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L‟inquisitore di Brescia in fuga con l‟incartamento processuale

IV. Controversie sulle procedure Inquisitori ammoniti, cacciati e derisi

3. L‟inquisitore di Brescia in fuga con l‟incartamento processuale

Il 14 febbraio 1740 il rettore di Brescia, Alvise Mocenigo III, scrisse al Senato per rispondere ad alcune questioni provenienti dalla Dominante. Esse riguar- davano il procedimento inquisitoriale avviato contro fra Giuseppe Olivari di Salò, il confessore delle monache di San Benedetto, già detenuto per ordine del Sant‟Uffizio. Più precisamente il capitano avrebbe dovuto fornire una relazione sulle circostanze relative alla denuncia, precisando se fosse stata assunta dal tri- bunale riunito, se fosse pervenuta per iscritto e, ancora, se vi fosse qualche in- dizio che potesse far pensare a una collusione tra l‟inquisitore e i testimoni.

Il rettore scrisse che era stato il suo vicario pretorio a prestare la debita assi- stenza al giudice di fede. La denuncia – secondo le informazioni che gli erano state girate – era stata assunta durante una sessione del tribunale legalmente ri- unito. In quell‟occasione si era presentata Anna Baretta da Salò, una «giovane vergine dell‟età d‟anni 23». La ragazza raccontò delle visite a domicilio che il religioso era solito fare a lei e a sua sorella Angela che, secondo il frate, era «in- vasata dal demonio». Per esorcizzarla, depose la teste, fra Giuseppe la stringeva forte e le praticava dei rimedi particolari, a proposito riportò un aneddoto rap- presentativo: dopo aver confessato la sorella, il religioso l‟aveva fatta stendere e le aveva passato un‟immagine della Vergine sul corpo; la teste aggiunse: «glela ponesse sul ventre, dove sempre più calasse allorché le diceva di sentire mag- gior tentazione».

Nelle aule del tribunale erano sfilate altre donne di Salò, le quali avevano confermato quanto deposto da Anna Baretta sulle pratiche esorcistiche- seduttive messe in atto dal frate. All‟inquisitore non era rimasto altro che con- vocare il diretto interessato, fra Giuseppe Olivari, il quale, nelle aule del tribu- nale, aveva consegnato alcune carte delle quali non si era ancora penetrato il contenuto (erano state inserite fra gli atti del Sant‟Uffizio). Dopodiché, all‟incirca tre giorni dopo, l‟inquisitore aveva decretato l‟arresto cautelativo del religioso.36 Le uniche notizie del procedimento in corso si possono estrapolare

da un parere scritto dai Consultori in iure e basato essenzialmente su una rela- zione del vicario pretorio. Innanzitutto fra Paolo Celotti sostenne che il con- fessore di Salò non fosse imputabile il reato di sollecitatio ad turpia. La richiesta del confessore che aveva domandato alle penitenti se si sentissero tentate e in quali parti non lasciava trapelare un indizio d‟eresia. Il giurista affermò: «è cosa chiara che questa interrogazione del prete Olivari può ben dirsi, ed è, impru- dente, ma non giamai sollecitazione per indurre le due donne denunzianti a peccar seco come se detto prete avesse detto alle medesime io ho genio verso

36 ASVe, Senato, Deliberazioni Roma expulsis papalistis, fz. 53, cc. n. n., dispaccio del capitano di

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le vostre persone, io vi amo e altre cose simili». Vi era poi un elemento impor- tante da tenere in considerazione: fra Giuseppe Olivari aveva fatto queste af- fermazioni dopo aver impartito il sacramento della penitenza; pertanto – se- condo fra Paolo Celotti - non era corretto identificare queste pratiche come sol- lecitatio ad turpia («non essendo seguita nell‟attualità della confessione e conse- guentemente non entrandovi abuso de sacramento», precisò il giurista).

Per quanto concerne più strettamente le procedure adottate dal Sant‟Uffizio la convocazione dei testimoni, dopo la denuncia, e la carcerazione dell‟imputato erano avvenute senza i consueti decreti. Ciò faceva ipotizzare che, almeno nel caso delle convocazioni delle donne di Salò, l‟inquisitore aves- se convenuto in privato con loro, concordando le accuse e le testimonianze, ratificate poi in tribunale. «Sono cose decise in questo serenissimo stato», pro- seguì Celotti, «che il padre inquisitore non può far atto alcuno giurisdizionale senza l‟assistenza»; pertanto né la citazione delle testimoni, né il decreto di car- cerazione erano stati eseguiti in rispetto delle leggi. Per quanto concerneva più strettamente l‟ipotesi di testimonianze concordate privatamente, il servita scris- se: «è una cosa aborrita dalle pubbliche leggi, le quali non tollerano collusioni tra l‟inquisitore, il denunziatore e li testimoni, il che è tanto chiaro ch‟è super- fluo il discorrere più a lungo».

