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4. Misto foro, crimen laesae maistatis e crimini senza vittime
I principi che regolano il nostro ordine costituzionale, e in generale quello delle società occidentali, si basano sulla libertà di coscienza: nessuno potrebbe essere considerato reo di un delitto per ragioni di credo religioso che, aspetto intimo della coscienza individuale, non ha motivo di essere posto né sul piano giuridi- co, né su quello del diritto penale. La prospettiva giuridica nell‟Ancien régime e in particolare quella inquisitoriale prevedeva l‟esatto opposto: gli individui erano perseguiti in base alle loro credenze religiose, alle opinioni e ai comportamenti sessuali. Facendo riferimento all‟attuale diritto penale sarebbe difficile poi sta- bilire il ruolo della vittima nella maggior parte dei crimini d‟eresia: «la natura del delitto – impersonale e immateriale – lo fa diventare un‟entità praticamente in- comprensibile».93 Il dissenso religioso, come si è già accennato, rappresentava
solo una delle devianze perseguite dall‟Inquisizione che estendeva il proprio raggio di controllo anche a quelle che erano ritenute devianze sessuali come la sodomia; crimini «oggi quasi interamente depenalizzati, e spostati anzi tra i comportamenti protetti da diritti penali e garanzie individuali».94
Nei crimini d‟eresia il concetto di vittima risulta particolarmente inafferrabile: esso è rappresentato da un‟entità incorporea, l‟ortodossia cattolica che viene aggredita e offesa. Secondo María Jesús Torquemada i trattatisti dell‟età mo- derna erano perfettamente coscienti di questa astrazione e si adoperarono per superarla: il problema era quello di trasformare l‟ortodossia in qualcosa di più concreto. Si deve, infatti, ammettere che nella maggior parte dei casi è molto difficile, se non impossibile, determinare la persona fisica che, in un crimine d‟eresia, ha subito un danno materiale, basti pensare ad alcuni reati come la de- tenzione di libri proibiti, l‟utilizzo di oggetti consacrati, la massoneria. Secondo i trattatisti il modo migliore di risolvere la questione fu quello di accostare, so-
92 E. GACTO,El delito de bigamia y la Inquisicion española, cit., pp. 128-137.
93 M. J. TORQUEMADA, ¿Delictos sin víctimas ante la inquisición? in ACTA HISTRIAE, XII (2004)
1, pp. 113 – 119, v. in part. p. 113.
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vrapponendole, la figura della parte lesa a quella del sovrano; il concetto di lesa maestà si legò quindi indissolubilmente a quello di lesa maestà divina.95 Come scri-
ve Adriano Prosperi: «se la Chiesa si era fatta Stato davanti alla minaccia della disobbedienza, lo Stato non esitava ora a farsi Chiesa. Di fatto nell‟amministrazione della giustizia da parte dei moderni sovrani («assoluti» in quanto sciolti dalle leggi) il reato di eresia confluì in quello di lesa maestà».96 La
categoria dei crimini di lesa maestà divina fu progressivamente dilatata «a ogni ipotesi di devianza politica e religiosa» per questo motivo si incrementò note- volmente il numero di interventi coercitivi.97 Non a caso il concetto di lesa
maestà divina fu analizzato dai giuristi dell‟età moderna che ci hanno trasmesso il loro pensiero, piuttosto lucido e sicuro, sulla coesione tra la vita sociale, poli- tica e religiosa, aspetti intimamente legati l‟uno all‟altro.
Mario Sbriccoli in un libro, divenuto un classico, dedicato al crimen laesae maie- statis si sofferma in modo particolare sul crimine di lesa maestà divina: esso na- scondeva una concezione integralista della società e del potere fondata sull‟idea di punire il colpevole per proteggere lo stato «anche se quella dissidenza si po- ne su un terreno diverso da quello strettamente politico e verte su questioni di fede e organizzazione religiosa». Il passaggio alla modernità fu caratterizzato dalla repressione di una tipologia di delitti che, sempre più vasta, comprendeva tutte le deviazioni dai modelli dominanti. Si verificò un graduale riversamento del foro penale sulla sfera pubblica, la società era direttamente coinvolta dal de- litto e dalla sua repressione:
ogni delitto diviene in certo modo crimen laesae maiestatis, come attentato contro il monopolio del potere del monarca e dello Stato. A ciò corrisponde un mutamento nel concetto soggettivo stesso di colpa la quale tende ad essere vista non più come scissa tra il peccato e il reato, tra una sfera interiore e una esteriore, ma come qualco- sa di totalizzante per cui la disobbedienza alla norma diviene ribellione contro Dio e la società ad un tempo.98
