghilterra dove i reati di morale, d‟opinione, e sessuali subirono un rapido processo di secolarizzazione; laddove si affermarono i tribunali della fede di matrice inquisitoriale, dipendenti da Roma o dalla Suprema spagnola, la situa- zione fu caratterizzata da un più accentuato pluralismo giuridico che rese più facile lo sviluppo del fenomeno.

In Francia, a decorrere dal Quattrocento, era già stato avviato un procedi- mento definito da Raymond Mentzer «laicizzazione dell‟eresia». L‟espressione sta a indicare l‟acquisita competenza, da parte dello stato, dei reati che offende- vano la morale pubblica. Il foro secolare, infatti, in assenza dell‟Inquisizione delegata papale, si arrogò presto il diritto di «decidere dei crimini di fede e di quelli diabolici, con la maggiore attenzione al danno fisico e alla rivolta contro la Sovranità, piuttosto che al contenuto religioso; e con risultati senz‟altro cruenti».83 In Francia questi crimini furono assunti presto nell‟orbita dei Parla-

menti: nel 1551 l‟editto di Chateaubriant stabilì la loro esclusiva competenza

79 E.BRAMBILLA, La polizia dei tribunali ecclesiastici, cit., pp. 82, 91. 80 P.PRODI,Una storia della giustizia, cit., p. 216.

81 E.BRAMBILLA,Alle origini del Sant‟Uffizio, cit., p. 304.

82 Ancora una volta le ricerche della studiosa risultano particolarmente preziose. 83 V.LAVENIA, «Anticamente di misto foro», cit., p. 39.

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nei processi per eresia; da quel momento in poi i vescovi perdettero il ruolo di giudici: non avrebbero più dovuto ingerirsi in tali cause, «pena l‟anatema politi- co come privazione di ogni legittima autorità». In realtà, come sottolinea Elena Brambilla, l‟innovazione più grande, compiuta dalla legislazione francese in questo campo, fu sancita dall‟editto di Villers-Cotteret del 1539 nel quale si di- stingueva nettamente fra eresia e sedizione.

L‟eresia semplice equivaleva al reato occulto o mentale, ossia al reato d‟opinione, e contro di esso i vescovi o gli inquisitori, ottenuta la facoltà d‟arresto e processo sino alla sentenza, potevano usare armi ben più penetranti dei magistrati regi. Dal 1551 il de- litto mentale, in Francia, era lasciato ai vescovi ma sostanzialmente abolito: i Parla- menti procedevano solo contro il “delitto esterno”, in atti o in parole, escludendo il peccato o “causa di coscienza” per punire soltanto il reato. I tribunali regi, in base al- la distinzione tra eresia “semplice” e scandalle, nel significato di turbamento dell‟ordine

pubblico, potevano procedere solo contro le azioni e le parole esterne e pubbliche […]

L‟editto di Chateaubriant laicizzava i processi d‟eresia, passandoli dalle curie vescovili alle corti regie.84

Alfred Soman in Sorcellerie et Justice criminelle (16e – 18e siècles) scrive che tra il 1564 e il 1639 il Parlamento di Parigi si trovò a giudicare le seguenti tipologie di reato: gli omicidi, le violenze, i furti, la stregoneria, l‟infanticidio o l‟aborto, la bigamia, la sodomia, la blasfemia, la diffamazione e il tradimento. In particolare Soman riuscì a identificare, per il periodo preso in esame, settecentocinquanta processi per stregoneria nei quali furono coinvolte circa duemila persone.85 Si

può quindi evincere la portata punitiva della giustizia laica sui crimini sopra cita- ti. Già sul finire del XVII secolo, all‟interno del Parlamento, si creò una distin- zione tra crimini immaginari che, ormai non venivano più perseguiti come tali, e i crimini reali non più attribuiti al potere di Satana: «empoisonneurs et charla- tans sont désormais considérés et punis comme tels».86

In Inghilterra, come in Francia, l‟Inquisizione delegata papale non mise mai piede e determinati crimini (nella maggior parte dei casi reati sessuali), conside- rati di misto foro e contesi fra le corti episcopali e i giudici di pace e d‟assise,