Il terzo e ultimo punto nel quale si articolava il lungo consulto riguardava le competenze: «gli atti disonesti praticati da padre Olivari con benedizioni, reli- quie e orazioni in lode di Maria Vergine in occasione di essorcizzare alcune sue penitenti […] da lui credute ossesse», senza «però passar mai con esse […] alle ultime confidenze», non erano una materia per la quale era competente il Sant‟Uffizio. Le azioni compiute da fra Olivari dovevano essere giudicate e- sclusivamente dal foro secolare e come precisò Celotti: «non mai al Sant‟Uffizio la di cui cura è di mantenere illibata e pura dagli errori la nostra santa fede e non di conoscere e correggere le mancanze e delitti de‟ sudditi do- ve non vi entra il sospetto di eresia e con ciò estendere oltre i limiti prefissi dal- le leggi la giurisdizione sua con intacco della temporale del principe». Ne segui- va che il Sant‟Uffizio di Brescia aveva assunto un caso per il quale non era competente e di conseguenza gli atti prodotti sullo stesso e l‟arresto di fra Giu- seppe Olivari non erano da considerarsi leciti. Il consultore pertanto suggerì di far cassare il processo, un compito che doveva essere eseguito in loco dal capi- tano, dopodiché lo stesso rettore avrebbe avviato un procedimento ai danni di fra Olivari (si consigliava che fosse delegato dal Consiglio dei Dieci, con la formula servatis servandis).37 Il 15 marzo il Senato deliberò quanto suggerito dai

Consultori in iure: la cassazione degli atti processuali e la scarcerazione del frate che sarebbe stato processato dal Consiglio dei Dieci come previsto dai giuristi. Nell‟occasione si ribadiva la necessità di rispettare le norme del capitolare e per-

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tanto se ne ordinava una pronta distribuzione a tutti i rettori delle città dove vi fosse un tribunale del Sant‟Uffizio.38

Alcuni giorni dopo il rettore impugnò la penna per dare conto dell‟esecuzione del decreto. Il capitano scrisse di aver convocato il giudice di fede, al quale a- veva ordinato la cancellazione di tutti gli atti prodotti nelle aule del Sant‟Uffizio di Brescia, contro fra Giuseppe Olivari. Secondo il resoconto del podestà, l‟inquisitore aveva accolto dimessamente gli ordini che gli erano stati impartiti, a proposito il rettore scrisse: «chinò egli il capo mostrando con ciò di ubbidire al comando e partito dal palazzo s‟è trasferito in persona, come posteriormente ho rilevato dal custode delle carceri, per commettergli il rilascio del padre sud- detto che in effetto lo ha anco immediatamente ottenuto». In realtà, aggiunse Alvise Mocenigo III, dopo essersi adoperato per la scarcerazione di fra Giu- seppe Olivari, l‟inquisitore se n‟era andato da Brescia trasgredendo l‟ordine di cassare il processo.

Al rettore non era rimasto altro da fare che bussare alla porta del padre vica- rio, al quale aveva ripetuto l‟ordine del Senato. Nell‟occasione il vice-inquisitore aveva informato il capitano della repentina partenza del giudice di fede, fra Pie- ro Antonio Baggioni da Forlì; questi dopo aver chiesto il permesso al priore del convento ed essersi recato nella stanza dove usualmente si riunivano i membri del sacro tribunale, si era allontanato da Brescia in calesse diretto verso una lo- calità non precisata. Sarebbe spettato al vicario locale, in sostituzione del giudi- ce di fede, adeguarsi alle risoluzioni prese nella Dominante e tuttavia l‟annullazione degli atti processuali non era un‟operazione così semplice come poteva sembrare. La difficoltà era oggettiva: nell‟archivio della sede inquisito- riale di Brescia, nonostante le diligenti ricerche effettuate dal vicario, non si trovava traccia degli atti prodotti sul caso. La repentina partenza dell‟inquisitore e l‟irreperibilità dell‟incartamento non erano una mera coincidenza: fu subito chiaro – al rettore in primis – che il giudice di fede si fosse assentato, appro- priandosi degli atti, per trasferirli altrove.39

