II. I linguaggi della giustizia, le istituzioni e i filtri
2. La procedura inquisitoriale
Attraverso la proclamazione della bolla Licet ab initio (21 luglio 1542) e l‟istituzione della Congregazione cardinalizia del Sant‟Uffizio lo Stato della Chiesa edificò una struttura centralizzata e sovrastatale, con lo scopo di com- battere l‟eresia. La Congregatio Romanae et Universalis Inquisitionis fu un organi- smo mutevole che si andò sempre più perfezionando anche nelle procedure, sedimentate poi nel cosiddetto stilo (la prassi consuetudinaria adottata dal sa- cro tribunale).20
Una volta insediata sul luogo la giurisdizione del sacro tribunale doveva fare i conti con «un‟intricata realtà [locale], basata sugli interessi particolari, i privi- legi sociali, il pluralismo giuridico». «L‟addestramento» dei giudici di fede, ef- fettuato dai cardinali della Congregazione del Sant‟Uffizio, fu quindi realizza- to direttamente sul campo attraverso la corrispondenza;21 il flusso epistolare
tra il centro e la periferia, infatti, rappresentò uno degli elementi vitali per il funzionamento dell‟Inquisizione. L‟organo centrale aveva il compito decisivo di fissare le regole che erano calibrate sui singoli casi e assolutamente arbitra- rie (ad «arbitrio del potere» sostiene Adriano Prosperi). Si ritiene importante rilevare il ruolo di tale corrispondenza che aveva la finalità di «correggere fin nei minimi dettagli il comportamento delle periferie»: le direttive sui singoli casi erano prese di volta in volta da cardinali – i cosiddetti inquisitori generali - che non necessariamente avevano una formazione teologica o giuridica. Il voto deliberativo, di sola pertinenza degli inquisitori generali, era preso prima della feria quinta, l‟occasione solenne in cui i cardinali membri si riunivano al cospetto del pontefice e sottoponevano la loro decisione al papa per giungere alla risoluzione finale (un folto gruppo di teologi e giuristi – la cosiddetta con- sulta teologica che si riuniva separatamente dagli inquisitori generali – presta- va comunque assistenza giuridica).22
20 A.GARUTI,La santa romana e universale Inquisizione: strutture e procedure, in Agostino Borromeo
(a cura di), L‟Inquisizione. Atti del simposio internazionale. Città del Vaticano, 29-31 ottobre 1998, Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, 2003, pp. 381-417.
21 G.ROMEO, L‟Inquisizione nell‟Italia moderna, cit., p. 40.
22 A.PROSPERI, Un decennio di studi sull‟Inquisizione: introduzione ai lavori, intervento tenuto al
Convegno A dieci anni dall‟apertura dell‟Archivio della Congregazione per la Dottrina della Fede: storia e
archivi dell‟Inquisizione, 21 febbraio 2008 (il filmato della relazione si trova in
www.radioradicale.it). Allo stato attuale delle ricerche sono state curate tre raccolte di lettere inviate dalla Congregazione del Sant‟Uffizio ai tribunali periferici, per i primi due volumi – sui quindici totali – delle lettere inviate dal Sant‟Uffizio di Bologna dal 1573 sino al 1594 v. G.DALL‟OLIO,Irapporti tra la Congregazione del Sant‟Ufficio e gli inquisitori locali nei carteggi bolognesi
(1573-1594) in «Rivista Storica Italiana», n. 105, fasc. 1 (1993), pp. 246-286. Sulla corrispon-
denza tra la Congregazione del Sant‟Uffizio e la sede di Napoli (per gli anni che vanno dal 1563- 1625) v. P. SCARAMELLA,Le lettere della Congregazione del Sant‟Uffizio ai tribunali di fede di
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Come scrive Pierroberto Scaramella le lettere scambiate tra la Congregazio- ne del Sant‟Uffizio e la periferia permettono di «penetrare nelle vicende quo- tidiane di queste sedi distanti dal centro e a spingere lo sguardo oltre le fredde e austere formulazioni dei processi, delle sentenze e dei trattati giuridici»,23
come si vedrà in seguito a proposito del caso delle presunte streghe di But- trio. Gli inquisitori locali dovevano informare la Congregazione del Sant‟Uffizio ogni qualvolta fossero giunti all‟emanazione di una sentenza e sui casi gravi pervenuti in tribunale: «eresia colta e di apostasia, le iniziative assun- te in materia di libri proibiti, i processi di stregoneria e di magia diabolica, quelli di astrologia e di negromanzia, nonché le cause di affettata santità».24 La
prassi di comunicare tali notizie a Roma invalse a decorrere dagli anni Cin- quanta del Cinquecento, come si può evincere dalle lettere inviate all‟organo centrale da Bergamo, Rovigo, Milano, Bologna, Pisa, Napoli, Avignone; tale pratica si stabilizzò in seguito al decreto del 18 giugno 1564 secondo cui tutte le lettere inviate alla Congregazione del Sant‟Uffizio dovevano essere esami- nate dal cardinale Ghislieri, al quale spettava anche il compito di fornire le debite risposte giunte dalle sedi periferiche.
