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2. Crimina mixti fori: nascita di una dottrina tra Quattro e Cinquecento
A metà del Quattrocento il cardinale Bernardino Carvajal cercò di chiarire il concetto di mixti fori per rispondere ad alcuni interrogativi giunti dalla remota Transilvania. Probabilmente, a domandare delucidazioni, erano stati alcuni mis- sionari che avevano chiesto se l‟adulterio, l‟uxoricidio, lo spergiuro, lo stupro, la bigamia e l‟infanticio, dovessero essere puniti dai giudici laici o da quelli ec- clesiastici. Il cardinale rispose che solo nei casi in cui la pena fosse stata capitale o afflittiva la competenza sarebbe spettata al foro laicale, nelle altre eventualità al foro ecclesiastico. Il criterio decisionale era piuttosto arbitrario anche se Car- vajal cercò di fissare alcune regole procedurali. Secondo il porporato l‟adulterio penale, di coniugata con l‟amante, doveva essere punito dal giudice secolare, quello del marito con soluta invece poteva essere equiparato a fornicazione o a stupro semplice e rientrava nell‟orbita delle competenze del giudice ecclesiasti- co. La punizione dello spergiuro sarebbe spettata all‟autorità ecclesiastica.58
56 E.BRAMBILLA, Alle origini del Sant‟Uffizio, cit., pp. 305-312. Sui fanciulli pii “arruolati” da Sa-
vonarola v. O.NICCOLI, Il seme della violenza. Putti, fanciulli e mammoli nell‟Italia del Cinque e Seicento,
Roma-Bari, Laterza, 1995.
57 G.ARRIVO,Seduzioni, promesse, matrimoni. Il processo per stupro nella Toscana del Settecento, Roma,
Edizioni di Storia e Letteratura, 2006, p. 16.
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Fu tra il Quattro e il Cinquecento che, come si è già ricordato, determinati re- ati si configurarono come crimina mixti fori – attirando su di essi la concorrenza tra la sfera secolare e quella ecclesiastica – quando cioè gran parte dei reati- peccati (bestemmia, meretricio, usura, sodomia ecc.) oggetto della giustizia spi- rituale dei vescovi iniziò a essere contemplata anche negli statuti cittadini.59
Nello stesso periodo nacquero una serie di tribunali politici che, caratterizzati da procedure segrete e straordinarie, avevano il compito di reprimere i reati morali o d‟opinione:60
il punto di frattura […] si trasferisce dalla concorrenza tra le istituzioni, ecclesiastiche e secolari, e quindi dalla concorrenza tra i grandi ordinamenti giuridici che da esse derivano, ad un incipiente dualismo tra la legge positiva e la coscienza, tra il reato, come infrazione di una legge umana, e il peccato come trasgressione della legge divi- na: lo stato tende a criminalizzare il peccato per fare di questa criminalizzazione uno strumento di potere. Si è scritto, credo giustamente, che questo processo si sviluppa nel XV secolo e trova il suo compimento nell‟età confessionale.61
Del resto i reati di misto-foro sono una materia estremamente ambigua e con- troversa: si modificano in modo sfumato, adeguandosi al senso comune della morale.62 Secondo Elena Brambilla, nel corso del Quattrocento si possono rile-
vare due fasi di cambiamento, una all‟inizio e una alla fine del secolo, entrambe condizionate dalla predicazione. Dal 1409 al 1415 a Firenze – sullo sfondo dell‟azione di Bernardino da Siena - furono redatti nuovi statuti criminali che prevedevano pene afflittive e ammende per chi si fosse macchiato di reati mo-
59 EADEM,Confessione, casi riservati e „giustizia spirituale‟ dal XV secolo al Concilio di Trento, in Cecilia
Nubola e Angelo Turchini (a cura di), Fonti ecclesiastiche per la storia sociale e religiosa d‟Europa: XV
e XVIII secolo, Bologna, il Mulino, 1999, pp. 491-540, in part. pp. 502, 503; EADEM,Alle origini
del Sant‟Offizio, cit., pp. 283, 297-302.