84 E.BRAMBILLA,La giustizia intollerante, cit., p. 169. Su questo punto v. anche EADEM, Alle ori-

gini del Sant‟Uffizio, cit., pp. 411-436 (l‟esauriente capitolo intitolato La laicizzazione dell‟eresia in Francia). Nello stesso momento in cui in Francia i vescovi veniva esautorati dal conoscere le

cause d‟eresia, in Italia Giulio III vietava la conoscenza di tali casi a qualsiasi giudice laico. Ibi-

dem. V. anche N. M.SUTHERLAND, Was there an Inquisition in Reformation France? in IDEM, Princes,

Politics and Religion 1547-1589, London, The Hambledon Press, 1984, pp. 13-30. W.MONTER,

Judging the French Reformation: Heresy Trials by Sixteenth Century Parlements, Cambridge, Harvard

University Press, 1999.

85 A.SOMAN,Sorcellerie et Justice criminelle (16e – 18e siècles), Brookfield, Bookcraft, 1992, pp. 791, 792. Su questo punto v. anche il più recente P.LOMBARDI, Il secolo del diavolo. Esorcismi, magia e

lotta sociale in Francia (1565-1662), Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 2005.

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divennero – entro la fine del Seicento – competenza esclusiva delle corti laica- li.87 Anche in questo caso, come avvenne per la Francia, si trattò di un processo

avviatosi alla fine del Quattrocento; le forze della giustizia ordinaria erano piut- tosto esigue: oltre ai due arcivescovi primati di Canterbury e York ve ne erano altri ventuno, i quali erano competenti anche contro l‟eresia «secondo il diritto romano […] i loro poteri vennero anzi aumentati nel XV secolo per combatte- re l‟eresia dei lollardi, emersa dopo la grande rivolta contadina del 1381». L‟Inquisizione episcopale inglese si distingueva da quella delegata per due pe- culiari caratteristiche: «secondo le leggi del Regno non vi entrò il ricorso alla tortura (anche se vi sono indizi di un suo uso incipiente da fine Quattrocento); e poiché non vi era mai entrata neppure l‟Inquisizione condotta dai frati men- dicanti, la procedura rimase interamente di foro esterno». Lo spartiacque per la redifinizione del potere giudiziario-episcopale fu la Riforma anglicana; prima di questa i vescovi avevano la facoltà di tradurre in arresti le loro scomuniche (writ de excomunicato capiendo) attraverso la collaborazione con la Cancellaria regia e con gli sceriffi locali; oltre al carcere, nel 1388 fu introdotta la pena del seque- stro dei beni - e dal 1488 il rogo - contro coloro che fossero stati giudicati relap- si o ostinati.88 Dopo la riforma anglicana il delitto d‟eresia-lesa maestà papale

venne secolarizzato nel crimine di lesa maestà regia; e incluse solo i reati di alto tra- dimento, in atti o in parole, contro le nuove leggi di successione e le nuove preroga- tive del re, come signore in ultima istanza della chiesa d‟Inghilterra, ultima istanza d‟appello (in luogo della Curia romana) delle Corti primaziali di Canterbury e York, e fonte della sovranità legislativa, giudiziaria e fiscale del Regno. Nel reato di tradimen- to venne compreso il delitto non solo in atti, ma anche in parole contro l‟autorità del re, depositario del potere di troncare le controversie teologiche e di promulgare in Parlamento la legislazione costituzionale sul culto pubblico e la chiesa anglicana, la chiesa cioè nazionale e ufficiale.

87 E.BRAMBILLA, La giustizia intollerante, cit., pp. 171-177. Prima della rivoluzione le corti epi-

scopali mantennero una notevole attività quasi esclusivamente nelle cause matrimoniali e nella correzione dei reati sessuali – come le gravidanze illegittime, il concubinato, l‟adulterio ecc. - tanto che i puritani le bollarono come the bawdy courts, le corti puttaniere. Cfr. J. ADDY,Sin and