95 M. J. TORQUEMADA, ¿Delictos sin víctimas ante la inquisición?, cit., p. 117.
96 A.PROSPERI,Giustizia bendata. Percorsi storici di un‟immagine, Torino, Einaudi, 2008, p. 183. La
definizione crimini senza vittime è attuale: è stata coniata dalla sociologia anglosassone e si inseri- sce in quel filone di studi chiamato law and society; «una definizione […] che facendo irruzione nel rigido quadro normativo e giurisprudenziale, immette una diversa percezione della devianza e, soprattutto, del suo rapporto controverso con i valori sociali ritenuti ideologicamente pre- dominanti»; C. POVOLO, La vittima nello scenario del processo penale. Dai crimini senza vittime
all‟irruzione della vittima nel dibattito sociale e politico. Introduzione, in ACTA HISTRIAE, XII (2004),
p. ı.
97 M.BELLABARBA, La giustizia nell‟Italia moderna, cit, p. 5; su questo punto v. anche G.ALESSI,
Il processo penale. Profilo storico, Roma-Bari, Laterza, 2001, p. 37.
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Attraverso il crimine di lesa maestà divina si creava una compenetrazione, e un sostegno reciproco tra la sfera religiosa e quella laicale;99 nella pratica tali
crimini erano puniti con pene severissime, spesso infamanti. Per quel che attie- ne specificatamente la presente ricerca non si può fare a meno di rilevare come le cinque condanne a morte comminate dall‟Inquisizione nella prima metà del Settecento servirono per punire reati di lesa maestà divina. I colpevoli – secondo la logica inquisitoriale, fondata su bolle papali e trattati giuridici utiliz- zati ad arbitrio del potere ecclesiastico – si erano macchiati di colpe così gravi da meritare la pena di morte al primo lapso. Si ritiene importante evidenziare come sia il Consiglio dei Dieci, sia il Sant‟Uffizio invocarono il ricorso alla lesa maestà divina per punire gravi trasgressioni all‟ordine sociale prestabilito: è evi- dente la concorrenza di intenti tra le due sfere che può concretarsi nel fornire il braccio secolare ma che può anche sfociare nel conflitto di competenze come si vedrà in seguito.
Come ha osservato Claudio Povolo: «in una società in cui la legge degli uo- mini era fortemente compenetrata alla legge di Dio, la distinzione tra crimine e peccato era spesso evanescente. Non solo perché, per la cultura dell‟epoca era spesso assai difficile distinguere tra i due, ma anche perché era la stessa giusti- zia secolare a ergersi a difesa della religione»;100 la pericolosità conferita a tali
crimini e a coloro che li avevano compiuti erano, come si è già accennato, af- frontati in diversi trattati e pratiche criminali «ma anche nelle sentenze e, più in generale, atti giudiziari, che definivano sia le tipologie delle devianze che le ca- ratteristiche di coloro che avevano infranto le leggi umane e divine (per ricorrere ad una formula assai in uso nella prassi giudiziaria cinque-seicentesca)».101
Il misto foro apparteneva in senso proprio a determinati quadri normativi e giuri- sprudenziali del passato e indicava un concorso di competenza tra due o più
99 M.SBRICCOLI,Crimen laesae maiestatis. Il problema del reato politico alle soglie della scienza politica mo-
derna, Milano, Giuffré, 1974, pp. 346-348. P. PRODI, Una storia della giustizia, cit., pp. 173, 174.