60 Per un‟agile sintesi sui tribunali secolari penali (sia europei, sia disseminati nella penisola ita-
liana) in età moderna v. L.TEDOLDI,La spada e la bilancia. La giustizia penale nell‟Europa moderna (secc. XVI-XVIII), Roma, Carrocci, 2008.
61 P.PRODI, Una storia della giustizia, cit., pp. 215, 216. Paolo Prodi fa riferimento a questo testo:
«sin seems to have been criminalized for the first time during the fifteenth century, but the judicial apparatus of the medieval church was seldom adequate (unless a special apostolic In- quisition was attached) to exercise much control over sin among the laity. Even after the re- formation, certain areas were still relatively impervious to ecclesiastical discipline», B.LENMAN
eG.PARKER, The state, the community and the criminal law in early modern Europe in Crime and the
Law. The social history of Crime in Western Europe since 1500, A. C. Gatrell, Bruce Lenman e Geoff-
rey Parker (a cura di), London, Europa Publications, 1980, pp. 11-49.
62 In merito ai crimini di misto foro Elena Brambilla osserva: «a definirli meglio forse un altro
libro non basterebbe, e forse non è neppure possibile: in rapporto a reati così ambigui come quelli morali e d‟opinione un segno di civiltà, credo, è che siano progressivamente cancellati dai codici penali, oppure ridefiniti, come lo stupro con violenza, come reati contro la persona e non solo contro la morale, un passo che in Italia ci sono voluti secoli a compiere» ; E.BRAM- BILLA,Alle origini del Sant‟Uffizio, p. 297.
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rali e sessuali. In seguito, nel 1421, fu istituito l‟Ufficio dell‟Onestà, un tribunale laico per il controllo del meretricio, la repressione della bestemmia e dell‟omosessualità (la sodomia fu proprio uno dei temi affrontati con maggior zelo da Bernardino). Negli anni Novanta del Quattrocento la peste e la crisi del caro vita fece sì che i predicatori si concentrassero su temi apocalittici spiegan- do l‟origine delle calamità come punizioni mandate da Dio: tutti, senza distin- zioni, avrebbero pagato le colpe dei blasfemi.63 Si trattava, secondo le conside-
razioni di Jean Delumeau, di un clima generale di pessimismo influenzato dalla predicazione e dalla diffusione dei cosiddetti “testi macabri”, nonché dalle ca- lamità e dalle malattie che rendevano quotidiano il contatto con la morte. Esso determinò un processo di iper colpevolizzazione nell‟uomo che veniva portato – attraverso i mezzi sopra esposti – a conferire un‟estrema drammaticità al pec- cato. Di contro ciò comportò un grande aumento di autorità da parte del clero e soprattutto della figura del confessore che «divenne qualcosa di insostituibi- le».64 Allo stesso tempo, come si è già accennato, gli statuti cittadini inasprirono
le norme per il disciplinamento della morale e dei comportamenti la distinzione tra peccato e delitto – considerato come azione lesiva o “atto esterno” – si fece più labile.
Sotto questa chiave interpretativa possono essere letti alcuni tentativi di re- primere l‟eresia da parte di tribunali laici. Nella Firenze di Cosimo I esisteva una magistratura – della quale pare non essere rimasta traccia – gli Inquisitori e Commissari sopra l‟Eresia, ancora operativa, per qualche anno, dopo l‟istituzione del Sant‟Uffizio.65 Per quanto concerne la Repubblica di Venezia
tra il 1543 e il 1550, durante la nunziatura di Della Casa, i rettori veneziani ini- ziarono undici processi per eresia in terra ferma concludendoli, in alcuni casi, con l‟emanazione della sentenza66
Per quanto riguarda la coercizione di reati contro la morale e in particolare contro la bestemmia, il passaggio alla modernità fu caratterizzato da un ina- sprimento delle normative a proposito. Nel 1502 a Milano gli statuti cittadini presero provvedimenti contro la blasfemia e il lusso delle vesti femminili, fe- nomeni originati dalla promozione del culto della Vergine e dalle dispute intor- no al dogma dell‟Immacolata Concezione; tali elementi erano strettamente le-