Ancora una volta fu fra Paolo Celotti a doversi occupare di quanto successo a Brescia. Per il giurista le supposizioni del rettore erano valide, vi era motivo di credere che l‟inquisitore, peraltro di «stato alieno», si fosse diretto a Roma «o per sottrarsi da un grave meritato risentimento […] per la publica ofesa avendo

38 Ivi, c. n. n., deliberazione del Senato, sub data 15 marzo 1740.

39 Nello stesso dispaccio il rettore chiese il permesso di poter procedere sui reati che fra Olivari

aveva commesso a Salò (che godeva di una giurisdizione separata rispetto a quella di Brescia). Ivi, cc. n. n., dispaccio di Alvise Mocenigo III al Senato, sub data 24 marzo 1740. L‟8 aprile 1739 la Congregazione del Sant‟Uffizio aveva nominato inquisitore di Brescia fra Piero Anto- nio Baggioni da Forlì che aveva già ricoperto l‟incarico nelle città di Reggio e di Tortona. A- SVe, Senato, Deliberazioni Roma expulsis papalistis, fz. 51, cc. n. n., consulto con il quale se ne ap- provava la nomina (redatto da fra Paolo Celotti) e conseguente deliberazione del Senato, sub

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egli non men nel suo offizio operato contro le leggi e il retto modo di procede- re […] overo per dar in persona alla Congregazione del Sant‟Uffizio conto del successo». Il consultore suggerì di informare l‟ambasciatore veneziano a Roma e di far proseguire il processo contro fra Giuseppe Olivari al capitano di Bre- scia.40 Il Senato, come d‟abitudine, fece propri i consigli del giurista; il consulto

divenne esecutivo sotto forma di decreto inviato all‟ambasciatore veneziano presso la Santa Sede. Gli si ordinava di vigilare sul comportamento di fra Piero Antonio Baggioni – poiché vi erano forti sospetti che si fosse recato a Roma, alle porte della Congregazione del Sant‟Uffizio – e di informare i cardinali membri delle infrazioni compiute dal loro sottoposto. A conclusione del decre- to si ordinava all‟ambasciatore: «dal succeduto poi havrà maggior argomento nell‟avvenire la saviezza vostra in procurare che gl‟inquisitori del Sant‟Uffizio che si spediscono nel dominio nostro siano sudditi veneti».41

L‟asse della discussione subì quindi uno spostamento proiettandosi, non più verso Brescia, ma verso Roma. Lo si evince bene da un parere giuridico sotto- scritto da fra Paolo Celotti e da Trifone Wrachien, redatto dopo che era giunta la risposta dall‟ambasciatore veneziano; quest‟ultimo – scrisse il giurista – aveva parlato con il cardinale Porzia, il portavoce degli inquisitori generali; gli aveva fatto presente che l‟Inquisizione, nei territori della Repubblica di Venezia, do- veva sottostare alle norme dello stato («così che nessuna ordinazion pontifizia disponente in materia dell‟Inquisizione può pubblicarsi e esseguirsi senza che vostra serenità vi presti l‟assenso suo», aggiunsero i consultori). La Congrega- zione del Sant‟Uffizio aveva fatto sapere, tramite il proprio rappresentante, che il “caso Olivari” rientrava pienamente nella sfera di competenze dell‟Inquisizione «non essendo le pretese violazioni di ordine bastanti ad annul- lar il processo». Ciononostante il collegio cardinalizio aveva placato ulteriori controversie: gli inquisitori generali erano disposti ad arretrare di un passo; a proposito i Consultori in iure scrissero: «con tutto ciò si acconsente che si met- tino in dimenticanza le cose fatte, con dar ordine al padre inquisitore di assicu- rar personalmente l‟eccellentissimo podestà di Brescia che sarebbe lasciato gia- cente il processo».

L‟acuta penna dei giuristi rilevò che quella che in «apparenza» sembrava «un atto di stima e di condiscendenza del Collegio de signori cardinali» altro non era che una «disapprovazione» delle pubbliche leggi, «in sollievo di un suo sud- dito e conseguentemente una giustificazione del padre inquisitore».42 I dispacci

40 ASVe, Senato, Deliberazioni Roma expulsis papalistis, fz. 52, cc. n. n., consulto di fra Paolo Celot-

ti, sub data 31 marzo 1740.