Society in Seventeenth Century, London-New York, Routledge, 1989; M. Ingram, Church, Courts, Sex and Marriage in England 1570-1640, Cambridge, Cambridge University Press, 1987; per il peri-

odo successivo v. R.B.SHOEMAKER,Prosecution and Punishment. Petty crime and the Law in London and rural Middlesex, c. 1660-1725, Cambridge, Cambridge University Press, 1994. Entro la fine

del Seicento i giudici di pace assorbirono le compentenze vescovili in materia di crimini morali e sessuali: vagabondaggio, incontinenti di cattiva condotta, blasfemi, profanatori di feste. Alle corti d‟assise erano inviati i casi più gravi come l‟aborto e la stregoneria (anche se i casi per quanto concerne quest‟ultimo reato furono piuttosto esigui per i motivi che si spiegheranno più avanti nel capitolo dedicato alla stregoneria come crimine di misto foro). Cfr. E.BRAMBIL- LA, La giustizia intollerante, cit., p. 177 e la ricca bibliografia citata dalla studiosa.

88 La pena di morte fu introdotta nel 1401 da Enrico IV con la legge De Haeretico comburendo e

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Nel 1559 l‟Atto di uniformità limitò notevolmente il concetto d‟eresia legandolo alle trasgressioni descritte in un numero limitato di testi, le Scritture e i primi Concili generali; la pena di morte fu mantenuta solo per punire il reato di tra- dimento. Commissioni speciali di prerogativa regia miste di giudici ecclesiastici e laici, le Courts of Hight commission, erano deputate al controllo dell‟eresia sem- plice (le proposizioni «sacramentarie influenzate da Zurigo e Ginevra»); nel 1640, tuttavia, tali organismi furono soppressi dai puritani. Il potere dei vescovi era limitato anche sulla definizione delle controversie dogmatiche: l‟ultima deli- bera era affidata al re in Parlamento: «l‟ordine ecclesiastico fu così escluso dal potere di promulgare per autorità propria dogmi e canoni vincolanti per le co- scienze».89

Nettamente diversa risulta la situazione spagnola, dove il tribunale del Sant‟Uffizio fu istituito nel 1478 con l‟intento dichiarato di perseguire le mino- ranze etniche-religiose (soprattutto conversos e moriscos). Con gli stessi scopi il controllo della Suprema si estese anche alla Sicilia e alla Sardegna che, da tem- po inglobate nell‟impero catalano-aragonese, videro sin dal primo Cinquecento il radicarsi di tribunali di fede nei loro territori, mentre per quanto concerne la penisola italiana, lo Stato di Milano e il Viceregno di Napoli seppur soggette al dominio spagnolo, si ribellarono all‟instaurazione di un‟Inquisizione “al modo di Spagna” (con rivolte che ebbero luogo a Napoli nel 1547 e a Milano fra il 1558 e il 1559); ragion per cui nei loro territori furono instaurate solo delle suc- cursali del Sant‟Uffizio romano.90

In Spagna, al pari di quanto avveniva nella penisola italiana, le magistrature che dovevano occuparsi di reprimere determinati reati – soprattutto nei con- fronti dei cosiddetti delitti atroci come la blasfemia, la sodomia, la bigamia e la sollecitazione - variavano spazialmente; solo per fare un esempio: nel regno d‟Aragona per i casi di sodomia era competente l‟Inquisizione, mentre in Casti- glia lo stesso reato rientrava nell‟orbita delle autorità civili. In Castiglia l‟Inquisizione si era trasformata presto da strumento contro la minoranza con- versa in uno strumento di difesa contro i calvinisti e i luterani. Le facoltà giuri- sdizionali dell‟Inquisizione andavano aumentando sempre più, grazie alle colla- borazioni che l‟istituzione andava intessendo sempre più fitte con il Consiglio del regno; ciò aumentava il potere della Suprema anche nei confronti dei poteri politici locali. Come osserva Stefania Pastore: «la lunga offensiva ai privilegi fo- rali della Corona d‟Aragona si concluse con un allargamento degli ambiti di in- tervento inquisitoriali ai delitti di misto foro quali usura, bestemmia, bigamia e

89 Ibidem.

90 Per quanto concerne i tentativi di istituire succursali della Suprema nello stato di Milano v. M.

C.GIANNINI,Fra autonomia politica e ortodossia religiosa: il tentativo d‟introdurre l‟Inquisizione al modo di