63 Ivi, pp. 297-302.
64 J.DELUMEAU, Il peccato e la paura. L‟idea di colpa in occidente dal XIII al XIX secolo (tr. it de Le
Péche et la Peur. La culpabilisation en Occident XIIIe-XIXe siècles, Paris, Fayard, 1983), Bologna, il Mulino, 20063. Da quel momento si incrementò notevolmente anche la produzione di manuali
per la confessione, v. M.TURRINI, La coscienza e le leggi. I testi per la confessione della prima età moder-
na, Bologna, il Mulino, 1991.
65 A.PROSPERI, Tribunali della coscienza, cit., p. 75. 66 A.DEL COL, L‟Inquisizione in Italia, cit., pp. 347, 348.
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gati alla predicazione contro gli ebrei e la lussuria delle donne, essi sfociarono nei cosiddetti roghi del Talmud e nei falò delle vanità. Una spiegazione plausibi- le del fatto che i tribunali laici si ingerissero, e fossero creati appunto per disci- pliare materie che prima non erano contemplate negli statuti cittadini è quella di riordinare e arrestare – attraverso la ridistribuzione di compiti tra tribunali vescovili e podestà – questa «giustizia diretta, coi frati a capo di folle che inci- tano alla cacciata di bestemmiatori e meretrici, sodomiti e usurai, ebrei e stre- ghe»; tra metà del Quattrocento e la metà del secolo successivo nacquero una serie di tribunali politici (che, come si è già detto, utilizzavano procedure segre- te e straordinarie), competenti circa i crimini morali, sessuali e d‟opinione come gli Otto di Guardia e Balìa a Firenze e gli Esecutori contro la Bestemmia a Ve- nezia.67 Fu allora che, come scrive Marco Bellabarba, «le procedure dei tribunali
ecclesiastici incominciarono a impregnare gli stili di giudizio e le conoscenze dei giudici laici». E tuttavia non si trattò di un passaggio bipolare: le competen- ze non uscivano definitivamente da un raggio giurisdizionale per entrare negli altri, dal foro ecclesiastico a quello secolare e viceversa.68
Si ritiene utile, per i temi qui trattati, soffermarsi sulla nascita degli Esecutori contro la Bestemmia, ai quali Gaetano Cozzi dedicò intensi anni di ricerca; an- che lo studioso, al pari di Elena Brambilla, ha ricordato come, alla fine del Quattrocento, le prediche del Savonarola fossero attentamente recepite a Ve- nezia. Esse, come si è già ricordato, tuonavano contro i blasfemi, i giocatori e i sodomiti in un‟epoca nella quale si respirava «una particolare tensione spiritua- le: di dualismo tra l‟ispirazione ansiosa verso una divinità che trascende i destini umani, e il sentimento e il bisogno di una divinità presente nella terra, tra gli
67 E.BRAMBILLA, Alle origini del Sant‟Uffizio, pp. 297-302. Per gli Esecutori contro la Bestemmia
v. G.COZZI,La società veneta e il suo diritto. Saggi su questioni matrimoniali, giustizia penale, politica del
diritto, sopravvivenza del diritto veneto nell‟Ottocento, Venezia, Marsilio, 2000, p. 66 e ss. Per
un‟accurata descrizione di una processione culminata poi in falò delle vanità, v. O.NICCOLI,La vita religiosa nell‟Italia moderna. Secoli XV-XVIII, Roma, Carrocci, 1998, p. 170. Il fenomeno della
predicazione non impedì, tuttavia, che non si sviluppassero sentimenti anticlericali – manifesta- tesi in moltiplici forme, dalle pasquinate, agli opuscoli, ai libri, ai cartelli ecc. – come ha dimo- strato Ottavia Niccoli, v. EADEM,Rinascimento anticlericale, Roma-Bari, Laterza, 2005. La biblio-