A decorrere da quella data alcune sedi inquisitoriali – come Napoli (dal 1567), Modena (dal 1568), Bologna (dal 1571) e Udine (dal 1588) – comincia- rono a collezionare delle raccolte epistolari, con lettere e copia-lettere delle missive in entrata e in uscita, dirette dalla periferia al centro e viceversa.25
Scambio che si intensificò ulteriormente a decorrere dal 1581 quando i giudici locali furono obbligati a spedire a Roma una lista dei processi avviati all‟interno della loro sede inquisitoriale, con le relative abiure.26
Al momento del proprio ingresso in carica il giudice di fede aveva la facoltà di pubblicare un editto generale. Generalmente tali editti – che all‟inizio si pre- sentavano con una forma concisa e poi più elaborata - venivano letti durante la celebrazione della messa, al momento della predica;27 ciò è comprensibile se
si pensa che nella maggior parte dei casi essi erano rivolti a persone che non sapevano leggere e necessitavano di un filtro che traducesse in parole le nor-
Napoli: 1563-1625, Trieste, EUT, 2001; per Siena (dal 1581 al 1721) v. O.DI SIMPLICIO,Let-
tere della Congregazione del Sant‟Uffizio all‟inquisitore di Siena (1581-1721) in «Inquisizione e socie-
tà», EUT, Trieste, 2005.
23 P. SCARAMELLA,Le lettere della Congregazione del Sant‟Uffizio, cit., p. vııı. 24 G.ROMEO,L‟Inquisizione nell‟Italia moderna, cit., pp. 44, 45.
25 A.DEL COL, L‟Inquisizione in Italia, cit., p. 759. A parte le raccolte di lettere sopra citate –
come ha osservato Andrea Del Col – di rado si conservano «localmente quelle scritte dagli inquisitori e a Roma la serie delle lettere pervenute hanno gravi lacune». Alla Congregazione del Sant‟Uffizio non scrivevano solo gli inquisitori locali ma anche i vescovi, altri ecclesiastici e qualche volta dei laici. Ibidem.
26 G. ROMEO,L‟Inquisizione nell‟Italia moderna, cit., p. 41. 27 A.DEL COL, L‟Inquisizione in Italia, cit., p. 765.
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me affisse alle porte delle chiese.28 In altre circostanze, soprattutto durante la
Quaresima erano emanati gli editti di grazia, derivati, come ha più volte ricor- dato Elena Brambilla, dallo «strumento tipico della tradizione carismatica dei monaci e dei frati, e della loro giustizia premiale e penitenziale». In generale vi si minacciava l‟anatema ipso facto contro coloro che, macchiatisi dei crimini ri- portati nel proclama o a conoscenza di qualcuno che li avesse commessi, non li denunciasse al Sant‟Uffizio nel termine stabilito.29 Solitamente gli editti di
grazia erano emanati nei periodi pasquali, anche in questo caso valeva lo stes- so meccanismo: si concedeva un determinato intervallo (di solito tre mesi) af- finché coloro che avessero trasgredito i punti fissati nel decreto, o volessero denunciare terzi, potessero presentarsi spontaneamente in tribunale.
