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La crisi del modello (1983-1985).

II. Frantumazione e ricostruzione di una nazione 2.1 Verso il colpo di stato militare del 1973.

2.8 La crisi del modello (1983-1985).

Tra il 1983 e il 1985 venne messo in discussione il modello neoliberale e il regime iniziò a vacillare. Santiago divenne capitale di numerose proteste violente e di conseguenti repressioni. Nonostante fossero mobilitazioni convocate dai dirigenti sindacali e dalla rinata opposizione, esse vennero definite «proteste nazionali» poiché vi parteciparono le parti della società urbana maggiormente escluse, i pobladores50, gli studenti, le donne, i ceti medi colpiti alla crisi, mossi dal terrore dell’avanzare del livello crescente di disoccupazione. Non erano forze coese quelle che si riunivano per protestare e soprattutto erano poco organizzate, tant’è che i leader politici e i sindacalisti che si illusero di poter cavalcare l’onda delle proteste per porre fine al regime fallirono nel loro tentativo. Nonostante ciò questi anni dettero segnali e speranze per la formazione di movimenti in pieno contrasto con il regime, iniziarono ad avere un vasto appoggio sia all’interno del paese sia a livello internazionale da parte di fondazioni e istituzioni che si interessavano alla protezione dei diritti umani, un ruolo importante lo svolse soprattutto la Chiesa cattolica51.

2.8.1 «Hay que devaluar, Presidente»52.

Nel 1979 molti erano i segnali che pronosticavano un andamento positivo del paese, surplus fiscale, indebitamento esterno diminuito, la bilancia commerciale andava migliorando e dunque l’economia sembrava mostrare chiari segni di crescita. Proprio a giugno di quell’anno il paese aveva intrapreso l’avvio di una politica a cambio fisso, misura che fino al 1981 funzionò senza necessità di un intervento di natura fiscale per aggiustare la bilancia commerciale. Ma in quell’anno la produzione segnò una caduta

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In Cile questa parola designa coloro che vivono in baracche o capanne auto costruite, di istanza per lo più nelle periferie delle grandi città. G. de la Maza, M. Garcés, La explosión de las mayorias. Protesta

Nacional 1983-1984, Santiago de Chile, educación y comunicaciones, 1985, passim. J. Weinstein, Los jovenes pobladores en protestas nacionales (1983-1984), Santiago de Chile, CIDE,1989, passim.

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Fino al 1983 le chiese erano gli unici luoghi dove si potessero tenere attività e riunioni che non venissero sorvegliate, data la sacralità del luogo che vietava ai militari l’entrata. Tra le associazioni importanti che si crearono direttamente all’interno della Chiesa ricordiamo la Vicaría de la Solidariedad impegnata attivamente nella denuncia e nella protezione dei diritti umani, e la corrispettiva Vicaría de la

Pastoral Obrera per quanto riguardava il mondo dei diritti dei lavoratori e le problematiche della classe

operaia. M.R. Stabili, op. cit., p. 205.

52 Agosto 1981, il Presidente Pinochet chiese a José Piñera Valiente, allora ministro del Lavoro, la sua

opinione riguardo al tipo di tasso di cambio da portare avanti, il ministro gli espose dunque la prospettiva di un intervento fiscale. Fontaine Aldunate, op. cit., p.147.

36 del 20 % insieme a una disoccupazione che raggiunse il 25 %53. Un tipo di cambio fisso provocò serie distorsioni, soprattutto nel ritorno economico per gli esportatori, che videro diminuire per l’appunto le proprie entrate; per gli imprenditori locali divenne più conveniente importare i beni che comprarli in Cile. Nel 1982 il paese rischiò un crack finanziario, proprio in quel anno il paese attraversò una delle crisi più importanti dopo quella del 1930. Il governo si vide costretto a intraprendere una misura che svalutasse la propria valuta di circa il 70 % e dovette coprire i debiti privati, «i debiti esteri contratti da privati» divennero debiti della collettività54. A livello sociale nei primi anni Ottanta, comunque, non ci furono proteste accese, salvo sporadici episodi di malcontento attraverso marce, le “marchas del hambre”, tenendo conto che la mobilitazione sindacale era resa nulla dal Plan Laboral. Al contrario un settore che tentò di organizzarsi per fronteggiare la crisi fu il settore imprenditoriale. Il sistema economico riuscì a reggere tale indebitamento grazie al sostegno di organismi internazionali, quali il Fondo Monetario Internazionale. L’elargizione di fondi veniva però subordinata a misure da adottare che portassero nel paese una stabilità economica, il programma prevedeva « riduzione del deficit pubblico, flessibilità del mercato del lavoro, apertura alla concorrenza internazionale […]»55