100 C.POVOLO,La vittima nello scenario del processo penale, cit., p. ı e ss.
101 Come osserva Claudio Povolo: «un‟analisi della retoria utilizzata per descrivere soprattutto
quei crimini definiti mixti fori può aiutare a definire il livello delle interconnessioni tra i due po- teri, ma anche lo specifico rilievo assegnato al comportamento deviante», cfr. IDEM, Retoriche
della devianza, criminali, fuorilegge e devianti nella storia (ideologie, storia, diritto, letteratura, iconografia …)
in “ACTA HISTRIAE”, n. 15 (2007), pp. 1-18, le citazioni sono a p. 7.Sui crimini senza vitti- me cfr. IDEM,La vittima nello scenario del processo penale, cit., p. ı. come osserva l‟autore: «si trattava
di crimini sentiti come particolarmente pericolosi per la società nel suo complesso, ma che alla base presupponevano la difesa di interessi ben precisi di gruppi dominanti, le cui caratteristiche erano d‟impronta nettamente teocratica (come ad esempio nell‟America coloniale), oppure co- me in Europa, fortemente contrassegnate da un‟alleanza tra trono ed altare». Ivi, p. xıı e ss. Una ricerca sui crimini senza vittime, e sulla loro repressione nella Bologna del XVII secolo (con particolare attenzione alla sodomia), è stata pubblicata recentemente, v. C.CASANOVA,
Crimini nascosti. La sanzione penale dei reati «senza vittima» e nelle relazioni private (Bologna XVII secolo),
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giudici idonei a giudicare determinati crimini che, come si è già detto, per la lo- ro particolare natura erano soggetti sia alla giurisdizione del foro ecclesiastico ordinario e delegato, sia a quella del foro laicale. Il termine misto foro quindi più sottilmente indicava sia il concorso di competenze tra i tribunali laici ed ec- clesiastici, sia la natura mista di determinati crimini nei quali la componente eti- ca e morale era difficilmente districabile da quella criminale.102
Secondo Bartolomé Clavero la podestà ecclesiastica aveva stabilito, e stabiliva i peccati e la politica statale determinava i delitti, (anche se, secondo chi scrive, i due concetti non poi così netti, soprattutto nel passaggio alla modernità). I peccati erano definiti da una serie di testi a carattere religioso e teologico, pri- mo fra tutti la Bibbia, i crimini dalla tradizione giuridica; i due aspetti – come del resto ha ben evidenziato Paolo Prodi – ebbero percorsi differenti: nella tra- dizione occidentale non esiste un testo di derivazione unica come il Corano in cui legge e religione siano fusi. La formula mista quindi in prima istanza dev‟essere intesa come un assoggettamento culturale a diverse tradizioni.103
Naturalmente si trattava di due percorsi che, del tutto differenti, avevano an- che finalità diverse: nel processo di fede si voleva imporre «a tutti i costi la cor- rezione e l‟abbandono di un error intellecti, un errore della mente», all‟inquisito era data una sola possibilità di redimersi attraverso la confessione-abiura che comportava il perdono ma non l‟assoluzione.104 La specificità della giustizia re-
ligiosa stava nella cosiddetta grazia o perdono: è la misericordia dei giudici religiosi – tesa a convertire e a convincere – a rendere «inaccettabile ogni confronto con la giustizia penale. I due sistemi, come ha osservato Elena Brambilla, non si possono confrontare neppure in termine di numero dei roghi o degli autodafé, perché la differenza non sta nella quantità, ma nella qualità della repressione».105
La “scissione” di uno stesso crimine – attraverso la perseguibilità di ciascuna delle due parti – in due fori concorrenti si basa proprio su questo assunto sul quale si fondano gli episodi che saranno riportati nei capitoli successivi: l‟Inquisizione doveva occuparsi del sospetto di eresia, le magistrature secolari di reprimere lo scandalo e di risarcire un‟eventuale danno cagionato a terzi (na- turalmente per le magistrature secolari era necessario accertarsi che il crimine fosse stato realtmente compiuto).