Non è stato effettuato uno confronto sistematico tra l‟emanazione degli e- ditti e l‟aumento dell‟attività processuale, tuttavia, in alcuni casi è stata ravvi- sata una certa corrispondenza. Uno di questi casi ebbe luogo in Friuli in un periodo in cui l‟attività del tribunale era piuttosto scarsa; nel febbraio del 1599 l‟inquisitore di Aquileia e Concordia, fra Girolamo Asteo (noto per aver pro- cessato Menocchio e per aver avviato i primi processi nei confronti dei be- nandanti), e il patriarca d‟Aquileia, Francesco Barbaro, sottoscrissero un edit- to inquisitoriale che poi fu diffuso capillarmente facendolo appendere alle porte di tutte le chiese parrocchiali; il testo fu ripetuto e spiegato varie volte dal pulpito in occasione delle celebrazioni quaresimali, compreso il giorno di Pasqua; l‟attività del tribunale subì un notevole incremento.30
Oltre agli editti la confessione, come si è già detto, rappresentò uno stru- mento essenziale per costringere le persone a presentarsi nelle aule del Sant‟Uffizio.31 In una società dove i sacramenti rappresentavano “diritti civi-
li”,32 infatti, erano anche le esortazioni e le minacce dei confessori a spingere i
penitenti nelle aule del Sant‟Uffizio. Chi si presentava spontaneamente in tri- bunale, a patto che non fosse recidivo e non avesse altre pendenze giudiziarie col Sant‟Uffizio, dimostrandosi sinceramente pentito poteva godere del privi- legio concesso agli sponte comparentes. Si trattava di una procedura speciale con- solidatasi negli anni Settanta del Cinquecento; essa derivava dalla riconcilia- zione dei cosiddetti rinnegati: coloro che catturati dai turchi o rifugiati in terri- torio ottomano si erano convertiti all‟Islam. Il privilegio di spontanea compa-
28 F.BETHENCOURT,L‟Inquisition à l‟epoque moderne. Espagne, Portugal, Italie XVe-XIXe siècle, Pa- ris, Fayard, 1995, p. 169. Più in generale sugli editti inquisitoriali, per una comparazione tra la realtà italiana, spagnola e portoghese, si rimanda allo stesso testo, pp. 169-201.
29E.BRAMBILLA,La giutizia intollerante, cit., pp. 45-50.
30 A.DEL COL, L‟Inquisizione in Italia, cit., p. 766. Alla stessa pagina vi sono riportati i dati
precisi dell‟incremento dell‟attività processuale in seguito all‟emanazione dell‟editto.
31 V.LAVENIA,L‟infamia e il perdono, cit., p. 18.
32 Sulla valenza giuridica e “di stato civile” dei sacramenti e soprattutto del battesimo si ri-
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rizione prevedeva «il diritto di abiurare privatamente […], l‟esenzione da qual- siasi pena temporale e l‟assoluzione da tutte le censure nelle quali fosse incor- so». Dal punto di vista giuridico tale privilegio non metteva al riparo dalla possibilità di incappare nuovamente in un processo di fede, in una recidiva che avrebbe aggravato la posizione del reo.33
Ritornando alla prassi seguita dal Sant‟Uffizio: nella fase iniziale del proces- so erano raccolte le prove a carico dell‟inquisito, accompagnate all‟occorrenza da perquisizioni personali o domiciliari. Tali operazioni erano eseguite dal personale del tribunale della fede: ogni sede locale aveva a disposizione delle forze di polizia, oltre che a delle carceri proprie; gli uomini al servizio dei tri- bunali del Sant‟Uffizio erano retribuiti «dalle sedi locali sul proprio fisco, co- stituito da alcune rendite fisse più le entrate di confische e ammende»; vi era- no poi i cosiddetti patentati o familiari, che possedevano licenza di porto d‟armi ed erano ricompensati con privilegi fiscali. Quest‟ultimi in alcune città erano al diretto servizio dei membri della nobiltà o di rappresentanti del ceto mer- cantile, i «crocesignati».34
Dopo l‟eventuale perquisizione poteva seguire l‟archiviazione del caso, quasi mai formalizzata, e l‟arresto del presunto colpevole (frequentemente erano concessi gli arresti domiciliari o la residenza coatta); dopodiché iniziava il processo offensivo caratterizzato dall‟intensa sorveglianza delle sedi locali, so- prattutto nelle cause più importanti, degli inquisitori generali attraverso il flus- so epistolare di cui si è già accennato. Un margine di autonomia era comun- que lasciato agli inquisitori periferici che potevano decidere di non informare la Congregazione nelle cause ritenute meno gravi, quelle che non si conclude- vano con la sentenza. Le istruzioni inviate dalla Congregazione potevano for- nire molteplici direttive: dall‟avocazione del processo, al suo spostamento in un‟altra sede, dalla richiesta di maggiori delucidazioni accompagnata dalla ri- chiesta di copia degl‟atti processuali. La prima fase del procedimento inquisi- toriale aveva lo scopo di stabilire la natura dei delitti commessi e l‟intenzionalità con la quale erano stati compiuti, la consapevolezza dell‟errore, at- traverso le domande inoltrate dall‟inquisitore che, da generali, divenivano via via sempre più precise e incalzanti.