Spagna nello Stato di Milano (1558-1566), in “Società e Storia”, 91 (2001), pp. 79-134. Per

l‟Inquisizione in Sicilia v. M.LEONARDI, Governo, Istituzioni, Inquisizione nella Sicilia spagnola. I pro-

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sodomia; uno sconfinamento che invano le Cortes aragonesi cercarono di combattere»; intorno al 1535 anche i privilegi – la giurisdizione speciale – che l‟Inquisizione concedeva ai propri funzionari divenne un dato acquisito, «a sca- pito del potere civile».91

E tuttavia le ripartizioni di competenze non erano così nette, basti considera- re il crimine di bigamia, esso continuava a trascinare dietro di sé numerose que- stioni irrisolte che si riversavano nel problema delle competenze. La canonisti- ca elaborò una serie di trattati – come quelli di Villadiego, Simancas, Gregorio López – che sostenevano il diritto dell‟Inquisizione di occuparsi solo di alcuni casi di bigamia: quelli in cui i matrimoni successivi al primo fossero stati con- tratti pubblicamente. Questo faceva pensare che l‟imputato credesse lecito con- trarre più matrimoni simultaneamente e che avesse quindi un‟idea distorta del sacramento del matrimonio. Negli altri casi, quelli in cui il bigamo avesse cele- brato il secondo matrimonio clandestinamente o avesse falsificato nome e do- cumenti si poteva avere la certezza che l‟imputato non avesse compiuto né un errore di fede, né un abuso sacramentale; la competenza sul caso sarebbe dun- que spettata al tribunale ordinario. Probabilmente si trattava di un criterio arbi- trario e alquanto discutibile che non riuscì a risolvere del tutto la questione.

Nel 1521 le corti di Monzón stabilirono che l‟Inquisizione non si sarebbe do- vuta intromettere nei casi spettanti ai tribunali ordinari, la competenza giuridica sui casi di bigamia – nei quali non sussistesse la componente eretica dell‟incriminato – sarebbe spettata al tribunale episcopale. Senza addentrarsi nei meandri giuridici e nelle varie fasi del contenzioso si può affermare che, in Spagna, il conflitto sulle competenze in merito ai casi di bigamia era lungi dall‟essere risolto; la polemica fu mitigata solo nell‟ultimo quarto del Settecen- to. Ci rimane un bel esempio dell‟applicazione della dottrina di misto foro. Nel febbraio del 1770 l‟Inquisizione reclamò la facoltà di procedere nei confronti di un soldato che si era sposato due volte, il problema stava nel fatto che l‟Auditore di Guerra di Madrid aveva già avviato un procedimento a carico dell‟imputato. Il 5 febbraio 1770 Carlo III ordinò all‟inquisitore generale di non ingerirsi – e di non far ingerire nemmeno gli inquisitori distrettuali – nelle cause in cui non fosse comprovata l‟apostasia e l‟eresia. L‟inquisizione spagnola tut- tavia non si uniformò e così il 6 dicembre 1777 si riunì un congresso che aveva il compito di districare le competenze sul reato. Ne facevano parte l‟inquisitore generale, il governatore del Consiglio e il confessore del re: la giunta riconobbe la competenza civile e penale del reo al tribunale di Stato (al quale l‟imputato doveva rispondere delle accuse di falsificazione della fede pubblica, inganno della seconda moglie, offesa nei confronti della prima consorte, eventuale “in- versione” dell‟ordine di successione a seguito della nascita di figli dal secondo

91 S.PASTORE,Il vangelo e la spada. L‟Inquisizione di Castiglia e i suoi critici (1460-1598), Roma, Edi-

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matrimonio), al tribunale ordinario del vescovo fu riconosciuta la competenza sugli aspetti riguardanti la giurisdizione ecclesiastica (inganno del parroco, dei fedeli, nullità della seconda unione), l‟Inquisizione si sarebbe dovuta occupare della mala credenza del bigamo e dell‟abuso del sacramento matrimoniale. Il decreto sancito al termine della riunione stabiliva i seguenti dettami: le tre giuri- sdizioni si sarebbero dovute aiutare reciprocamente senza ostacolarsi e ciascu- na avrebbe dovuto applicare la propria sentenza.92