I cosiddetti crimini senza vittime si connotarono come reati morali o d‟opinione anche dove non esisteva una pluralità giudiziaria: in Francia, già dal Quattro- cento, per tali reati (considerati crimini di lesa maestà) erano competenti i Par- lamenti; questi ultimi erosero le competenze – sulla stregoneria, la bigamia, la
102 V.LAVENIA, «Anticamente di misto foro», cit., p. 38.
103 B.CLAVERO,Delito y pecado. Nocion y escala de transgresiones, in Sexo Barrocco, cit., p. 65.
104 La confessione anche se spontanea o resa in tempo di grazia dava luogo a un‟assoluzione
che preveniva il processo (spesso accompagnata dall‟imposizione delle cosiddette penitenze salutari). E.BRAMBILLA,La giutizia intollerante, cit., pp. 45 – 50.
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sodomia, la blasfemia ecc. – alla giustizia ordinaria episcopale, come si è già a- vuto modo di dimostrare. Il misto foro presupponeva che vi fossero le condi- zioni per la sua esistenza: un pluralismo giuridico determinato dalla presenza di tribunali ecclesiastici e secolari concorrenti per determinate materie. Laddove si presentarono queste condizioni furono coniate espressioni linguistiche proprie per definirle (la terminologia di derivazione latina, come si potrà notare, le ren- de molto simili): mixtifório in Portogallo, misto fuero in Spagna e presumibilmente nelle colonie; in Inghilterra, dove l‟Inquisizione delegata papale non mise mai piede, e i crimini morali erano perseguiti dai vescovi, il fenomeno del misto fo- ro fu piuttosto breve e per indicarlo fu mantenuta l‟espressione latina mixti fo- ri.106
Tali crimini sarebbero stati soggetti alla secolarizzazione, scrollando loro di dosso la componente religiosa, ma si trattò di un processo piuttosto lungo. Nella penisola italiana il processo verso la laicizzazione del peccato fu più lento e combattuto, in generale si può affermare che giunse a compimento nel corso del Settecento. Per quanto riguarda gli Stati Uniti questo processo è stato mes- so in luce da Lawrence Friedman secondo cui la distinzione tra peccato e reato avvenne nel momento in cui la società richiedeva una maggior forma di auto- controllo nei confronti degli individui; il passaggio si venne delineando attra- verso la distinzione tra pubblico e privato: le forme di devianza compiute aper- tamente dovevano essere riprese e punite dall‟autorità che si dimostrava invece più tollerante nei confronti degli illeciti compiuti privatamente.107 Secondo
Claudio Povolo la perdita di valore assoluto della legge morale è dovuta alle trasformazioni economiche e sociali avvenute nel corso del XVIII secolo:
un fenomeno dovuto alla crescita dei centri urbani e alle trasformazioni economiche che misero in rilievo il diverso valore assegnato alla proprietà. Ma che è pure acco- stabile al venir meno della società cetuale e ai valori collegati all‟onore e alla prece- denza di status. Trasformazioni che avrebbero reso i crimini più definiti e convenzio- nali.108
Sinora parlando di questi reati si è sentita la necessità di generalizzare: i crimini senza vittime, i crimini di lesa maestà e i misto foro rappresentano tipologie delit- tuose variabili nel tempo e nello spazio, secondo la sensibilità degli assetti di potere nel definirli, come si è già dimostrato. Pur mantenendo ferme le distin- zioni semantiche tra i due termini – crimini senza vittime e misto foro – si deve ammettere che, nella pratica giudiziaria, la maggior parte (se non la quasi totali- tà) dei misto foro oggetto di questa ricerca risulta costruita intorno a victimless crimes. I mixti fori tra Inquisizione e magistrature secolari della Repubblica di
106 EADEM, La giustizia intollerante, cit., pp. 176, 177.
107 L.FRIEDMAN,Crime and punishment in American history, New York, Basicbooks, 1993. 108 C.POVOLO, La vittima nello scenario del processo penale, cit., p. 4.
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Venezia, in un arco cronologico ben definito (il XVIII secolo), riguardano in- fatti le seguenti tipologie di reato: abuso di oggetti consacrati a fine magico, apostasia, bestemmia, oltraggio a immagini sacre, proposizione di massime ere- ticali, consumazione di cibi proibiti, sortilegi, lettura e possesso di libri proibiti, sollecitatio ad turpia; i casi specifici saranno analizzati nei capitoli che seguono.