Dal 1561 l‟utilizzo della tortura, per coloro che i giudici ritenevano mendaci o reticenti, era subordinato all‟autorizzazione dei cardinali del Sant‟Uffizio con precise limitazioni: poteva essere praticata per non più di un‟ora e solo dopo che un medico aveva attestato l‟idoneità fisica dell‟inquisito; eventuali confessioni rese sotto tortura dovevano essere ratificate durante un interroga- torio ordinario. La prima parte del procedimento si chiudeva con la formaliz- zazione dei capi d‟accusa e la loro notifica all‟inquisito, una copia delle depo-
33 G.ROMEO,L‟Inquisizione nell‟Italia moderna, cit., p. 46. 34 E.BRAMBILLA,La polizia dei tribunali ecclesiastici, cit., p. 75.
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sizioni raccolte, prive dei nomi dei testimoni, veniva consegnata all‟imputato. Il tribunale fissava poi un termine ragionevole entro il quale l‟inquisito - auto- nomamente o assistito da un avvocato – avrebbe potuto presentare le proprie difese accompagnandole a una lista di testi a discarico. Per coloro che non in- tendevano difendersi sarebbe continuato l‟iter del processo offensivo: nuovi in- terrogatori ed eventualmente altre sedute di tortura sino alla maturazione del- la sentenza.
Per chi si avvaleva della facoltà di difesa si apriva una nuova fase processua- le, quella del processo difensivo che prevedeva il riesame dei testi e l‟escussione di quelli a discarico (attraverso le domande poste dal procuratore fiscale e quelle preparate dalla difesa). Non sempre il processo si chiudeva con la sen- tenza: poteva essere previsto il rilascio su cauzione con l‟ordine di ripresen- tarsi in tribunale qualora se ne stabilisse la necessità – il cosiddetto toties quoties – e alle stesse condizioni potevano stabilirsi gli arresti domiciliari o condanne a pene minori. Ordinariamente la sentenza era adottata nei casi in cui i giudici avessero ravvisato indizi di colpevolezza, quando cioè avessero accertato il sospetto di eresia, condizione che rendeva obbligatoria l‟abiura, la revoca for- male degli errori imputati dall‟Inquisizione;35 si trattava, per usare le parole di
Vincenzo Lavenia, di «una vera e propria fides a rovescio che equivaleva a una promessa gravida di conseguenze: quella di mai più ricadere nell‟errore reli- gioso, pena la perdita della propria vita e dei beni posseduti».36 I gradi d‟abiura
erano tre, proporzionati «all‟entità del sospetto dei giudici»: l‟abiura poteva essere de levi o de vehementi e de formali. La terza formula era utilizzata per defi- nire gli apostati in senso stretto, le altre due erano proporzionali al grado di consapevolezza con il quale era stato compiuto il delitto di fede. Usualmente – per quanto concerne l‟Inquisizione romana – la lettura della sentenza e la cerimonia di abiura erano pubbliche, di solito avevano luogo nelle chiese, tut- tavia, per non divulgare determinati errori che potevano essere emulati oppu- re per non infamare certi inquisiti poteva essere scelta la formula segreta, al cospetto dei soli giudici e dei consultori del tribunale. Differente era la proce- dura spagnola che prevedeva cerimonie d‟abiura solitamente ambientate nelle pubbliche piazze.37
35 G.ROMEO,L‟Inquisizione nell‟Italia moderna, cit., pp. 43, 44.
36 V.LAVENIA,Giurare al Sant‟Uffizio. Sarpi, l‟Inquisizione e un conflitto nella Repubblica di Venezia,
in «Rivista Storica Italiana», anno CVXIII (2006), fasc. I, pp. 7-50, la citazione è a p. 8.
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