. Nella primavera del 1983 iniziarono le vere e proprie proteste sociali che mostrarono l’altra faccia del miracolo cileno. Finalmente rinvigoriti alcuni organismi sindacali, come il CUT, e la Confederación de Trabajadores del Cobre, sotto l’egida del Comando Nacional de Trabajadores, incitarono la popolazione a prendere parte allo sciopero generale. Il richiamo alla protesta fu accolto con gran clamore, la popolazione non solo stava manifestando per cause economiche ma aveva un’opportunità per dimostrare il malcontento nei confronti del regime, un malcontento che iniziava a essere esplicitato superando il timore delle ritorsioni. Grande fu la protesta e grande fu la repressione che lasciò come saldo finale 62 morti, numerose detenzioni dei dirigenti sindacali e licenziamenti soprattutto per i minatori che avevano partecipato alle proteste. Anche se le manifestazioni furono messe a tacere, il rinato movimento sindacale56 mostrò una capacità aggregativa che fino a quel momento era stata parzialmente assente. Anche i partiti iniziarono nuovamente a

53 M.R. Stabili, op.cit., pp.205-206. 54 Ibidem.

55 Ivi, pag. 198. 56

Dopo il golpe del 1973, formalmente le organizzazioni sindacali non erano state abolite e proibite tuttavia erano prive della loro capacità di contrattazione e negoziazione e non abilitate nell’elezione dei propri rappresentanti poiché fino al 1979 verranno designati dal regime stesso, in particolar modo dal ministero del Lavoro e dai governatori militari delle province. Le riunioni inoltre avvenivano previa autorizzazione delle forze dell’ordine. I sindacati vennero dunque svuotati di potere.

37 riorganizzarsi sulla scia di tale malcontento. Nonostante la crisi che si trovò a fronteggiare, per il regime di Pinochet non significò la fine, al contrario le soluzioni adottate condussero a una ripresa dell’economia già nel 1984. Non furono di fatto le contrazioni economiche a condurre alla caduta del generale Pinochet, ciò che cambiò fu il modo di concepire la politica economica, il regime passò da un non intervento57 a misure correttive con lo scopo di favorire il proprio mercato interno ed eventuali investimenti. L’economia cilena doveva iniziare a costruire le proprie fondamenta per le esportazioni, quindi doveva essere fortificato il settore industriale e agrario, settori che erano stati penalizzati dalla rigida politica liberista degli anni Settanta, poiché quest’ultima aveva avvantaggiato solo le grandi imprese fortemente competitive lasciandosi dietro le piccole e medie imprese che non riuscivano a reggere il peso della concorrenza e non riuscivano a rimodernarsi. Fu in questa fase di potenziamento dell’esportazione che vennero concessi incentivi alle aziende per reinventarsi con nuova tecnologia in modo da fornire prodotti che reggessero la competitività dei mercati esteri. Nonostante ciò, come sottolinea M.R Stabili, la modernizzazione avvenne a discapito dei diritti dei lavoratori che continuarono a essere esclusi dalle contrattazioni, la modernizzazione venne incentivata attuando «metodi repressivi e tecniche di tipo taylorista-fordista»58. I datori di lavoro potevano operare con libertà riguardo ai licenziamenti, alle mobilità, potevano stabilire liberamente il salario e controllare personalmente la manodopera. Dopo la crisi economica del 1982-1983, il ministero delle Finanze venne affidato a Hernán Büchi59, una figura per lo più sconosciuta, anche se fu tra gli ideatori di molte delle riforme intraprese con l’aiuto dei Chicago Boys. Büchi si diresse verso un celere piano di aggiustamento che prevedeva una svalutazione periodica e un alzamento dei dazi in modo da incrementare le importazioni e al contempo raggiungere un ribasso del deficit fiscale60 attraverso una regolamentazione

57 Nell’analisi della studiosa M.R. Stabili si evince che il regime militare, pur professando idee

neoliberali, fin dalla sua investitura attuò occasionalmente con metodo interventista. Innanzitutto non furono mai privatizzate le miniere di rame, settore trainante e riserva monetaria per il paese. Inoltre, pur operando una liberalizzazione dei prezzi, lo stato sempre intervenne modificando i tassi di cambio, i tassi d’interesse e i prezzi. Da non dimenticare, infine, che il regime proibì forme di contrattazione collettiva o di altre forme di sindacalizzazione. M. R. Stabili, op. cit., passim.

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Ivi, p. 200.