grafia sulle nuove magistrature secolari (nate tra Quattro e Cinquecento, come si è già detto), che con procedure segrete, si occuparono di reprimere i reati contro la morale è piuttosto va- sta; si ritiene utile citare almeno: R.CANOSA, Storia di una grande paura. La sodomia a Firenze e a
Venezia nel Quattrocento, Milano, Feltrinelli, 1991; M.J.ROCKE, Il controllo dell‟omosessualità a Firen-
ze nel XV secolo: gli Ufficiali di Notte, in «Quaderni Storici», 66 (1987), pp. 701-724; M.S.MAZZI,
Cronache di periferia dello Stato fiorentino: reati contro la morale nel primo Quattrocento, in «Studi Storici»,
27 (1986), pp. 609-635; IDEM, Prostitute e lenoni nella Firenze del primo Quattrocento, Milano, il Sag- giatore, 1991; v. anche G.RUGGIERO, I confini dell‟eros: crimini sessuali e sessualità nella Venezia del
Rinascimento (tr. it. de The boundaries of eros: sex crimes and sexuality in renaissance Venice, New York-
Oxford, Oxford University Press, 1985), Venezia, Marsilio, 1988; per il controllo della prosti- tuzione a Venezia v. G.SCARABELLO, Per una storia della prostituzione a Venezia (sec. XIII-XVIII),
in “Studi Veneziani”, N. S. XLVII (2004), pp. 15 –102.
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uomini, ad osservarli e a giudicarli, guidarne le vicende». Gli esiti della guerra col Turco (1499) accrebbero le convinzioni nella teoria della punizione divina comminata da un Dio vendicatore, il quale colpiva con calamità tremende i ve- neziani per castigare i loro comportamenti dissoluti. Si trattava di un clima co- mune in Europa, in Francia le stesse idee erano espresse anche da Jean Gerson (1363-1429), il celebre cancelliere dell‟Università di Parigi, il quale nel suo Con- sidération sur le péché de blasphème a proposito dei bestiammiatori scrisse: «soffre più di alcun altro paese di questo orribile peccato, che è causa di pestilenze, guerre e carestie».69 Il 9 marzo 1510 Luigi XII promulgò un‟ordinanza contro i
blasfemi, confermata negli editti regi successivi, sino al 1546. In Germania il problema, assieme al controllo di altre devianze sociali, fu regolato dalla Rei- chpolizeiordnung (nel 1530, 1548, 1577) anche se più di una questione religiosa si trattava di mantenimento dell‟ordine pubblico dato che la normativa compren- deva leggi contro gli ubriachi, i questuanti, il vagabondaggio. Nelle Fiandre un editto del 1517 stabilì pene molto severe nei confronti dei bestemmiatori che potevano essere puniti con il bando perpetuo o con la pena di morte così come a Firenze, dove Cosimo I pubblicò un bando che prevedeva la pena capitale per i recidivi (8 luglio 1542). Nel 1514 anche nello Stato Pontificio le pene si fecero più severe, prevedendo comunque delle mitigazioni se a commettere il reato era un religioso.70 Il duca Cesare D‟Este, alla stregua del papa, minacciò
di perforare la lingua a chi avesse ingiuriato la Madonna o i Santi anche se in realtà si riproponeva di punire comportamenti pubblici e scandalosi, eventi che potevano turbare la tranquillità sociale.71
Agli inizi del Cinquecento, in sintonia con il clima europeo, la volontà di re- primere la blasfemia divenne una preoccupazione peculiare anche per il Consi- glio dei Dieci, il massimo organo giudiziario e politico della Repubblica di Ve- nezia. Come evidenzia Renzo Derosas la magistratura, prima di istituire gli E-
69 G.COZZI, La società veneta e il suo diritto, p. 75. Sulla correlazione tra leggi antiblasfeme e con-