41 Ivi, c. n. n., deliberazione del Senato, sub data 9 aprile 1740. Lo stesso giorno il Senato decre-

tò di far proseguire il processo contro fra Giuseppe Olivari al capitano Alvise Mocenigo III, ivi, deliberazione del Senato, sub data 9 aprile 1740.

42 Ivi, cc. n. n., consulto sottoscritto da fra Paolo Celotti e Trifone Wrachien, sub data 8 giugno

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di Marco Foscarini, ambasciatore veneziano presso la Santa Sede, rendono conto dell‟azione diplomatica intrapresa dalla Repubblica per risolvere la vi- cenda relativa all‟inquisitore di Brescia; lo stesso Foscarini, infatti, incaricato di occuparsi del caso a Roma scrisse al Senato di aver avuto un incontro con il cardinale Porzia che gli aveva espresso i malumori di alcuni cardinali membri della Congregazione del Sant‟Uffizio, particolarmente contrariati per la cassa- zione del processo contro fra Olivari. E tuttavia, essendo in tempo di conclave e non volendo caricare questa controversia sulle spalle del nuovo pontefice, la Congregazione aveva deliberato «di lasciar cadere tutto quest‟affare» («come un pegno della benevolenza e della stima del sacro collegio verso l‟eccellenze vo- stre che dunque si sareberro dimenticate le cose fatte e che si darebbe ordine all‟inquisitore di assicurare personalemnte l‟eccellentissimo signor podestà di Brescia che sarebbe lasciato giacente quel tal processo, come se giammai fosse stato intrapreso», aggiunse Foscarini).43

Il 9 luglio il Senato deliberò di avvertire il capitano di Brescia: qualora fra Pie- ro Antonio Baggioni fosse ritornato in città con l‟intento di ricoprire nuova- mente l‟incarico, il rettore non l‟avrebbe riammesso. Lo stesso giorno si delibe- rò anche di scrivere all‟ambasciatore a Roma il quale, una volta eletto il nuovo inquisitore, avrebbe avuto il compito di «renderlo ben informato del concorda- to in tale materia seguito tra la Santa Sede et la Repubblica medesima e delle pubbliche leggi in tale proposito» affinché non succedessero «in avvenire simili inconvenienti».44

aver parlato con alcuni cardinali membri della Congregazione del Sant‟Uffizio, tra i quali figu- rava il cardinal Porzia. «Non appena inteso l‟argomento della mia esposizione» – aggiunse Fo- scarini – «[il cardinale Porzia] mi significò che si era di ciò parlato e […] da sua eminenza intesi che non erano mancati di quelli che pigliarono la cosa per il mal verso e non si davano per pa- ghi della condotta di vostra signoria. Infine poi il signor cardinale mi disse che sperava di poter amichevolmente terminar questa briga tra lui e me, dandomi con ciò a conoscere che la Con- gregazione lo avesse anche eletto a maneggiare questo negozio ma nel tempo medesimo mi fece conoscere l‟impossibilità di ciò eseguire durante il conclave»; ASVe, Senato, Dispacci Roma

expulsis papalistis, fz. 26, cc. n. n. (dispaccio n. 240), sub data 23 aprile 1740.

43 Ivi, cc. n. n. (dispaccio n. 249), sub data 28 maggio 1740.

44 ASVe, Senato, Deliberazioni Roma expulsis papalistis, cc. n. n. deliberazioni del Senato, sub data 9

luglio 1740. Il 20 agosto il Senato deliberò di scrivere all‟ambasciatore a Roma: «esseguite sì dal zelo nostro le pubbliche commissioni […] per quello sia all‟affare dell‟Inquisizione del Sant‟Uffizio diretto sì con zelo et virtù nel spiegarvi col signor cardinale Querini attenderemo quanto col di lui mezzo venisse dalla sagra congregazione ripportato. Sopra l‟altro particolare poi havutosi nuovo memoriale di questo […] nunzio apostolico vi servirà la copia del medesi- mo et quella dell‟uffizio che le facciamo leggere questa sera in risposta di lume al vostro conte- gno et nel modo che vi parerà proprio dessumendo et enumerando li motivi per li quali è stata chiamata l‟equità et la dignità del Senato ad accorrere alla sicurezza dei sudditi ad impedire le conseguenze della provocata toleranza de medesimi et a presservar i diritti della propria dignità darete rissalto alla pubblica moderazione et agl‟oggetti già dichiarati facendo comprender il vi- vo desiderio del Senato di mantener colla santa sede la più perfetta corrispondenza e colla ve- nerata persona di sua santità attendersi dalla di lui gratitudine con opportuni procedimenti assi-

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