59 Büchi era un ingegnere civile laureato nell’Università del Cile, in gioventù si era avvicinato alle idee

della sinistra rivoluzionaria, simpatizzando per il Fronte degli Studenti Rivoluzionari, Frente de

Estudiantes Revolucionarios (FER, ramo studentesco del MIR). Successivamente, durante il suo

soggiorno per studio nell’Università della Columbia si convertì al pensiero di destra. Il suo primo incarico governativo gli venne assegnato durante il ministero di Cauas come funzionario del ministero dell’Economia.

60 Questa politica economica, che caratterizzerà tutti gli anni del ministero Büchi, venne denominata

38 stretta del sistema finanziario. Lo Stato si fece nuovamente carico del debito pubblico, furono rinegoziati i crediti esteri e fu aiutato finanziariamente il settore privato. Queste misure portarono a compimento il loro obiettivo dato che l’ economia crebbe con livelli soddisfacenti e soprattutto riportò fiducia all’interno del paese, in particolar modo tra gli impresari. Il settore pubblico recuperò una parte delle sue funzioni regolatrici e ritornò a sostenere una politica attiva di promozione del risparmio interno e di investimenti. Un risultato di particolare importanza del periodo di Büchi fu la maggior integrazione dell’economia cilena nei mercati internazionali, sia per un aumento materiale di scambi con paesi esteri, sia per una modernizzazione e ristrutturazione dell’apparato produttivo interno che garantisse l’efficienza e la qualità richiesta dalle esigenze di prezzo e qualità dei mercati internazionali, in modo che i prodotti potessero competere in questo mercato. L’intensificarsi delle esportazioni fece parlare addirittura di un “secondo miracolo”, di un “milagro exportador” e non mancarono notevoli intenti da parte del governo di infondere questa credenza, nonostante questo boom nascondesse una fragilità e celasse la drammatica situazione sociale dei diversi lavoratori, soprattutto tra gli stagionali nel settore fruttifero. L’episodio del ritrovamento nel marzo 1989 di chicchi d’uva avvelenati nel porto di Filadelfia, che innescò un boicottaggio nei confronti della frutta cilena esportata, mise in evidenza il fragile equilibrio su cui si stava basando questo ulteriore milagro. Le proteste sociali del periodo dei primi anni Ottanta indussero inoltre il regime a intraprendere un’apertura politica, tant’è che furono eliminate parziali restrizioni nel dibattito pubblico e venne permessa la ricostruzione di alcuni partiti politici.

2.8.2 La riorganizzazione dell’opposizione.

Una graduale riorganizzazione dell’opposizione era iniziata fin dal 1980, ma solo durante il periodo delle proteste essa riemerse concretamente. Per quanto nella forma simili ai partiti precedenti il golpe, essi si erano trasformati profondamente. Il Partito Comunista, che dovette affrontare il problema dell’esilio per molti dei suoi dirigenti, adottò come strumenti la lotta armata. Il Partito Socialista era diviso in due ali principali che prendevano il nome dal corrispettivo dirigente: il Partito Socialista di Núñez,

Il programma stilato sotto il ministero di Büchi, “Programa socio-económico, 1981-1989”, è visibile online al seguente indirizzo http://www.memoriachilena.cl/archivos2/pdfs/mc0032322.pdf consultato in data 27/11/2016.

39 troncone più moderato, e il Partito Socialista di Almeyda, ala più estrema61. Era necessario unirsi per far fronte al regime, l’opposizione doveva superare la frammentarietà, fu così che nel 1983 formarono l’Alianza Democratica. Vi facevano parte il Partito Socialista moderato, Partito Radicale, Partito Socialdemocratico e soprattutto essa godeva dell’appoggio della DC. Mentre il Movimiento Democratico Popular, coalizione più estrema formata dal Partito Comunista, riuniva il MIR e il Partito Socialista di Almeyda. Nell’anno antecedente il plebiscito sorsero inoltre nuovi partiti che tentarono di arginare l’articolo 8 della Costituzione, l’ala riformista del Partito socialista divenne Partido Por la Democracia (PPD) guidato dall’economista Ricardo Lagos, così anche l’ala più estrema dette vita al Partido Izquierda Socialista (PAIS), oltre a due nuove formazioni nella destra del Partido Nacional che si distanziava dal regime, Renovación Nacional (RN) e la Unión Democratica Independiente (UDI), emerse nel panorama politico anche il neonato Partito Humanista con programmi pacifisti, femministi ed ecologisti. Nonostante i diversi tentativi di coalizioni, alla vigilia del plebiscito l’arena elettorale appariva nettamente parcellizzata, 11 erano i partiti di destra e 17 di centro-sinistra. In questo contesto si elevò a partito leader la Democrazia cristiana, rinnovata e aperta al dialogo con le altre forze di opposizione.