giunture politiche Renzo Derosas scrive: «piuttosto che in modo ragionato e sistematico, esso si concreta infatti soprattutto sull‟omda emotiva di momenti di grave tensione, quando l‟impressione della necessità del soccorso divino, o del verificarsi del suo castigo, fanno guarda- re con occhi diversi a quelle manifestazioni di vita corrotta o immorale, cui volentieri si attri- buisce la responsabilità per le disgrazie presenti, e di cui perciò si reclama la ferma repressione. Non a caso i meccanismi psicologici che alimentano queste esplosioni di moralismo panico sembrano possedere maggior vigore negli ambiti ristretti dele repubbliche cittadine , dove più immediata per ognuno è l‟identificazione con il destino politico dello stato».R.DEROSAS,Mora- lità e giustizia a Venezia nel „500-„600. Gli Esecutori contro la Bestemmia, in Gaetano Cozzi (a cura di) Stato, società e giustizia nella Repubblica veneta (sec. XV-XVIII), Roma, Jouvence, 1980, pp. 433-528,
le citazioni sono alle, p. 440
70 Ivi, pp. 433 – 436. Sulle norme promulgare nel corso del Cinquecento contro i bestemmiato-
ri v. anche P.BURKE, Scene di vita quotidiana nell‟Italia moderna (tr. it. de The Historical Anthropology
of Early Modern Italy. Essays on Perception and Communication, Cambridge, Cambridge University
Press, 1987), Roma-Bari, 1988, p. 128
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secutori contro la Bestemmia, sullo stesso crimine era intervenuta ben otto vol- te nell‟arco di un trentennio, non tanto per formulare nuove norme, quanto piuttosto per garantire l‟applicazione di quelle vigenti. Il problema era quello dell‟attribuzione della competenza che doveva giostrarsi fra diversi tribunali lai- cali: nel 1500 le bestemmie più gravi erano rimesse al Consiglio dei Dieci, quel- le contro i santi ai Signori di Notte al Criminal, nel 1505 lo stesso Consiglio avocava a sé tutte le competenze in materia di blasfemia, incaricando gli Avo- gadori di Comun di avviare i processi. Questo tipo di leggi, legate ai ripensa- menti del Consiglio dei Dieci «evidentemente combattuto tra la convinzione dell‟inadeguatezza delle altre magistrature a procedura ordinaria e l‟impossibilità di accollare anche quest‟onere al proprio tribunale, già tanto so- vraccarico per il continuo dilatarsi del suo campo d‟intervento», si protrassero sino al 1534, quando le pene nei confronti dei bestemmiatori, dapprima appli- cate solo al Dogado, furono poi estese a tutto il Dominio. Solo il 20 dicembre 1537 il Consiglio dei Dieci prese la decisione di istituire un‟apposita magistratu- ra che si occupasse della coercizione del reato specifico: nacquero gli Esecutori contro la Bestemmia. La nuova magistratura, i cui membri dovevano aver fatto parte ed erano eletti dai Dieci, ebbe la facoltà di procedere col rito («una proce- dura segreta e sommaria»), con una competenza limitata a Venezia e ai territori del Dogado.72 L‟istituzione degli Esecutori contro la Bestemmia ebbe lo scopo
di
dimostrare che toccava all‟autorità secolare garantire che si tributasse a Dio, alla Ver- gine, ai Santi tutto l‟onore dovuto, e che si rispettassero la Chiesa, il culto, i luoghi in cui esso veniva esercitato: con lo scopo cioè di attestare che la tutela della religione era un dovere politico, spettante all‟autorità secolare, tale da non potere essere lascia- to solo nelle mani delle autorità ecclesiastiche.73
72 R.DEROSAS,Moralità e giustizia, cit., pp. 433 - 436.
73 G.COZZI, La società veneta e il suo diritto, p. 75. Non a caso più tardi gli Esecutori contro la Be-
stemmia, in un loro decreto (datato 17 agosto 1759) si sarebbero autodefiniti: «difensori in foro secolare delle leggi di Santa Chiesa, e correttori della negligenza delle medesime». Ivi, p. 80. Come scrive Vittorio Frajese: «nell‟età delle confessioni giurate, vale a dire nel periodo in cui si formano molteplici chiese che assumono forma territoriale e vengono imposte dagli stati attra- verso lo strumento delle confessioni di fede, in tale età si verifica una stretta compenetrazione tra Stati e Chiese nel corso della quale le strutture ecclesiastiche vengono finalizzate al sostegno dei governi secolari. In questo quadro, la bestemmia si presenta come il rovescio di tale proces- so: man mano che i vincoli politici assumono forma di patti giurati, lo spergiuro viene sanzio- nato come bestemmia; e nel momento in cui l‟universo religioso viene chiamato a garantire il patto sociale, la ribellione al potere assume forma di rivolta contro la divinità e la religione». V. FRAJESE, L‟evoluzione degli „Esecutori contro la bestemmia‟ a Venezia in età moderna in Il vincolo del giu-
ramento e il tribunale della coscienza, Nestore Pistillo (a cura di), Bologna, il Mulino, 1997, pp. 171-
211, la cit. è a p. 172. Sugli Esecutori contro la Bestemmia v. anche G.SCARABELLO,Esecutori
contro la bestemmia: un processo per rapimento stupro e lenocinio nella Venezia popolare del secondo Settecento,
Centro Internazionale della Grafica, Venezia, 1991, in part. pp. 146-152.
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Si trattava di una rivendicazione che in parte era già stata affermata alcuni an- ni prima (nel 1531), quando il già citato vescovo di Verona, Gian Matteo Gi- berti, chiese il permesso al Senato di perseguire autonomamente nel foro eccle- siastico i bestemmiatori della propria diocesi. La risposta negativa è riportata da Marin Sanudo: concedere questo privilegio al vescovo voleva dire «tuor la liber- tà al podestà»; spettava alla sovranità della Repubblica occuparsi della tutela della religione e della morale dei propri sudditi.74 La bestemmia ovviamente era
solo uno degli aspetti, probabilmente il più studiato, di un‟orizzonte di com- portamenti che le autorità si premuravano di tenere sotto controllo affinché non fosse arrecato pregiudizio all‟ordine sociale.
E, tuttavia, le magistrature secolari e il foro vescovile non erano le uniche, come si è già avuto modo di accennare, a occuparsi di blasfemia. Sin dal Tre- cento l‟Inquisizione (lungi da essere istituzionalizzata),75 aveva già tentato di de-
finire un campo specifico di bestemmie, quelle ereticali che rientravano a mag- gior ragione nell‟orbita delle competenze del tribunale. Queste si distinguevano dalle bestemmie semplici per la loro insita pericolosità: chi proferiva una be- stemmia ereticale – mettendo in discussione i dogmi e i capi saldi della dottrina – poteva provenire da una setta e quindi rappresentare una seria minaccia per la società. In entrambi i casi la bestemmia doveva essere punita, ma nella se- conda eventualità rappresentava un pericolo sociale maggiore; in realtà i confini tra le due tipologie erano molto labili tanto che per distinguerli più nettamente i trattatisti si impegnarono a fondo. Alla fine del Trecento Nicolas Eymerich nel suo Directorium Inquisitorum cercò di spiegare come potevano esseri sciolti i dubbi in materia di blasfemia: qualora fosse stato maledetto Dio o la Madonna senza negare gli articoli di fede si sarebbe trattato di una bestemmia semplice; nel caso contrario, quando venivano infranti i dogmi della fede, ad esempio negando l‟onnipotenza divina e mettendo in dubbio che Dio potesse mandare il bel tempo, si sarebbe proferita una bestemmia ereticale. Dal punto di vista sociale la bestemmia rappresentava una forma di dissenso sia nei confronti di